Va riconosciuto il risarcimento per demansionamento nei confronti del lavoratore assunto nella categoria C del Ccnl del comparto del personale del SSN 1998-2001 che viene rilegato a fare fotocopie e fax, non potendo tali attività certo essere compatibili con le mansioni previste per la Cat. C, implicanti conoscenze teoriche specialistiche, elevate capacità tecniche, autonomia e responsabilità, né con il titolo di studio – laurea – posseduto dal lavoratore.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, con la sentenza n. 23170 dell’ 11 ottobre 2013.
Il caso. Il lavoratore M.G., con ricorso ex art. 414 c.p.c., conveniva in giudizio l’azienda USL di Viareggio, assumendo di essere stato illegittimamente dequalificato; sosteneva di essere stato assunto a chiusura di un periodo di prova con mansioni di concetto ma di essere finito a fare fotocopie e fax. Domandava, pertanto, al Giudice del Lavoro l’accertamento di tale violazione e per l’effetto la condanna dell’azienda convenuta all’assegnazione alle mansioni corrispondenti alla qualifica, oltre al risarcimento per tale dequalificazione e svuotamento delle mansioni.
Il Tribunale di Lucca accoglieva parzialmente la sua domanda, accertando il demansionamento e condannando la USL di Viareggio ad adibirlo in mansioni confacenti al livello di inquadramento. Tuttavia, il Tribunale rigettava, perchè non provata, la domanda risarcitoria ed altresì quella relativa al premio di produttività.
Il lavoratore M.G. proponeva così appello avverso la sentenza del Giudice di prime cure, chiedendo la riforma con integrale accoglimento del ricorso introduttivo.
La Corte d’appello di Firenze, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dal lavoratore, condannava la Azienda appellata a risarcire al lavoratore il danno con il pagamento della somma di Euro 500.00 mensili per tutto il tempo decorrente dallo scadere del periodo di prova e fino al 30/4/2004, oltre ad interessi sulle somme rivalutate dalla data della sentenza e fino al definitivo soddisfo.
Avverso questa decisione la Usl di Viareggio ricorreva in Cassazione.
La quaestio. Il Tribunale e la Corte d’appello hanno uniformemente valutato come le originarie mansioni del lavoratore, di cui al contratto di assunzione, dovevano esser inquadrate alla categoria C. del contratto di categoria, ove si prevedono mansioni di concetto, ed hanno accertato poi come invece il lavoratore fosse stato assegnato a mansioni meramente esecutive, ovvero fotocopie e fax.
Il demansionamento. Chiaro dunque il manifestarsi del demansionamento, caratterizzato da evidente gravità, essendosi protratto per quattro anni ed concretizzatosi in mansioni non già solo collocabili al limite della qualifica posseduta, bensì molto inferiori ad essa, come effettuare fotocopie e fax e talora portare il caffè ad altri dipendenti. Tali mansioni con tutta evidenza non implicavano conoscenze teoriche specialistiche, elevate capacità tecniche, autonomia e responsabilità, né richiedevano il titolo di studio – laurea – posseduto dall’uomo, così come previsto nella categoria “C”.
Cos’è il demansionamento. Il demansionamento si verifica in tutte quelle ipotesi in cui il lavoratore sia adibito a mansioni diverse e non equivalenti a quelle di assunzione o, comunque, alle ultime di fatto svolte. Pertanto si tratta di una discrasia tra quanto, in sede di stipula del contratto individuale di lavoro, era stato stabilito in punto di esercizio della prestazione, e l’effettivo ruolo ricoperto dal lavoratore all’interno dell’azienda. In tal senso rileva l’art. 2103 c.c. il quale sancisce il diritto del prestatore di lavoro alla adibizione alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcun pregiudizio a livello retributivo.
Da tale menzionato articolo si possono evincere una serie di doveri, divieti e obblighi del datore di lavoro, così riassumibili:
– dovere di adibire il lavoratore alle mansioni per cui è stato assunto;
– dovere di adibire il lavoratore alle mansioni corrispondenti alla categoria o al livello professionale che abbia acquisito in costanza di rapporto, e comunque, a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte;
– divieto di riduzione della retribuzione;
– dovere di corrispondere il relativo trattamento economico, in caso di adibizione, seppur provvisoria a mansioni superiori;
– dovere di non adibire il lavoratore a mansioni inferiori;
– dovere di assegnazione definitiva, qualora l’adibizione a mansioni superiori si prolunghi oltre i tre mesi e non abbia avuto luogo per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto;
Vietata, a pena di nullità, qualsiasi pattuizione contraria ai divieti di cui sopra.
La dignità del lavoratore. Non revocabile in dubbio, pertanto, nel caso in specie, la lesione del diritto alla dignità sul luogo di lavoro, con rispetto del patrimonio professionale insito nell’inquadramento spettante al lavoratore, secondo l’atto di assunzione, così come il diritto al risarcimento del danno in favore del lavoratore.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 18 aprile – 11 ottobre 2013, n. 23170
Presidente Vidiri – Relatore Amoroso
Svolgimento del processo
1. Con ricorso ex art. 414 cpc del 30.4.2004 G.M. conveniva in giudizio l’azienda USL n. 12 di Viareggio, assumendo di essere stato illegittimamente dequalificato, in violazione dell’art. 2103 cod. civ. nonché delle norme contrattuali di cui al ccnl del comparto del personale del SSN 1998-2001. Domandava accertarsi tale violazione e condannare l’azienda convenuta all’assegnazione alle mansioni corrispondenti alla qualifica. Contestava altresì come tale dequalificazione professionale e svuotamento di mansioni avesse determinato una lesione – danno ingiusto, del quale chiedeva il risarcimento. In particolare lamentava il prolungato demansionantento e chiedeva la reintegra nelle mansioni corrispondenti all’inquadramento ‘C’ per il quale era stato assunto, oltre al risarcimento dei danni. In giudizio si costituiva l’Azienda USL, contestando le domande avanzate dal lavoratore e, in particolare, fondando la propria difesa sulla circostanza della non idoneità del ricorrente a svolgere mansioni di assistente amministrativo. Con sentenza n. 324 del 17/6/2007 il Tribunale di Lucca, giudice del lavoro, accoglieva parzialmente il ricorso di M.G., accertando il suo demansionamento e condannando il datore di lavoro Azienda-USL-12 di Viareggio ad adibirlo in mansioni confacenti al livello di inquadramento. Rigettava, perché non provata, la domanda risarcitoria ed altresì quella relativa al premio di produttività. 2. Il M. appellava la decisione e ne chiedeva la riforma con integrale accoglimento del ricorso introduttivo. L’Azienda-USL-12 di Viareggio resisteva al gravame, ma proponeva altresì appello incidentale al fine di sentir rigettare integralmente il ricorso introduttivo. La Corte d’appello di Firenze con sentenza 19/2/2010 rigettava l’appello incidentale proposto da Azienda-USL-12 Viareggio avverso la sentenza n. 324 del 17/6/2007 del Tribunale di Lucca e, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dal M., condannava la Azienda appellata a risarcire al M. il danno specificato in parte motiva pagandogli la somma di €. 500,00 utensili per lutto il tempo decorrente dallo scadere del periodo di prova e fino al 30/4/2004, oltre ad interessi sulle somme rivalutate dalla data della sentenza e fino al definitivo soddisfo. Compensava fra le parti 1/4 delle spese del doppio grado, liquidando l’intero in complessi €. 8.000,00. 3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l’azienda USL 12 di Viareggio con due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata che ha anche depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è articolato in due motivi. Con il primo motivo l’USL di Viareggio contesta la decisione della Corte d’appello la quale ha stabilito: che la USL aveva legittimamente “provato” il lavoratore su diverse posizioni lavorative; che all’esito del periodo di prova, pur potendo, come l’ordinamento glielo consentiva, recedere per mancato superamento dello stesso, aveva optato per il mantenimento in servizio; che, questo punto, al lavoratore andava applicato il trattamento previsto dal contratto e, dunque, in particolare, lo stesso andava assegnato a mansioni in linea con il livello di inquadramento; ciò che non era avvenuto. Con il secondo motivo la ricorrente contesta il riconoscimento del danno risarcibile. 2. Il ricorso – i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente – è infondato. 2.1. Il primo motivo di ricorso, che riguarda l’esistenza del demansionamento ritenuto sia dal giudice di primo grado che dalla corte d’appello, muovono essenzialmente censure in fatto, esprimendo un mero dissenso nella valutazione delle risultanze di causa, quale quella operata dalla sentenza impugnata, confermativa in questa parte della pronuncia di primo grado, con tipico apprezzamento di merito. Il tribunale e la Corte d’appello hanno valutato concordemente le mansioni dell’originario ricorrente come riferibili alla categoria C di inquadramento, sicché erano certamente di concetto, ed hanno rilevato come invece il lavoratore fosse stato in concreto assegnato a mansioni meramente esecutive, ossia a fare fotocopie e fax. In diritto poi correttamente la corte d’appello ha richiamato il secondo comma dell’art. 10 della legge n. 68 del 1999 che prevede che il datore di lavoro non può richiedere al disabile una prestazione non compatibile con le sue minorazioni. Pertanto l’azienda ricorrente non poteva fondatamente eccepire che il lavoratore non era in concreto in grado di svolgere mansioni di concetto. Giustamente la corte d’appello rileva che l’azienda avrebbe potuto semmai concordare con il lavoratore un patto di demansionamento; cosa che invece non ha fatto. 2.2. Parimenti non può essere accolto il secondo motivo perché infondato. La corte d’appello sta ritenuto assolto l’onere probatorio di dimostrare il danno risarcibile a mezzo di presunzioni ed ha specificamente indicato gli elementi da cui desumere il danno. Infatti la corte territoriale ha tenuto conto della consistente durata del demansionamento, essendosi esso protratto per oltre quattro anni. Tale demansionamento poi presentava in se connotati di gravità, posto che non erano state affidate al M. mansioni non già solo collocabili al limite della qualifica posseduta, bensì molto inferiori ad essa, posto che effettuare fotocopie e fax non poteva certo essere comparabile con le mansioni previste per la Cat. ‘C’ che implicavano conoscenze teoriche specialistiche, elevate capacità tecniche, autonomia e responsabilità, né con il titolo di studio – laurea – posseduto. La Corte poi menziona poi anche il fatto che era uso che agli impiegati inquadrati a bassi livelli si potesse richiedere che portassero il caffè ad altri. Nel complesso, quindi, la Corte d’appello ha motivatamente ritenuto che i fatti accertati consentissero di ritenere acquisita, sia pur presuntivamente, la dimostrazione di una lesione del diritto alla dignità della persona sul luogo di lavoro con rispetto del patrimonio professionale insito nell’inquadramento spettante al lavoratore, secondo l’atto di assunzione (o successivamente acquisito). 3. Il ricorso va quindi nel suo complesso rigettato. Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali di questo giudizio di cassazione nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione liquidate in euro 50,00 (cinquanta) per esborsi, oltre euro 3.000,00 (tremila) per compensi d’avvocato ed oltre accessori di legge
Avvocato Matteo Moscioni, con studio legale in Viterbo, si occupa prevalentemente di Diritto del Lavoro, Sindacale e Relazioni Industriali.