In data 24 Gennaio 2012 l’Acting General Counsel del NATIONAL LABOR RELATIONS BOARD (NLRB) degli Stati Uniti ha pubblicato un secondo rapporto in merito a casi recenti che presentavano particolari questioni nel campo dei social media.
Nel primo caso, il NLRB ha esaminato la legittimità di un codice disciplinare che impediva ai dipendenti di “denigrare” il datore di lavoro con ogni strumento di comunicazione, ritenendo che la suddetta regola di condotta fosse illegittima.
Inoltre, il NLRB ha anche ritenuto illegittimo il licenziamento di una dipendente per aver pubblicato commenti critici nei confronti del datore di lavoro su Facebook.
La dipendente lavorava nel reparto “chiamate in arrivo” presso uno dei call center dell’imprenditore.
In data 7 Ottobre 2010, il suo diretto superiore l’aveva informata che, a causa di una riduzione delle chiamate in entrata, sarebbe stata trasferita in un altro settore produttivo.
Il giorno successivo, l’impiegata si è rivolta al suo superiore esprimendo la propria frustrazione in merito al trasferimento (considerato che nel reparto di destinazione avrebbe con ogni probabilità guadagnato minori bonus) affermando che, alla luce del proprio elevato rendimento (era la dipendente del reparto con il secondo miglior punteggio in tutte le statistiche interne), il suo trasferimento fosse privo di qualsivoglia logica.
Dopo essere rientrata a casa, la dipendente ha aggiornato il proprio stato su Facebook: utilizzando imprecazioni ha affermato di essere un’ottima lavoratrice e che il datore di lavoro avesse commesso un serio errore.
La dipendente inoltre aveva delle amicizie su Facebook con circa dieci colleghi compreso il suo diretto superiore.
L’aggiornamento dello stato in questione era stato commentato da alcuni colleghi, i quali avevano tutti espresso la propria solidarietà e uno di loro aveva addirittura suggerito di avviare una class action nei confronti dell’imprenditore.
Il 12 Ottobre la dipendente è rientrata nel luogo di lavoro e, al termine della giornata lavorativa, il datore di lavoro le ha comunicato il licenziamento per i commenti da lei pubblicati su Facebook, come attestati da una copia cartacea della propria bacheca che il datore stesso ha provveduto a mostrarle.
Il NLRB ha, in primo luogo, rilevato che la regola del Codice disciplinare che proibiva di “effettuare commenti denigratori nei confronti dell’impresa attraverso qualsiasi strumento di comunicazione, inclusi blog, altri strumenti elettronici etc.” fosse illegittima in quanto finalizzata ad ostacolare l’esercizio da parte dei lavoratori dei diritti riconosciuti dalla Sezione 7 del National Labor Relations Act.
Esso, infatti, stabilisce che i lavoratori hanno il diritto […] di partecipare ad azioni concertate per finalità di contrattazione collettiva o di aiuto o protezione reciproca e hanno anche il diritto di astenersi da alcune o tutte le predette attività.
Il NLRB, inoltre, ha valutato il successivo licenziamento della lavoratrice in questione concludendo che, in tale ipotesi, il datore di lavoro avesse illegittimamente licenziato la propria dipendente in risposta ad una attività lecita e protetta di quest’ultima.
Nel caso Meyers II (Meyers II, 281 NLRB at 887) il NLRB, infatti, aveva affermato che la nozione di azione concertata, protetta dalla citata Sezione 7, ricomprende quelle circostanze nelle quali lavoratori singoli tentano di iniziare, indurre o preparare un’azione collettiva.
In conclusione, il NLRB ha ritenuto che l’iniziale dichiarazione su Facebook della lavoratrice e le discussioni da essa generate costiuissero chiaramente delle “lamentele” con riferimento alle condizioni di lavoro e al comportamento datoriale nei confronti dei lavoratori e che dovessero a tutti gli effetti essere ricomprese nella definizione di azioni concertate che certamente appariva riferibile anche all’incitamento di un’azione collettiva attraverso il dibattito con i colleghi.