La Cassazione si è da ultimo occupata di un tema decisamente delicato, dove da una parte vi sono le esigenze di ricongiungimento familiare, dall’altra la tutela dell’ordine pubblico italiano, declinato sotto la specie del divieto di poligamia.
Il caso in questione concerne la richiesta di ricongiungimento effettuata da un figlio nei confronti della madre.
Fattispecie che sembrerebbe di facile soluzione, se non fosse che il padre del figlio aveva già chiesto il ricongiungimento rispetto ad un’altra moglie, provenendo infatti da un Paese dove è ammessa la poligamia.
Dal punto di vista delle argomentazioni giuridiche si è insistito sulla circostanza per cui la richiesta era stata fatta dal figlio per le sue esigenze di ricongiungimento familiare e non per quelle del marito.
Tuttavia la Suprema Corte ha condiviso quanto affermato in sede di merito, ritenendo che “In tema di ricongiungimento familiare del cittadino straniero, il divieto stabilito dall’art. 29, co. 1 ter, del D.Lgs. n. 286 del 1998 con riguardo alle richieste proposte a favore del coniuge di un cittadino straniero, già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, opera oggettivamente, a prescindere dalle qualità soggettive del richiedente, mirando ad evitare l’insorgenza nel nostro ordinamento di una condizione di poligamia, contraria all’ordine pubblico anche costituzionale”.
In altre parole, secondo i Giudici di Piazza Cavour, il divieto di poligamia in Italia va interpretato in senso restrittivo e oggettivo, indipendentemente dal fatto che la richiesta, che potremmo definire di “riconoscimento implicito” o “incidentale”, venga effettuata da un soggetto diverso dal marito.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI – 1 CIVILE
Ordinanza 14 dicembre 2012 – 28 febbraio 2013, n. 4984
(Presidente Salmé – Relatore Acierno)
In fatto e diritto
Rilevato che il relatore designato, ha depositato la seguente relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ. nel procedimento n. 3152 del 2012.
“Rilevato che con provvedimento della Corte d’appello di Venezia, di conferma della sentenza di primo grado, veniva respinto il ricorso proposto dal Ministero degli affari esteri, avverso il rilascio di visto d’ingresso per ricongiungimento familiare, richiesto dal ricorrente e riconosciuto dal giudice di primo grado, in favore della propria madre, in applicazione dell’art. 29 del d.lgs. n. 286 del 1998, così come modificato dall’art. 1 del d.lgs. n. 160 del 2008, in quanto priva di mezzi di sostentamento e di altri figli nel paese d’origine (il Marocco). Quest’ultima, tuttavia, risultava coniugata con il padre del ricorrente, soggiornante in Italia, il quale aveva richiesto il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare in favore di un’altra moglie. A causa della situazione di poligamia, vietata nel nostro ordinamento, che si sarebbe determinata con l’ingresso e il soggiorno nel nostro paese della madre del ricorrente, il Consolato Generale di Casablanca aveva negato il visto e il Ministero degli Esteri aveva resistito in primo grado e proposto appello;
considerato che la Corte d’Appello aveva respinto il ricorso osservando a) che la norma di cui all’art. 29, comma primo ter del d.lgs. n. 286 del 1998, la quale vieta il ricongiungimento familiare in favore di chi sia regolarmente coniugato con coniuge residente in Italia con altro coniuge, è entrata in vigore dopo la proposizione della domanda in questione; b) tale norma, ai fini della sua applicazione richiede la prova della proposizione della domanda per interposta persona al fine di eludere il divieto di cui al citato art. 29; c) nella specie la domanda è formulata dal figlio e non dal coniuge già convivente con altro coniuge;
considerato, altresì, che avverso tale pronuncia è stato proposto ricorso per cassazione dal Ministero degli esteri fondato sui seguenti motivi
– 1) violazione dell’art. 29, comma primo ter del d.lgs. n. 286 del 1998, così come modificato dall’art. 22, lettera b) della l. 94 del 2009. Il divieto espresso di ricongiungimento familiare previsto nella norma è entrato in vigore prima della conclusione dell’iter amministrativo destinato all’accertamento dei requisiti per il ricongiungimento familiare. Pertanto, anche alla luce del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la domanda deve essere scrutinata alla luce della norma applicabile al momento finale del rilascio del visto d’ingresso.
– 2) il divieto introdotto nella norma, peraltro preesistente, in via sistematica nell’ordinamento interno, opera oggettivamente ogni qual volta possa verificarsi una situazione di poligamia, contrastante con il diritto familiare italiano. Risulta, conseguentemente, irrilevante che a formulare la domanda sia stato il figlio e non il coniuge, già soggiornante in Italia con altra moglie.
– Considerato, altresì, che ha resistito con controricorso A.A. ritenendo, in ordine al primo motivo che dovesse essere applicabile la norma in forza al momento della presentazione della domanda e non invece quella vigente al momento del rilascio del visto d’ingresso, anche in considerazione del fatto che all’autorità consolare non è attribuita alcuna discrezionalità ma esclusivamente il compito di verificare l’autenticità dei documenti forniti dal richiedente. Sul secondo motivo che, come accertato nei gradi di merito, la madre del richiedente è da venti anni separata di fatto dal coniuge e lo scopo della richiesta è di riavvicinarsi al figlio dal quale dipende economicamente;
Ritenuta in ordine al primo motivo che è consolidato, nella giurisprudenza di questa sezione, il principio secondo il quale il procedimento di riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare è procedimento complesso, a formazione progressiva, nel quale le valutazioni accertative della Questura o dello Sportello Unico vengono seguite dagli accertamenti della Rappresentanza diplomatica, le prime sfocianti nel nulla osta e i secondi nel visto di ingresso, o nel suo diniego, quest’ultimo provvedimento impugnabile come atto terminativo innanzi al G.O. ed ex art. 30 comma 6 del T.U. (Cass. n. 209/2005; 15247/2006; 12661/2007);
2) è incontestato che gli atti dell’Amministrazione in materia sono privi di alcun profilo di discrezionalità perché attinenti alla verifica della sussistenza/insussistenza dei requisiti delineati dalla legge per l’insorgenza del diritto al ricongiungimento, come risulta confermato dal radicamento, ex art. 30 d.lgs. n. 286 del 1998, in capo al G.O. della cognizione su di essi;
3) è coerente con le premesse sub 1) e 2) che, alla luce della articolazione procedimentale destinata al riconoscimento del diritto al ricongiungimento la cui concreta esistenza viene accertata solo all’esito del procedimento, la sopravvenienza normativa sui requisiti di insorgenza sia di immediata applicazione ove essa intervenga nel corso della procedura;
4. L’orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il procedimento di riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare ha natura complessa ed è a formazione progressiva coinvolgendo l’attività valutativa dell’autorità amministrativa, quella dell’autorità diplomatica e l’eventuale ricorso al giudice ordinario, per cui lo scrutinio dei requisiti deve essere eseguito alla stregua della norma applicabile all’esito dell’iter procedimentale, ha trovato, peraltro, ulteriore recente conferma proprio con riferimento alla novella dell’art. 29 d.lgs. n. 286 del 1998, affrontata nel presente giudizio (Cass. ord. 7218 e 7219 del 2011, 3493 del 2012);
Ritenuta, pertanto, la fondatezza del motivo, derivante dal fatto che nella specie l’iter amministrativo è iniziato prima dell’entrata in vigore (8/8/2009) della norma novellata ma il rilascio del visto d’ingresso, cui bisogna riferirsi al fine di stabilire la disciplina applicabile, è ampiamente successivo a tale data, essendo intervenuto il (7/9/2010);
ritenuto, in ordine al secondo motivo, che la norma applicabile (art. 29 comma primo ter d.lgs. 286 del 1998) stabilisce un divieto che opera oggettivamente nei confronti delle richieste di ricongiungimento familiare proposte in favore del coniuge di un cittadino straniero già regolarmente soggiornante con altro coniuge in Italia, non distinguendo soggettivamente la provenienza della domanda, e al contrario mirando ad evitare l’insorgenza nel nostro ordinamento di una condizione di poligamia, contraria al nostro ordine pubblico anche costituzionale,
ritenuto, pertanto, che non è necessario che l’Amministrazione dimostri che il richiedente abbia agito per conto del proprio genitore perché il divieto di poligamia non è condizionato da condizioni di fatto qual la coabitazione o la vivenza a carico, ma opera in sé e perdura fino alla cessazione legale di uno dei vincoli coniugali;
ritenuto, inoltre, che non è stata neanche dedotta l’impossibilità di sciogliersi dal vincolo coniugale per la richiedente nel proprio paese d’origine;
ritenuto, in conclusione che anche questo motivo di ricorso risulta fondato e che, ove vengano condivisi i predetti rilievi, il ricorso può essere deciso nel merito ai sensi dell’art. 384, secondo comma cod. proc. civ. con la reiezione della domanda di ricongiungimento familiare avanzata dal richiedente”;
Ritenuto che il Collegio aderisce alla relazione e che in ordine al regime delle spese di lite reputa di compensare le spese di lite nei gradi di merito perché ancora non consolidato il nuovo orientamento di legittimità e di applicare il principio della soccombenza nel presente procedimento, trattandosi per questa fase di indirizzo affermato;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa il provvedimento impugnato e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione al diniego del visto d’ingresso per ricongiungimento familiare e condanna la parte controricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento che liquida in E 1300 oltre S.P.A.D, compensando le spese dei giudizi di merito.