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Nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, qualora si riscontri una accentuata flessibilità di confini tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, tenuto altresì conto delle specifiche modalità di esercizio della prestazione e della minima condizione di debolezza economica in cui il lavoratore venga di fatto a trovarsi rispetto alla controparte, diviene rilevante la valutazione del documento negoziale stipulato e la denominazione del rapporto in esso attribuito.

Lo afferma la Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 19568, pubblicata il 26 agosto 2013.

Il caso.La Corte d’appello di Trento, in riforma della sentenza del Tribunale di Trento del 13 luglio 2007, ha rigettato la domanda proposta dal lavoratore C.S. volta ad ottenere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la Casa di Cura Villa Bianca s.p.a. per la quale svolse mansioni di medico responsabile del servizio di analisi.

La questione. Sul rapporto di lavoro subordinato o autonomo. Principio oramai consolidato è quello secondo cui ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro autonomo o subordinato, deve farsi riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto stesso e alle sue specifiche modalità di svolgimento. La formale qualificazione, ovvero il nomen iuris, operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non può essere in alcun modo determinante e non esime il giudice dal puntuale accertamento del comportamento in concreto tenuto nell’attuazione del rapporto.

L’elemento della subordinazione come modalità d’essere del rapporto. Inoltre, l’elemento della subordinazione, quale assoggettamento al potere direttivo, disciplinare e di controllo dal lavoratore e che consente di distinguere il rapporto di lavoro di cui all’art. 2094 cod. civ. dal lavoro autonomo, costituisce una modalità di essere del rapporto desumibile da un complesso di circostanze, la cui valutazione spetta al Giudice di merito.

Tuttavia, la volontà contrattuale diventa elemento dirimente allorquando il lavoratore non è economicamente parte debole .Infatti, la valutazione del documento negoziale è tanto più rilevante, quanto più labile appare il confine tra le figure contrattuali astrattamente configurabili, e potrà assumere una incidenza decisoria anche allorquando tra dette figure vi sia quella del rapporto di lavoro subordinato. Esempi possono essere le ipotesi in cui per le specifiche modalità dell’esercizio delle prestazioni e per la condizione di non debolezza economica del lavoratore nei confronti della controparte, finisca il lavoratore stesso per risultare più libero e meno condizionabile nella scelta delle regole cui voglia assoggettarsi nella prestazione della propria attività.

Il caso in specie. Il lavoratore non diede prova degli elementi della retribuzione e del potere direttivo o repressivo del datore di lavoro. Inoltre, quanto emerso in corso di giudizio, ovvero l’aver gestito in proprio il lavoro svolto, non ricevendo direttive programmatiche o indicazioni di altro tipo dal direttore sanitario, ha costituito circostanza non incompatibile con la natura autonoma del rapporto di lavoro.

Tali elementi, uniti al rilievo dato dal Giudice d’Appello al nomen iuris del negozio regolante il loro rapporto, hanno indotto la Corte al rigetto del ricorso proposto dal lavoratore.

CortediCassazione,sez. Lavoro, sentenza 6 febbraio – 26 agosto 2013, n. 19568Presidente Vidiri – Relatore Maisano

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20 febbraio 2009 la Corte d’appello di Trento, in riforma della sentenza del tribunale di Trento del 13 luglio 2007, ha rigettato la domanda di C.S. intesa, per quanto rileva in questa sede, ad ottenere il riconoscimento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la Casa di Cura Villa Bianca s.p.a. per la quale ha svolto le mansioni di medico responsabile del servizio di analisi dal (omissis) . La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando che il C. ha sempre emesso regolare fattura in relazione al compenso ricevuto mensilmente con assegno; per 15 anni ha consapevolmente accettato la natura autonoma del rapporto di lavoro senza rivendicare alcunché se non al termine del rapporto stesso; il C. non ha dato prova della subordinazione con riferimento all’esistenza di un potere direttivo e di controllo da parte del datore di lavoro; dalla prova testimoniale espletata è emerso che il C. gestiva in proprio il suo lavoro senza ricevere direttive programmatiche da parte del datore di lavoro; non era soggetto all’osservanza di un orario di lavoro, non timbrava cartellini né era tenuto a chiedere il godimento di ferie che nemmeno comunicava formalmente, e pagava autonomamente un sostituto quando si assentava per ferie assumendosi quindi in proprio il rischio imprenditoriale. In presenza della iniziale volontà delle parti di stipulare un contratto di lavoro autonomo sarebbe stato onere del lavoratore fornire una prova rigorosa e precisa sull’esistenza degli elementi caratterizzanti il rapporto di lavoro subordinato, mentre sussistono indizi dimostrativi dell’esistenza di un rapporto di lavoro autonomo.
Il C. propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su cinque motivi.
Resiste con controricorso la Casa di Cura Villa Bianca s.p.a..
Entrambe le parti hanno presentato memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2094 e 2222 cod. civ. con riferimento all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. e, in alternativa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso relativo alla presunta omessa rivendicazione della subordinazione da parte del ricorrente, con riferimento all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ.. In particolare si deduce che la corte territoriale avrebbe dato maggiore rilevanza alla qualificazione formale data dalle parti al rapporto di lavoro anziché esaminare il concreto svolgimento del medesimo.
Con il secondo motivo si deduce ancora insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo relativo alla presunta omessa e tardiva rivendicazione della subordinazione da parte del ricorrente, con riferimento all’art. 360, n. 5 cod. proc. civ..
Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 2094 cod. civ. con riferimento al concetto di subordinazione in caso di “mansioni elevate”, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ.. In particolare si assume che non sarebbe stato considerato l’ampio margine di autonomia tecnica e professionale insita nell’attività svolta dal C. , e sarebbe stato omessa la considerazione delle conseguenze che derivano dalle mansioni elevate caratterizzate da specifica professionalità che influiscono nella configurabilità del rapporto di lavoro subordinato.
Con il quarto motivo si deduce carente e contraddittoria motivazione sul fatto decisivo relativo all’inserimento nella organizzazione aziendale e sul fatto decisivo relativo al compenso mensile ricevuto in misura fissa e continuativa per circa quindici anni, ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc. civ..
Con il quinto motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su ulteriori fatti controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc. civ.. In particolare si lamenta il mancato esame di criteri caratterizzanti la subordinazione quali l’osservanza di un orario di lavoro predeterminato, il versamento a cadenze fisse di una retribuzione prestabilita, e l’assenza, in capo al lavoratore, di una sia pur minima struttura imprenditoriale.
I motivi precedenti vanno esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione sia sul versante giuridico che su quello fattuale per essere tutti volti a dimostrare, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, la natura subordinata del rapporto instauratesi tra il C. e la Casa di Cura. L’infondatezza di detti motivi determina il rigetto del ricorso in ragione del seguente iter argomentativo.
È stato affermato in giurisprudenza che, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro autonomo o subordinato, deve farsi riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto stesso e alle sue specifiche modalità di svolgimento, potendo il richiamo alla iniziale volontà delle parti, cristallizzatasi nella redazione del contratto di lavoro, valere come elemento di valutazione ai fini dell’identificazione della natura del rapporto solo se ed in quanto le concrete modalità di svolgimento dello stesso lascino margini di ambiguità e/o di incertezze (cfr., al riguardo in tali termini Cass. 9 giugno 2000 n. 7931 cui adde Cass. 19 maggio 2001 n. 6868). Sempre in giurisprudenza è stato poi precisato, per quanto attiene alla natura autonoma o subordinata di un rapporto di lavoro, che la formale qualificazione operata dalle parti in sede di conclusione del contratto individuale, seppure rilevante, non può essere in alcun modo determinante e non esime il giudice dal puntuale accertamento del comportamento in concreto tenuto nell’attuazione del rapporto, posto che le parti, pur volendo attuare un rapporto di lavoro subordinato, potrebbero aver simulatamente dichiarato di voler un rapporto autonomo al fine di eludere la disciplina legale in materia, ovvero, pur esprimendo al momento della conclusione del contratto una volontà autentica, potrebbero, nel corso del rapporto, aver manifestato, con comportamenti concludenti, una diversa volontà (Cass. 27 agosto 2002 n. 12581) e si è anche evidenziato che l’elemento della subordinazione (che si connota, soprattutto, per l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo disciplinare e di controllo del datore di lavoro), che consente di distinguere il rapporto di lavoro di cui all’art. 2094 cod. civ. dal lavoro autonomo, non costituisce un dato di fatto elementare, quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto, potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze, richiedenti una complessiva valutazione (e ciò, in particolare, nei rapporti di lavoro, aventi natura professionale ed intellettuale) che è rimessa al giudice del merito, il quale, perciò, a tal fine, non può esimersi, nella qualificazione del rapporto di lavoro, da un concreto riferimento alle sue modalità di espletamento ed ai principi di diritto ispiratori della valutazione compiuta allo scopo della sussunzione della fattispecie nell’ambito di una specifica tipologia contrattuale, sicché se tale apprezzamento di fatto è immune da vizi giuridici ed è supportato da un’adeguata motivazione, si sottrae al sindacato di legittimità (cfr. Cass. 16 giugno 2006 n. 13935 e più di recente, sempre per il dictum secondo cui il criterio distintivo della subordinazione, e cioè l’assoggettamento del lavoratore al potere organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, debba essere necessariamente verificata sulla base di elementi sussidiali che il giudice di merito deve individuare con accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass. 15 giugno 2009 n. 13858). Sempre con riferimento al nomen iuris, la giurisprudenza di legittimità ha pure statuito che la valutazione del documento negoziale è tanto più rilevante, quanto più labile appare il confine tra le figure contrattuali astrattamente configurabili, e non può, dunque, non assumere una incidenza decisoria anche allorquando tra dette figure vi sia quella del rapporto di lavoro subordinato (Cass. 18 aprile 2007 n. 9264 in una fattispecie avente ad oggetto la valutazione di un documento negoziale in relazione al quale si è riconosciuta una rilevanza decisoria parametrata alla labilità dei confini tra lavoro subordinato ed associazione in partecipazione cui adde, in argomento, anche Cass. 7 ottobre 2004 n. 20002). Corollario dell’indirizzo giurisprudenziale, di certo estensibile anche ai casi in cui la iniziale pattuizione sulla natura del rapporto avvenga attraverso un accordo verbale e non con una dichiarazione scritta, assume maggiore rilevanza decisoria nelle ipotesi in cui si riscontri una accentuata flessibilità dei confini tra lavoro subordinato ed altre specifiche tipologie di rapporti lavorativi (ad esempio: lavoro autonomo quale quello dei giornalisti, dei medici convenzionati o degli esercenti professioni intellettuali; lavoro in associazione in partecipazione; lavoro del socio di cooperativa) ed anche nelle ipotesi in cui per le specifiche modalità dell’esercizio delle prestazioni e per la condizione di non debolezza economica (anche a seguito del trattamento economico e normativo pattuito) in cui il lavoratore di fatto venga a trovarsi a fronte della controparte, finisca il lavoratore stesso per risultare più libero e meno condizionabile nella scelta delle regole cui voglia assoggettarsi nella prestazione della propria attività.
Orbene, nel caso di specie il C. non ha saputo dare alcuna prova rispetto al potere direttivo o repressivo del datore di lavoro; e, come ha precisato la Corte d’appello, gestiva in proprio il lavoro svolto, non riceveva direttive programmatiche o indicazioni di altro tipo dal direttore sanitario, ed il fatto per cui si rapportasse con altro collaboratore o con colleghi, costituisce al più circostanza neutra, non incompatibile con la natura non subordinata del rapporto di lavoro. Elementi questi che, unitamente alla circostanza per cui correttamente il giudice d’appello ha dato rilievo al nomen iuris dato dalle parti al negozio regolante il loro rapporto, inducono a rigettare il ricorso del C. . Il ricorrente soccombente va condannato al pagamento delle spese di questo giudizio liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.


Avvocato Matteo Moscioni, con studio legale in Viterbo, si occupa prevalentemente di Diritto del Lavoro, Sindacale e Relazioni Industriali.

www.avvocatomatteomoscioni.com

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