Sempre più spesso, soprattutto in determinati tipi di controversie (ad esempio, in materia di separazione), si fa ricorso ai servizi offerti dalle agenzie di investigazione, al fine di raccogliere elementi di prova da poter poi introdurre nel processo.
Da un punto di vista giuridico, tuttavia, si pone la questione della natura di tali mezzi di prova.
Il Tribunale di Milano ha da ultimo provato a fare chiarezza su questo aspetto, precisando innanzitutto come i rapporti degli investigatori privati rientrino nel novero delle cd. prove atipiche.
Ciò premesso, il Giudice di primo grado ha però subito aggiunto come l’ammissibilità delle prove “atipiche” non possa produrre l’effetto di “aggirare divieti o preclusioni dettati da disposizioni, sostanziali o processuali, così introducendo surrettiziamente elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione richieda adeguate garanzie formali”.
Ritornando al caso specifico, i documenti formati dall’investigatore vengono qualificati, quanto alla valenza probatoria, in termini di «scritti del terzo».
In tale area si distingue tra gli scritti “neutri” del terzo e gli scritti formati in funzione testimoniale, poiché redatti da terzi nell’interesse della parte e diretti a formare il convincimento del giudice circa una tesi sostenuta.
I rapporti delle agenzie di investigazione rientrano nella seconda categoria, perciò, secondo il Tribunale di Milano, non trattandosi di uno scritto neutro, bensì di una deposizione testimoniale, allora esso, per avere piena efficacia probatoria, avrebbe dovuto essere acquisito nel processo mediante prova orale o mediante ricorso all’art. 257-bis c.p.c. (cd. testimonianza scritta).
Se si sostenesse il contrario, e cioè la possibilità di introdurre nel processo dichiarazioni di terzi “in funzione testimoniale”, formate fuori dal procedimento, si violerebbero i principi del “giusto processo”, dato che la deposizione troverebbe ingresso nella lite giudiziale senza un vaglio condotto dal Giudice, e senza il contraddittorio delle parti.
Nel caso specifico, quindi, il Tribunale di Milano ha respinto il capitolo di prova formulato da una delle parti, con il quale si mirava semplicemente a chiedere all’investigatore la conferma di quanto scritto sul rapporto.
Da quanto sopra precisato, la parte, al fine di confermare quanto scritto nel rapporto di investigazione, avrebbe invece dovuto predisporre vari capitoli di prova in relazione alle singole circostanze ed eventi che voleva provare in giudizio.
Tribunale di Milano
Sezione IX Civile
Ordinanza 8 aprile 2013
(est. G. Buffone)
Ordinanza
ex artt. 183, comma VII, 186 c.p.c.
In via preliminare, giova ricordare come le questioni afferenti alla fase della separazione personale dei coniugi debbano ritenersi del tutto irrilevanti in questa sede, trattandosi di quaestiones juris dedotte (o comunque da dedurre) nel corso del procedimento separativo, conclusosi con sentenza passata in giudicato. Sempre in via preliminare deve ricordarsi come sia comune all’esperienza giurisprudenziale consolidata il principio per cui il debitore non può opporre al creditore le situazioni peggiorative che siano dipese dal suo stesso inadempimento, potendo, certo, invece, censurare – ma nelle sedi competenti e con gli strumenti di legge – le modalità attraverso le quali il creditore aggredisca il patrimonio del debitore. In particolare, in merito alla circostanza allegata e dedotta dall’attore – secondo il quale la moglie starebbe abusando dell’utilizzo dell’auto “assegnatale dal giudice della separazione” (v. memoria assertiva, pag. 7) –, in disparte la consolidata giurisprudenza di questo Tribunale che esclude l’ammissibilità di simili statuizioni (ex multis, cfr. Trib. Milano, sez. IX civ., 10 febbraio 2009, n. 1767), deve rilevarsi come l’affermazione non corrisponda affatto al vero, in quanto il Collegio della separazione non ha mai assegnato alla moglie l’auto di famiglia (v. dispositivo della sentenza separazione, pagg. 19, 20). Ancora in via preliminare devono essere espunte dall’orbita valutativa dell’odierno procedimento, anche le questioni afferenti ai presunti errori posti in essere dal giudice della separazione, in quanto la decisione non è stata gravata di appello. In conclusione, sempre nell’alveo delle questioni preliminari, deve rilevarsi come L. sia divenuta maggiorenne in corso di processo, avendo compiuto 18 anni l’….. 2012 così dovendosi ritenere superate le richieste relative all’affidamento della figlia ed al suo collocamento, avendo perso effetto, in parte qua, l’ordinanza presidenziale del 28 maggio 2012.
Si può procedere allo scrutinio delle richieste istruttorie.
Quanto alle richieste di prova della parte attrice, deve rilevarsi come la rispettiva memoria istruttoria (depositata in data 14 febbraio 2013) sia stata utilizzata in modo improprio dalla parte, che non ha articolato richieste di prove ma svolto ulteriori deduzioni, le quali solo nella memoria assertiva potevano trovare spazio e respiro. Quanto alle richieste di prova della parte convenuta, sono inammissibili per genericità i capitoli: 1, 2, 3, 4, 5, 26, 28, 29, 30, 31, 32 in quanto, o non contengono un riferimento topico preciso o non contengono un riferimento storico di dettaglio. Giova ricordare che la richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un’adeguata difesa (cfr. Cass. 9547/2009; Trib. Lodi, 1 aprile 2011). La giurisprudenza più recente ha, poi, chiarito che non è consentita la supplenza del giudice nelle attività processuali delle parti, cosicché “le istanze istruttorie devono avere ad oggetto circostanze il più possibile specifiche, nel senso che devono garantire il massimo grado di specificità consentita in relazione alla fattispecie concreta” (Cass. Civ., sez. III, sentenza 12 giugno 2012 n. 9522, Pres. Spirito, rel. De Stefano). Quanto, in particolare, a quei capitoli che tendono ad attribuire alcune condotte al marito, è appena il caso di ricordare, come chiarito in modo limpido dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, sentenza 18 gennaio 2013 n. 1239), che sono generiche e pertanto inammissibili le prove formulate nel senso di attribuire alla parte (nel caso di specie: il coniuge) comportamenti vaghi senza dedurre specifiche circostanze al riguardo: la genericità è superata solo se la circostanza (il comportamento addebitato) è collocata in un determinato momento storico ed un determinato contesto topico, rivelandosi altrimenti inidonea a superare il vaglio di cui all’art. 244 c.p.c.. I capitoli 5, 27, 34, 35, 36, 37, 39, 40, 41, 44 vanno provati in forma scritta. I capitoli 6 – 21 sono manifestamente inammissibili in quanto riferiti a circostanze attinenti alla fase della separazione; stessa sorte spetta ai capitoli 22, 23, 24, 25, 33. Il cap. 38 (come anche il cap. 45) è inammissibile poiché de relato partium: come noto, i testi de relato partium depongono su fatti e circostanze di cui sono stati informati dal soggetto medesimo che ha proposto il giudizio o ha resistito ad esso, così che la rilevanza del loro assunto è sostanzialmente nulla, in quanto vertente sul fatto della dichiarazione di una parte del giudizio e non sul fatto oggetto dell’accertamento, che costituisce il fondamento storico della pretesa (Cass. Civ., sez. II, sentenza 26 aprile 2012 n. 6519). Il cap. 43 è valutativo. La richiesta ex art. 210 c.p.c. è inammissibile per difetto di specificità (95 disp. att. c.p.c.) e perché comunque tende ad avere valenza esplorativa. In particolare, quanto ai conti correnti custoditi da Banche, è vero che questi non possono essere conosciuti dal coniuge, non avendo la banca natura di P.A. (Commissione per l’accesso, 23 febbraio 2010); è, però, anche vero che, ai fini del processo, non se ne intravede la concreta ed utile rilevanza ai fini della decisione.
Con il capitolo 42, si richiede di ottenere conferma dei rapporti investigativi introdotti in lite dalla parte convenuta. Si tratta della attività investigativa condotta dallo Studio Investigativo X, su incarico della convenuta, per acquisire dati, foto e condotte del marito. La produzione documentale – e dunque la relativa articolazione probatoria – va dichiarata inammissibile. Nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di chiusura sulla tassatività tipologica dei mezzi di prova, cosicché la loro produzione, in linea di principio, non è vietata. E, però, pur non essendo vietato, come costantemente affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, nel vigente ordinamento processuale improntato al principio del libero convincimento del giudice, la possibilità di porre a fondamento della decisione prove non espressamente previste dal codice di rito, purché sia fornita adeguata motivazione della relativa utilizzazione (tra le altre v. Cass. 5965/04, 4666/03, 12411/01, 12763/00), deve tuttavia escludersi che le prove c.d. “atipiche” possano valere ad aggirare divieti o preclusioni dettati da disposizioni, sostanziali o processuali, così introducendo surrettiziamente elementi di prova che non sarebbero altrimenti ammessi o la cui ammissione richieda adeguate garanzie formali. Quanto ai documenti degli investigatori privati, giova ricordare come l’attività di investigatore privato, volta alla produzione di un servizio di acquisizione di dati e di elaborazione degli stessi, resti confinata nell’ambito delle attività senza valenza pubblicistica, costituendo attività professionale collocabile nel settore del commercio (Cass. Civ., 5 agosto 2008 n. 21137). Ne consegue che i documenti formati dall’investigatore sono qualificabili, quanto alla valenza probatoria, in termini di «scritti del terzo» e costituiscono, dunque, una prova atipica. Si versa, allora, nell’ambito della problematica di più ampio respiro concernente l’efficacia probatoria delle scritture vergate dai terzi. Si tende a distinguere, in argomento, tra gli scritti “neutri” del terzo e gli scritti formati in funzione testimoniale, poiché redatti da terzi nell’interesse della parte a formare il convincimento del giudice circa una tesi sostenuta. Orbene, quanto alla prima tipologia di scritti, il documento scritto non proveniente dalle parti in causa, bensì da un terzo estraneo al rapporto sostanziale intercorso tra le stesse, “può valere come indizio” (Cass. civ. sez. I, Sentenza n. 23554 del 12 settembre 2008) ma “con il supporto di altri elementi probatori”: e, però, presupposto indefettibile, è che lo scritto stesso non sia in sé una dichiarazione testimoniale elusiva delle debite forme di Legge. Infatti: dove lo scritto non sia neutro ma costituisca, in realtà, una deposizione testimoniale, allora esso, in tanto può avere piena efficacia probatoria in quanto il suo contenuto venga acquisito al procedimento mediante prova orale o mediante ricorso all’art. 257-bis c.p.c. Con l’ultima norma citata (introdotta dalla Legge 18 giugno 2009 n. 69) il Legislatore ha ormai tipizzato il solo caso in cui possa avere efficacia la “testimonianza scritta”: ne consegue che ogni altra procedura è in insanabile contrasto con il formante legislativo ove voglia pervenire a tale effetto (deposizione scritta valente come testimonianza) con mezzo diverso (scritto non sottoposto alle formalità di Legge). Tale rilievo ha trovato recente conferma giurisprudenziale allorché il Supremo Consesso (v. Cass. civ., sez. III, sentenza 10 febbraio – 5 marzo 2010, n. 5440) ha precisato che per “scritto del terzo” non può intendersi anche “una scrittura proveniente da terzo redatta e finalizzata in funzione volutamente probatoria di una tesi di parte”. La Suprema Corte (in relazione ai fatti cd. notori, v. Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 2008, n. 29728) ha anche ricordato come non si possa derogare (se non nei casi ex lege) “al principio dispositivo e al contraddittorio, introducendo nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati”. Ed, allora, il fatto di introdurre nel processo dichiarazioni di terzi “in funzione testimoniale”, formate fuori dal procedimento si traduce in uno strappo al tessuto connettivo del “giusto processo” perché la deposizione trova ingresso nella lite giudiziale senza un vaglio condotto dal Giudice, e senza il contraddittorio delle parti. Su questa premessa maggiore, qualificate le relazioni degli investigatori privati come scritti del terzo in funzione di supporto testimoniale alla tesi della parte che li ha incaricati (premessa minore), ne consegue che, nel processo civile, non possono essere utilizzate le dichiarazioni testimoniali degli investigatori ma, semmai, i fatti precisi, circostanziati e chiari che il terzo (investigatore) abbia appreso con la sua percezione diretta: e ciò mediante la raccolta della prova orale nel processo. Nel caso di specie, la parte, con il cap. 42, ha chiesto la conferma del rapporto e non ha, invece – come avrebbe dovuto – formulato la prova testimoniale per capitoli, così violando il disposto dell’art. 244 c.p.c.
Per tutti i rilievi svolti, la causa è matura per la decisione ed è fissata udienza di precisazione delle conclusioni ex artt. 183, comma VII, 187 c.p.c.
Per Questi Motivi
Prove Orali e documentali
Letto ed applicato l’art. 183, comma VII, c.p.c.
Dispone l’acquisizione dei documenti prodotti ed allegati dalle parti poiché ammissibili e rilevanti ai fini del decidere, con esclusione della produzione n. 4 della parte convenuta (rapporto investigativo) che dichiara inammissibile
Non Ammette le prove orali richieste dalla parte attrice
Non Ammette le prove orali richieste dalla parte convenuta
Respinge le altre richieste istruttorie
Fissa l’udienza in data 17 settembre 2013, ore 10.15 per la precisazione delle conclusioni
visti gli artt. 72, 74 disp. att. cod. civ.,
Invita i difensori che non lo abbiamo già fatto, a provvedere, senza indugio, alla regolarizzazione del fascicolo di parte, dotandolo di apposito indice degli atti e dei documenti, ove mancante. Riserva ogni provvedimento di Legge in caso di inottemperanza.
Il Giudice
dott. Giuseppe Buffone