Nel settembre del 1986 L.R. convenne in giudizio l’Università degli studi di Messina ed A.B. chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni che affermò derivatigli da un’erronea informazione datagli dal secondo, funzionario della segreteria dell’Università.
Espose che, avendo frequentato i corsi di laurea in medicina fino al 1974/75 sostenendo nove esami, nel marzo del 1983 s’era recato in segreteria per conoscere la propria situazione in vista della ripresa degli studi; e che il predetto funzionario lo aveva rassicurato sul fatto che disponeva di un anno di tempo per sostenere un esame qualsiasi e regolarizzare la propria posizione amministrativa mediante il pagamento delle tasse arretrate. Senonché, recatosi di nuovo in segreteria il 7.4.1984 con le ricevute degli effettuati versamenti per reiscriversi per presentare domanda al fine di sostenere un esame, aveva appreso che ormai da un anno era intervenuta la decadenza dell’immatricolazione, art. 14 del t.u. n. 1592 del 1933, per non aver egli sostenuto alcun esame entro otto anni dall’ultimo. Affermò che il B. aveva riconosciuto di aver commesso un errore.
Mentre in primo grado la domanda veniva accolta, in appello la pronuncia veniva ribaltata in favore della P.A..
I Giudici del gravame, infatti, ritenevano che “anche le informazioni rese dalla pubblica amministrazione sono atti amministrativi e questi possono obbligare e vincolare la stessa solo se sono quelli tipici cioè atti scritti”.
Inoltre, non risultava provata la circostanza secondo cui il B. avesse dato un’erronea informazione sulla data dell’ultimo esame (rilevante ai fini del computo degli otto anni utili per sostenerne un altro).
Con la sentenza n. 8097/13, tuttavia, la Suprema Corte ha innanzitutto ritenuto sufficiente la prova testimoniale resa sui fatti di causa e ha altresì disatteso l’orientamento della Corte d’Appello in relazione alla “forma” con cui devono essere rese le informazioni da parte della P.A..
Queste le parole dei Giudici di legittimità sul punto: “la necessità della forma scritta concerne gli impegni contrattualmente assunti dalla pubblica amministrazione, ma non certo le obbligazioni derivanti da illecito o da attività illegittima, che ben possono essere integrati da atti meramente materiali o addirittura da omissioni. Nella specie si assumeva che l’errore del pubblico impiegato fosse integrato a un’informazione erronea in relazione alle risultanze documentali di cui egli disponeva. E non esiste alcuna disposizione normativa che imponga alla p.a. di offrire informazioni solo per iscritto, segnatamente se – come nella specie – si tratti di informazione data allo sportello di una segreteria universitaria”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 7 febbraio – 3 aprile 2013, n. 8097
(Presidente Petti – Relatore Amatucci)
Ritenuto in fatto
1. Nel settembre del 1986 L.R. convenne in giudizio l’Università degli studi di Messina ed A.B. chiedendone la condanna solidale al risarcimento dei danni che affermò derivatigli da un’erronea informazione datagli dal secondo, funzionario della segreteria dell’Università.
Espose che, avendo frequentato i corsi di laurea in medicina fino al 1974/75 sostenendo nove esami, nel marzo del 1983 s’era recato in segreteria per conoscere la propria situazione in vista della ripresa degli studi; e che il predetto funzionario lo aveva rassicurato sul fatto che disponeva di un anno di tempo per sostenere un esame qualsiasi e regolarizzare la propria posizione amministrativa mediante il pagamento delle tasse arretrate. Senonché, recatosi di nuovo in segreteria il 7.4.1984 con le ricevute degli effettuati versamenti per reiscriversi per presentare domanda al fine di sostenere un esame, aveva appreso che ormai da un anno era intervenuta la decadenza dell’immatricolazione, art. 14 del t.u. n. 1592 del 1933, per non aver egli sostenuto alcun esame entro otto anni dall’ultimo. Affermò che il B. aveva riconosciuto di aver commesso un errore.
I convenuti resistettero.
Il Tribunale di Messina accolse parzialmente la domanda con sentenza pubblicata in data 8.11.1999, condannando solidalmente i convenuti al pagamento della somma di L. 50.000.000, oltre accessori, e l’Università, inoltre, alla restituzione di quanto inutilmente versato per tasse dall’attore al fine di regolarizzare la prima immatricolazione.
2. La Corte d’appello di Messina, in accoglimento dell’appello dei soccombenti, ha rigettato la domanda del R. (con assorbimento del suo gravame) con sentenza n. 238 dell’11.5.2006, avverso la quale il medesimo ricorre per cassazione affidandosi a due motivi.
Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha depositato controricorso col quale ha dichiarato di richiamare la sentenza impugnata e di riportarsi alle difese svolte nei precedenti gradi.
Gli eredi di A.B. (C.V.C., L.B. e D.G.B., già costituiti in secondo grado) non hanno svolto attività difensiva.
Considerato in diritto
1. In riforma della sentenza di primo grado, la Corte d’appello ha respinto la domanda per due sostanziali ragioni:
a) perché “anche le informazioni rese dalla pubblica amministrazione sono atti amministrativi e questi possono obbligare e vincolare la stessa solo se sono quelli tipici cioè atti scritti” (pagina 11, secondo capoverso della sentenza impugnata).
b) perché non era provato che il B. avesse dato un’erronea informazione sulla data dell’ultimo esame (rilevante ai fini del computo degli otto anni utili per sostenerne un altro), sostenuto dal R. il 15.3.1975.
1.1. La prima affermazione è censurata dal ricorrente col primo motivo di ricorso, col quale è denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 23 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, nonché degli artt. 2043 e 1433 c.c.
1.2. La seconda è oggetto del secondo motivo di ricorso, col quale dedotto vizio della motivazione sui risultati delle deposizioni dei testi G. e C.
2. Entrambi i motivi sono fondati.
2.1. Sul primo, basta il rilievo che la necessità della forma scritta concerne gli impegni contrattualmente assunti dalla pubblica amministrazione, ma non certo le obbligazioni derivanti da illecito o da attività illegittima, che ben possono essere integrati da atti meramente materiali o addirittura da omissioni. Nella specie si assumeva che l’errore del pubblico impiegato fosse integrato a un’informazione erronea in relazione alle risultanze documentali di cui egli disponeva. E non esiste alcuna disposizione normativa che imponga alla p.a. di offrire informazioni solo per iscritto, segnatamente se – come nella specie – si tratti di informazione data allo sportello di una segreteria universitaria.
2.2. Sul secondo, la valenza della risposta affermativa del teste G. al quesito che gli era stato posto [“vero che nel marzo 1983 l’attore si presentò allo sportello della segreteria della facoltà di medicina e chirurgia per conoscere la propria posizione didattico-amministrativa e che in tale occasione egli (B.), dopo aver consultato i relativi registri, disse al R. che aveva un anno di tempo per evitare la decadenza della sua immatricolazione, ma anche che, per ottenere ciò, avrebbe dovute versare le tasse arretrate per gli anni f.c. (elencandoli su un pezzo di carta) e sostenere con qualunque esito un esame, sempre entro l’anno”] è stata disattesa con argomenti del tutto privi di intrinseca ragionevolezza, essendosi ritenuto che “dalla testimonianza del G. non si evince che il R. avesse espressamente chiesto quando aveva sostenuto l’ultimo esame, né la relativa data fornita dal B.” (pag. 10, terzultimo capoverso, della sentenza) e che la risposta “rispondono a verità i fatti di cui al capo I dell’articolato” non fosse decisiva “perché il G. ha precisato genericamente che il B. fornì indicazioni per la regolarizzazione della posizione amministrativa e in particolare che doveva pagare le tasse anche per gli anni precedenti” (a cavallo delle pagine 10 e 11 della sentenza).
La deposizione del teste C., al tempo direttore amministrativo dell’Università, nel senso che il B. sembrò preoccupato perché probabilmente si era trattato di un mero errore” é stata poi disattesa – in contrasto con canoni di logica elementare – perché il teste, sentito su sua istanza (?) una seconda volta, aveva chiarito che il B. solo in un primo tempo aveva riconosciuto l’errore, peraltro poi sempre negandolo e perché, inoltre, il C. non aveva precisato di quale errore si fosse trattato (pag. 10 della sentenza, terzo, quarto e quinto capoverso).
3. Si impone la cassazione della sentenza, con rinvio alla stessa Corte d’appello in diversa composizione perché, nel rispetto del principio enunciato sub 2.1., decida sui gravami delle parti, liquidando anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Messina in diversa composizione.