La Suprema Corte torna a pronunciarsi sui limiti di configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia.
Qui di seguito le circostanze fattuali, così come riportate dai Giudici di Piazza Cavour: “Il primo dei due episodi di violenza fisica aveva luogo nel 2010, quando anche la madre della L. aveva assistito personalmente al pugno sferrato dal B. al figlio, provocandogli un vistoso ematoma; il secondo episodio appare più circostanziato, poichè attestato anche da referto medico e da testimonianza di persona estranea al contesto familiare, riguardando la brutale aggressione dell’indagato al figlio, tale da provocargli tumefazione e sanguinamento del labbro, mobilità di due denti e dolore alla mandibola, accaduta nel dicembre 2012.
Temporalmente nel mezzo e segnatamente nel settembre 2011 si colloca l’episodio dell’incontro avvenuto tra i coniugi L. – B. presso il luogo di lavoro di quest’ultimo e durante il quale, secondo la prospettazione d’accusa, la denunziante sarebbe stata aggredita sia verbalmente che fisicamente, pur non essendovi al riguardo alcuna certificazione medica”.
Ciò posto, occorre ora chiedersi se la fattispecie in oggetto sia penalmente rilevante e, se si, a quale figura di reato possa essere ricondotta.
Sul punto, giova precisare come il delitto di cui all’art. 572 c.p. sia caratterizzato da condotte, le quali, singolarmente considerate, sono sussumibili all’interno di diverse figure di reato (ingiurie, minacce, lesioni).
Ciò che però le rende penalmente rilevanti ex art. 572 c.p. è la loro costanza ed “abituabilità”, tale da renderle espressione di un comportamento da potersi considerare unitario.
La Suprema Corte, infatti, ha così precisato: “Il reato de quo richiede, infatti, per la sua configurazione, una serie abituale di condotte che possono estrinsecarsi in atti lesivi dell’integrità psico – fisica, dell’onore, del decoro o di mero disprezzo e prevaricazione del soggetto passivo, attuati anche in un arco temporale ampio, ma entro il quale possono agevolmente essere individuati come espressione di un costante atteggiamento dell’agente di maltrattare o denigrare il soggetto passivo.
Secondo la giurisprudenza elaborata da questa Sezione, invece, fatti occasionali ed episodici, pur penalmente rilevanti in relazione ad altre figure di reato (ingiurie, minacce, lesioni) determinati da situazioni contingenti (ad es. rapporti interpersonali connotati da permanente conflittualità) e come tali insuscettibili di essere inquadrati un una cornice unitaria, non possono assurgere alla definizione normativa di cui all’art. 572 cod. pen. (Cass. pen. sez. 6 n. 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv. 226794; sez. 6 n. 45037 del 2/12/2010, Dibra Rv. 249036)”.
In conclusione, la Suprema Corte non ritiene che, nel caso di specie, sia richiamabile il reato di maltrattamenti in famiglia, sia perchè si tratterebbe di episodi isolati, sia perchè dalle conversazioni avvenute tra le parti (tramite la chat di facebook) i rapporti risultavano essere non del tutto compromessi e, in ogni caso, tesi ad un civile confronto, sia, infine, perchè gli episodi in questione sarebbero stati determinati da “… situazioni contingenti”.
In particolare, si fa qui riferimento alla circostanza per cui i due coniugi si stavano separando, anche in considerazione della relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 8 – 20 gennaio 2014, n. 2326
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO’ Antonio – Presidente –
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Consigliere –
Dott. LEO Guglielmo – Consigliere –
Dott. VILLONI Orlando – rel. Consigliere –
Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.F., n. (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 1805/13 Tribunale di Roma, Sez. per il Riesame dell’8/07/2013;
esaminati gli atti e letti il ricorso ed il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto P.G., dott. VIOLA Alfredo Pompeo che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Roma, sezione per il Riesame, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza del 19/06/2013 con cui il GIP del locale Tribunale aveva disposto la misura dell’allontanamento dalla casa familiare a carico di B.F., ravvisando a suo carico gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di maltrattamenti in famiglia compiuto ai danni della coniuge convivente L.L. e del figlio E. a partire dell’anno 2011 e la sussistenza del pericolo di reiterazione di reati della stessa specie.
Rispondendo alle doglianze formulate dalla difesa dell’indagato, il Tribunale evidenziava il deterioramento del rapporto coniugale insorto a partire dal 2011; le violenze contro il figlio minore manifestatesi anche in precedenza (2010) e ripropostesi nel 2012, quali attestate da dichiarazioni di testimoni e referti medici; i maltrattamenti compiuti ai danni della moglie, anche essi attestati dalle dichiarazioni di testimoni oltre che dalle denunzie dell’interessata; i comportamenti da stalker attuati dall’indagato, acuitisi nell’apprendere di una relazione extraconiugale intrapresa dalla moglie; la sussistenza in definitiva di una pluralità di fonti indiziarie atte a fungere da elementi di riscontro alle denunzie presentate dalla L.; la sussistenza di concrete esigenze di tutela dell’incolumità personale dei denunzianti a fondamento dell’adottata misura coercitiva.
2. Avverso detta ordinanza ha presentato ricorso l’indagato B. F., con atto sottoscritto dal suo difensore, con cui deduce mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento e di altri atti del procedimento specificamente indicati ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. e) nonchè inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione all’art. 572 cod. pen. e art. 274 cod. proc. pen.
Deduce il ricorrente che il Tribunale ha solo apparentemente motivato in ordine alle specifiche doglianze della difesa, omettendo di soffermarsi su una nutrita serie di profili che, a suo dire, dimostrerebbero l’assoluta non veridicità delle prospettazioni provenienti dalla denunziante, alludendo in particolare al tenore dei colloqui intercorsi tra l’indagato e la coniuge dal gennaio 2009 al giugno 2013 su canali telematici chat a dimostrazione del mantenimento di un rapporto paritario ed ispirato a civile confronto;
all’inverosimiglianza della ricostruzione in facto della pretesa aggressione subita dalla L. nel settembre 2011; all’assenza di qualsivoglia certificazione medica riferibile alla parte offesa; alla mancata audizione del figlio minorenne E. in ordine alle presunte violenze subite dal padre; alla decisione autonomamente adottata di volersi separare legalmente a causa della scoperta della relazione extraconiugale della moglie; alla mancata audizione di testimoni più vicini alla figura dell’indagato.
Sotto il diverso profilo della violazione di legge, deduce inoltre il carattere occasionale dei presunti maltrattamenti; il timore mai palesato dalla denunziante nei confronti del marito, quale evidenziato dal tenore dei colloqui intrattenutisi tra gli stessi per via telematica; l’assenza totale di motivazione in ordine alle esigenze cautelari ed alla pericolosità sociale dell’indagato, ritenute sussistenti solo in ragione del clima coniugale emerso dalla vicenda e dalle azioni di controllo, condotte mediante apparecchiatura di registrazione, che il ricorrente avrebbe attuato durante il periodo di maggiore tensione coniugale.
Motivi della decisione
3. Il ricorso appare fondato nei termini di cui in motivazione.
Nella ricostruzione dei momenti salienti della vicenda descritta nella denunzia presentata da L.L. operata dal Tribunale, rilievo preminente assumono due episodi di violenza fisica di cui l’indagato si sarebbe reso protagonista ai danni del figlio minore E., nonchè un episodio di maltrattamenti che la donna avrebbe subito nel corso di un incontro avvenuto con il B. presso la sua azienda di lavorazione marmi corrente in località (OMISSIS).
Il primo dei due episodi di violenza fisica aveva luogo nel 2010, quando anche la madre della L. aveva assistito personalmente al pugno sferrato dal B. al figlio, provocandogli un vistoso ematoma; il secondo episodio appare più circostanziato, poichè attestato anche da referto medico e da testimonianza di persona estranea al contesto familiare, riguardando la brutale aggressione dell’indagato al figlio, tale da provocargli tumefazione e sanguinamento del labbro, mobilità di due denti e dolore alla mandibola, accaduta nel dicembre 2012.
Temporalmente nel mezzo e segnatamente nel settembre 2011 si colloca l’episodio dell’incontro avvenuto tra i coniugi L. – B. presso il luogo di lavoro di quest’ultimo e durante il quale, secondo la prospettazione d’accusa, la denunziante sarebbe stata aggredita sia verbalmente che fisicamente, pur non essendovi al riguardo alcuna certificazione medica.
Ciò premesso, sembra di poter agevolmente desumere come i comportamenti prevaricatori e/o violenti ascritti all’indagato si riducono a tre nell’arco di un triennio, in un contesto familiare e coniugale in costante deterioramento per via sia dei rapporti di segno negativo tra padre e figlio, sia dell’allentamento del vincolo coniugale determinante l’instaurazione di due relazioni extraconiugali da parte della L.
Così fissati i termini fattuali della vicenda e ferma restando la sussistenza di un sufficiente quadro di gravità indiziaria ad essi riferita, non sembra però possibile poterli complessivamente ricomprendere in un contesto unitario, normativamente connotato dalla figura di reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi delineata dall’art. 572 cod. pen.
Il reato de quo richiede, infatti, per la sua configurazione, una serie abituale di condotte che possono estrinsecarsi in atti lesivi dell’integrità psico – fisica, dell’onore, del decoro o di mero disprezzo e prevaricazione del soggetto passivo, attuati anche in un arco temporale ampio, ma entro il quale possono agevolmente essere individuati come espressione di un costante atteggiamento dell’agente di maltrattare o denigrare il soggetto passivo.
Secondo la giurisprudenza elaborata da questa Sezione, invece, fatti occasionali ed episodici, pur penalmente rilevanti in relazione ad altre figure di reato (ingiurie, minacce, lesioni) determinati da situazioni contingenti (ad es. rapporti interpersonali connotati da permanente conflittualità) e come tali insuscettibili di essere inquadrati un una cornice unitaria, non possono assurgere alla definizione normativa di cui all’art. 572 cod. pen. (Cass. pen. sez. 6 n. 37019 del 27/05/2003, Caruso, Rv. 226794; sez. 6 n. 45037 del 2/12/2010, Dibra Rv. 249036).
Nell’indicare ed apprezzare i fatti costitutivi del reato provvisoriamente contestato al ricorrente ed alla base della misura coercitiva di cui all’art. 282 bis cod. proc. pen. impostagli, i giudici del riesame non hanno, dunque, assolto in maniera adeguata all’onere di definire in concreto i termini della ritenuta sussistenza dell’ipotesi accusatoria, incorrendo nella violazione di legge determinata da una non corretta interpretazione dell’ambito applicativo dell’art. 572 cod. pen., specie in un contesto familiare, emergente anche dalle prospettazioni probatorie difensive, caratterizzato dal progressivo indebolimento dei rapporti coniugali (denunziante e indagato essendo oggi separati per iniziativa del ricorrente) pur inframmezzato da tentativi più o meno concreti di riavvicinamento affettivo degli interessati (v. l’aspetto delle conversazioni telematiche intercorse su Facebook in un arco temporale piuttosto ampio e la cui valenza è stata del tutto negletta in sede di riesame).
L’ordinanza impugnata deve essere, dunque, annullata, spettando al Tribunale competente argomentare in maniera più esauriente circa la possibilità di ravvisare nei fatti e negli episodi prospettati dall’accusa pubblica e privata il reato di maltrattamenti oggetto di provvisoria contestazione.
4. All’accoglimento del ricorso consegue l’annullamento dell’impugnata ordinanza ed il rinvio ai sensi dell’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. a) al Tribunale di Roma per nuovo esame.
P.Q.M.
annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2014.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2014
Approfondimento: Abuso dei mezzi di correzione e disciplina
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