Da sempre si discute sul valore della quietanza liberatoria o a saldo, in materia di lavoro.
In particolare, nella concretezza dell’esperienza si fa questione di rinunce o di transazioni in relazione al documento che solitamente il lavoratore rilascia al datore, dopo la fine del rapporto, all’atto della percezione delle sue spettanze.
Spesso, infatti, il datore di lavoro, a seguito di licenziamento o dimissioni, impone al lavoratore di sottoscrivere una liberatoria di licenziamento, come se fosse una sorta di ricevuta di non aver altro a che pretendere.
Ancora una volta si sostiene che siffatto documento provi l’avvenuto negozio abdicativo e che la successiva rivendicazione del lavoratore non abbia consistenza perché è irrevocabilmente trascorso invano il termine previsto per l’impugnazione.
Senza pretesa di esaustività, in questo post analizzeremo brevemente i caratteri fondamentali delle quietanze e le differenze sussistenti con le rinunce e transazioni.
1.Cos’è la quietanza
La quietanza consiste in una dichiarazione, per prassi sottoscritta a fine rapporto, con la quale il lavoratore attesta di aver percepito una determinata somma (di solito trattasi dei ratei di retribuzione, della tredicesime mensilità, ecc.) a totale soddisfacimento di ogni sua spettanza e di non avere altro da pretendere dal proprio datore di lavoro.
2.Riconoscimento giudiziale
Mera dichiarazione di scienza e come tale non preclusiva in caso di errore della possibilità di agire per il riconoscimento giudiziale dei propri diritti che risultassero insoddisfatti.
Pertanto, anche dopo la sottoscrizione di una quietanza, il lavoratore può azionare i propri diritti di credito, nel termine ordinario di prescrizione quinquennale, se tali dichiarazioni risultano ampie e indeterminate e, come tali, non sufficienti a comprovare l’effettiva sussistenza di una volontà dispositiva del lavoratore.
Ne consegue che tali quietanze non andranno confuse con gli atti di rinuncia e di transazione, “La quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, non assume valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore ha l’onere di impugnare nel termine di cui all’art. 2113 c.c. quando il dichiarante sia stato convinto a sottoscrivere la dichiarazione con la consapevolezza che la stessa non avesse alcuna validità e non avesse comportato la rinuncia ai suoi diritti” (Corte appello Catanzaro sentenza del 25 marzo 2013).
3.Rinunce e transazioni
La quietanza liberatoria, però, può assumere il valore negoziale di una rinuncia o di una transazione se esprime la volontà di privarsi di diritti specifici e determinati, dei quali il lavoratore che rinuncia o transige abbia piena e chiara consapevolezza.
Solo in tal caso la quietanza avrà valore di rinunzia e/o transazione e pertanto potrà essere impugnata nel termine di 6 mesi previsto dall’art. 2113 c.c.
“La quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, che contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato e alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore ha l’onere di impugnare nel termine di cui all’art. 2113 c.c., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili “aliunde”, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi; infatti, enunciazioni di tal genere sono assimilabili alle clausole di stile e non sono sufficienti di per sè a comprovare l’effettiva sussistenza di una volontà dispositiva dell’interessato” (Cass. sez lav., sentenza n. 11536/2006).
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Avvocato Matteo Moscioni, con studio in Viterbo, si occupa prevalentemente di Diritto del Lavoro, Sindacale e Relazioni Industriali
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