Il Tribunale di Prato, con sentenza dell’11 novembre 2011, si occupa della ripartizione dell’onere della prova nel caso in cui si deduca la falsità della firma.
Il caso. M. F. J. cita in giudizio la D. B. s.p.a., per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito del pagamento degli assegni n. xxx di € 1.450,00 e n. xxx di € 1.500,00, effettuato senza il preventivo accertamento della corrispondenza tra le firme di traenza e lo specimen depositato dall’attore presso la banca convenuta.
La decisione. Il Tribunale parte dal presupposto che la responsabilità fatta valere dall’istante nei confronti della banca convenuta sia di tipo contrattuale, derivante cioè dalla convenzione c.d. di assegno, in base alla quale la banca, in presenza di fondi disponibili sul conto corrente del traente, si obbliga al pagamento degli assegni emessi da quest’ultimo.
Tale presupposto implica, ai fini della ripartizione dell’onere della prova, l’applicazione di quanto stabilito dalle S.U. della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13533/2001, secondo cui è il debitore a dover provare l’esatto adempimento della propria obbligazione, che costituisce il fatto estintivo dell’altrui pretesa risarcitoria, mentre il creditore può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento (non genericamente, ma) in modo specifico.
Nel caso in esame, il Tribunale ha ritenuto che l’attore abbia adempiuto al proprio onere di allegazione, avendo esattamente indicato le circostanze e gli assegni pagati senza la dovuta verifica della corrispondenza tra la firma di traenza e lo specimen.
La banca convenuta, invece, non ha chiesto la c.t.u. sull’autenticità delle firme di traenza sugli assegni. Tale c.t.u. è stata invece chiesta dall’attore e respinta perché il Giudice ha ritenuto non contestata l’apocrifia delle firme sugli assegni pagati.
In conclusione, la banca convenuta non solo non ha contestato quanto allegato dalla controparte sulla falsità delle firme di traenza, ma, soprattutto, non ha dato prova di avere esattamente adempiuto alla propria obbligazione con la diligenza del c.d. buon banchiere ex art. 1176, II comma, c.c.
Tribunale di Prato
Sentenza 11 novembre 2011
(Giudice Unico Brogi)
Fatto e diritto
M. F. J. ha convenuto in giudizio la D. B. s.p.a., per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito del pagamento degli assegni n. (omissis) di € 1450,00 e (omissis) di € 1500,00, effettuato senza il preventivo accertamento della corrispondenza tra le firme di traenza e lo specimen depositato dall’attore presso la banca convenuta.
L’attore, già correntista presso la D. B. s.p.a., ha esposto che nel periodo compreso tra maggio e giugno 2004 furono posti all’incasso quattro assegni tratti sul suo conto corrente.
I primi due assegni di € 1450,00 ed € 1500,00 furono pagati dalla banca convenuta, mentre altri due assegni di € 1450,00 furono invece bloccati da quest’ultima, che avvisò il cliente della mancanza di fondi.
L’attore a quel punto si accorse di essere stato derubato del libretto degli assegni e sporse immediatamente querela presso la Caserma dei Carabinieri di Prato. Recatosi poi presso la banca, lo stesso si accorse della differenza tra le firme di traenza sui due assegni pagati e su quelli bloccati e quella apposta sullo specimen depositato. In considerazione della mancata verifica tra le firme cui sarebbe stata tenuta la banca, in ossequio alla diligenza del c.d. buon banchiere ex art. 1176, II comma, c.c. l’attore ne ha chiesto la condanna al risarcimento dei danni.
Si è costituita la D. B. s.p.a., che a fronte della domanda di risarcimento dello J. ha sollevato le seguenti eccezioni di merito:
1. la denuncia del furto è avvenuta il 31 maggio 2004 e, secondo l’attore, il furto sarebbe avvenuto lo stesso giorno, mentre gli assegni pagati dalla banca sono stati emessi il 27/5/2004: tale circostanza è sufficiente a far respingere la domanda, indipendentemente dall’identificazione del presentatore o del traente;
2. dalla data del pagamento a quella dell’introduzione del presente giudizio sono trascorsi due anni: è evidente che il M. ben sapeva a chi aveva consegnato gli assegni.
La responsabilità della convenuta risulterebbe quindi esclusa o, comunque, attenuata sotto il profilo della causalità per aver il M. consegnato volontariamente a terzi gli assegni.
La convenuta ha poi chiesto la chiamata in causa della B. P. dell’E. e del L. Soc. Coop. Il primo dei due assegni risulta infatti emesso all’ordine “mio proprio” ed è stato incassato da persona presentatasi come M. F. J.
La B. P. dell’E. e del L. Soc. Coop. non ha quindi usato in primo luogo la dovuta diligenza nell’identificazione del presentatore dell’assegno.
In secondo luogo si è poi rifiutata di indicare il nominativo di quest’ultimo alla D. B., in violazione del regolamento di autoassicurazione, impedendo in tal modo l’azione di ripetizione per l’indebito oggettivo ex art. 2033 c.c.
Inoltre, la convenuta ha chiesto di chiamare in causa P. C., che risulta aver negoziato ed incassato l’altro assegno presso la Cassa di Risparmio di F., la quale, a differenza della B. P. dell’E. e del L. Soc. Coop., ha indicato il nominativo del presentatore dell’assegno.
La convenuta ha pertanto concluso per il rigetto della domanda attrice e, per il caso di soccombenza, ha chiesto di essere rilevata indenne dalla B. P. dell’E. e del L. Soc. Coop. e da C. P. di tutto quanto sia condannata a pagare all’attore.
Si è costituita la B. P. dell’E. e del L. Soc. Coop. (d’ora in poi B.P.E.L.), che, a fronte della domanda proposta dalla banca convenuta nei suoi confronti ha sollevato le seguenti eccezioni di merito:
1. la parte attrice ha tenuto un comportamento negligente nella custodia del libretto degli assegni, qualificabile come gravemente colposo ai sensi dell’art. 1227 c.c.;
2. non sussiste alcuna responsabilità della terza chiamata, che si è limitata a fare l’operazione di versamento dell’assegno nel conto corrente del proprio cliente cartolarmente legittimato al momento della presentazione dell’assegno. Quest’ultimo è stato poi pagato dalla D. B. s.p.a., quale banca trattaria, che ha pertanto acclarato la regolarità formale e sostanziale del titolo;
3. la B.P.E.L. ha motivato la mancata indicazione del nominativo del proprio correntista invocando le norme del d.lgs. n. 196/2003, ritenendo inoperante nel caso di specie l’esimente di far valere in giudizio un proprio diritto;
4. la verifica sulla corrispondenza della firma di traenza con lo specimen spetta alla sola banca trattaria.
La B.P.E.L. ha pertanto chiesto il rigetto della domanda avanzata nei suoi confronti.
Si è costituito altresì il terzo chiamato P. C., che ha sollevato le seguenti eccezioni:
1. il M. ha denunciato il furto lo stesso giorno in cui è avvenuto, 31 maggio 2004, mentre gli assegni pagati dalla D. B. s.p.a. risultano emessi il 27 maggio 2004;
2. è la banca trattaria a dover accertare l’autenticità della firma di traenza;
3. il C. ha incassato il titolo a seguito di girata in bianco eseguita dal soggetto che non è il traente;
4. le caratteristiche del titolo di credito costituite dalla letteralità e dall’autonomia tutelano l’affidamento del terzo cui il diritto sia stato trasferito.
Il C. ha pertanto chiesto il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.
Il petitum principale della presente causa è costituito dalla richiesta di risarcimento dei danni conseguenti all’avvenuto pagamento da parte della D. B. s.p.a. di due assegni addebitati sul conto corrente dell’attore, in esito alla negligente verifica della firma di traenza non corrispondente allo specimen depositato.
La responsabilità fatta valere dal M. nei confronti della D. B. s.p.a. è di tipo contrattuale, derivante cioè dalla convenzione c.d. di assegno, in base alla quale la banca, in presenza di fondi disponibili sul conto corrente del traente, si obbliga al pagamento degli assegni emessi da quest’ultimo.
L’inquadramento della responsabilità della banca nel paradigma di tipo contrattuale comporta, in termini di ripartizione dell’onere della prova, l’applicazione di quanto stabilito dalle S.U. della Corte di Cassazione con la sentenza n. 13533/2001. È pertanto il debitore a dover provare l’esatto adempimento della propria obbligazione, che costituisce il fatto estintivo dell’altrui pretesa risarcitoria, mentre il creditore può limitarsi ad allegare l’altrui inadempimento (non genericamente, ma) in modo specifico.
Nel caso in esame l’attore ha adempiuto al proprio onere di allegazione, avendo esattamente indicato le circostanze e gli assegni pagati senza la dovuta verifica della corrispondenza tra la firma di traenza e lo specimen. La banca convenuta non ha chiesto la c.t.u. sull’autenticità delle firme di traenza sugli assegni. Tale c.t.u. è stata invece chiesta dall’attore e respinta perché il Giudice ha ritenuto non contestata l’apocrifia delle firme sugli assegni pagati.
In effetti, la banca convenuta non solo non ha contestato quanto allegato dalla controparte sulla falsità delle firme di traenza (circostanza che potrebbe di per sé già essere decisiva se si ritiene – alla luce della sentenza n. 761/2002delle S.U. della Corte di Cassazione e anche delle successive sentenze di legittimità, come la n. 13830/2004 – che il principio di non contestazione fosse presente nel nostro sistema processuale anche prima della nuova formulazione dell’art. 115 c.p.c. ad opera della legge n. 69/2009), ma, soprattutto, non ha dato prova di avere esattamente adempiuto alla propria obbligazione con la diligenza del c.d. buon banchiere ex art. 1176, II comma, c.c.
In altre parole, alla luce del sistema di ripartizione dell’onere della prova in materia di responsabilità contrattuale, così come definito dal decisum delle S.U. della Corte di Cassazione del 2001, non era il correntista a dover provare la falsità della firma di traenza e la sua mancata corrispondenza con lo specimen, ma semmai la banca trattaria a dover provare di aver erogato il pagamento dell’importo indicato negli assegni a seguito delle opportune verifiche e comparazioni tra le firme stesse.
Nel caso in esame la banca convenuta si è difesa evidenziando una non chiara esposizione dei fatti da parte dell’attore. In particolare, la D. B. s.p.a. ha fatto leva su un’imprecisione del verbale di querela del 31 maggio 2004, dove, nella parte iniziale, il M. dà atto di essere stato avvisato il giorno della querela dalla propria banca dell’avvenuto pagamento di due assegni in data 28 maggio 2004 e del blocco di altri due assegni. A seguito di tale circostanza il M. aveva verificato che il libretto degli assegni mancava dal luogo nel quale era custodito.
Nella parte finale del verbale il M. dichiara invece di essere stato vittima del furto in abitazione in data 31 maggio 2004, ma, al contempo, precisa il numero di serie degli assegni sottratti, comprensivo anche di quelli pagati dalla banca convenuta ed emessi prima di tale data.
Pare quindi evidente che tale discordanza (riconducibile, al più, ad un errore ostativo o di tipo materiale – pur sempre in buona fede – fatto nella verbalizzazione) non possa alterare la corretta ricostruzione dei fatti, in base alla quale l’attore si è accorto degli assegni riscossi il 28 ma
ggio 2004 solamente quando la banca lo ha avvisato della mancanza di fondi, bloccando altri due assegni. Non c’è quindi contraddizione nella versione dell’attore.
Resta comunque, come già sottolineato, che era la banca a dover dare la prova di aver usato la diligenza del buon banchiere nella verifica della corrispondenza tra lo specimen e la firma di traenza.
Non risulta poi provata la negligenza dell’attore nella custodia del carnet degli assegni, posto che lo stesso ha dichiarato di averlo nascosto tra i propri indumenti e non risultano emersi ulteriori elementi idonei a provare una condotta di tipo colposo, rilevante ai sensi dell’art. 1227, I comma, c.c.
La domanda principale proposta dal M. nei confronti della D. B. è fondata e deve essere pertanto accolta, con la condanna della convenuta al risarcimento del danno per un ammontare pari alle somme addebitate sul conto corrente dell’attore per il pagamento dei due assegni apocrifi, pari ad € 2.950,00, oltre interessi legali dal 28 maggio 2004 al saldo.
Con riferimento alla domanda proposta nei confronti dei terzi chiamati occorre distinguere la posizione della B.P.E.L. da quella di P. C.
La banca terza chiamata ha infatti negato la propria responsabilità, sulla base del fatto che la verifica della corrispondenza tra la firma di traenza e lo specimen spetta alla sola banca trattaria, mentre la banca negoziatrice dell’assegno è tenuta solamente ad identificare il presentatore di quest’ultimo, del quale la B.P.E.L. non ha indicato le generalità, assumendo che, nel caso in esame, non operava l’esimente di fare valere in giudizio un proprio diritto.
Tale ultima affermazione costituisce, tuttavia, una commistione dei profili di responsabilità rilevanti nella vicenda in esame.
Da un lato c’è infatti la responsabilità contrattuale della banca trattaria verso il proprio correntista, nei confronti del quale la prima risponde di inadempimento, per il pagamento di un assegno senza la dovuta verifica di corrispondenza tra lo specimen e la firma di traenza.
A tale rapporto contrattuale è estranea la banca che ha negoziato l’assegno presentato all’incasso, nei confronti della quale opera il c.d. principio di relatività del contratto, con la conseguenza che il correntista della banca trattaria non può avanzare alcuna pretesa nei suoi confronti.
Dall’altro lato, la stessa banca trattaria può agire ex art. 2033 c.c. nei confronti di chi – sia esso autore della falsificazione o un terzo – ha posto l’assegno all’incasso in mala fede. Inoltre, la stessa può comunque agire ai sensi dell’art. 2043 c.c. nei confronti dell’autore della falsificazione che non abbia presentato materialmente l’assegno all’incasso.
In altre parole, il fatto che la banca abbia accreditato sul conto corrente del proprio cliente il pagamento di un assegno, senza la dovuta diligenza nella verifica della firma di traenza, non elimina il fatto che la stessa – sebbene tenuta in termini di responsabilità contrattuale nei confronti del proprio correntista – abbia il diritto di ripetere il pagamento non dovuto, seppure in ossequio alle norme che regolano la circolazione dei titoli di credito, o di agire comunque ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Con riferimento alla circolazione dei titoli di credito, in particolare, l’art. 1994 c.c. stabilisce che: “Chi ha acquistato in buona fede il possesso di un titolo di credito, in conformità delle norme che disciplinano la circolazione, non è soggetto a rivendicazione.”
Tale norma consacra il principio di c.d. autonomia nella circolazione del diritto. Tale principio, ricalcando quello stabilito dall’art. 1153 c.c. in tema di circolazione dei beni mobili, assume un’importanza fondamentale in materia di titoli di credito, dato che consente di neutralizzare i rischi derivanti dalla circolazione del credito, in primis quello in cui chi trasferisce il credito non sia il titolare dello stesso. Il fondamento ed il limite del principio di autonomia nella circolazione del diritto (incorporato nel titolo) di cui all’art. 1994 c.c. è, tuttavia, costituito dalla buona fede del possessore, che potrà fare valere il diritto risultante dal tenore letterale del titolo, anche in caso di sua illegittima provenienza, solo laddove ignori di ledere l’altrui diritto.
Possono essere quindi due i casi nei quali la banca trattaria può agire nei confronti dei terzi.
Il primo si ha quando l’assegno è posto in pagamento dal soggetto che ha falsificato la firma del traente o da un terzo che sia a conoscenza dell’avvenuta falsificazione. In tale caso, non potendo operare il principio di cui all’art. 1994 c.c., l’incasso dell’assegno integra un indebito oggettivo che legittima la banca trattaria alla ripetizione di quanto pagato.
Il secondo caso si verifica quando l’assegno con la firma di traenza falsa viene posto all’incasso dal possessore in buona fede. In tale caso, stante il principio di autonomia nella circolazione del diritto, il pagamento è dovuto, ma, nondimeno, la banca trattaria può agire in via extracontrattuale nei confronti del terzo che abbia falsificato la firma di traenza o che abbia negoziato consapevolmente un assegno con la firma di traenza falsa.
In entrambi i casi la banca trattaria, sebbene responsabile in via contrattuale nei confronti del correntista, è pienamente legittimata ad agire nei confronti dei terzi che abbiano posto in essere condotte illecite, che le abbiano cagionato un danno.
Se così non fosse, si perverrebbe all’assurdo logico prima ancora che giuridico, per cui gli effetti negativi delle condotte di falsificazione degli assegni ricadrebbero sempre e comunque sulla banca trattaria.
Per poter agire sia ai sensi dell’art. 2033 c.c. che ai sensi dell’art. 2043 c.c. la banca trattaria deve, tuttavia, poter venire a conoscenza di chi ha materialmente posto l’assegno all’incasso. In primo luogo perché quest’ultimo potrebbe essere responsabile ai sensi dell’art. 2033 c.c. e, in secondo luogo, perché solo in tal modo è possibile ricostruire le vicende relative alla circolazione dell’assegno con firma di traenza apocrifa.
Nella richiesta dei dati identificativi di chi ha posto all’incasso l’assegno con la firma di traenza falsa la banca trattaria esercita quindi un diritto proprio e non possono esserle opposte le norme del d.lgs. n. 196/2003. Difatti, ai sensi dell’art. 24 lett. f) del codice della privacy il consenso al trattamento dei dati personali, quali quelli identificativi, non è necessario se lo stesso sia necessario per fare valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della normativa vigente in tema di segreto aziendale o industriale.
Rilevato che l’indicazione del nominativo di chi ha presentato l’assegno all’incasso è necessaria alla banca trattaria per far valere in giudizio il diritto alla ripetizione delle somme erroneamente erogate, il rifiuto della terza chiamata B.P.E.L. è illegittimo, in quanto non conforme alle disposizioni contenute nel codice della privacy e lesivo del diritto di azione della D. B. s.p.a. Lo stesso costituisce pertanto un fatto colposo che ha cagionato a quest’ultima un danno ingiusto consistito nella mancata possibilità di agire in giudizio ai sensi degli artt. 2033 c.c. e 2043 c.c.
Inoltre, il mancato esercizio dell’azione di indebito oggettivo, stante la mancata individuazione dell’eventuale legittimato passivo di un’eventuale azione ex art. 2033 c.c., ha precluso, di fatto, alla D. B. di poter beneficiare del Regolamento di Autoassicurazione, che prevede il risarcimento dei danni derivanti dall’irregolarità della firma di traenza, a condizione che la banca dimostri di aver inutilmente esperito l’azione di ripetizione per indebito oggettivo, almeno sino al primo grado di giudizio.
Sussiste pertanto la responsabilità extracontrattuale di natura colposa della B.P.E.L. per la mancata comunicazione del nominativo del presentatore dell’assegno, che ha precluso alla D. B., in prima battuta, di agire nei confronti dei responsabili della falsificazione della firma di traenza e, in seconda battuta, di beneficiare del risarcimento del danno per effetto di quanto previsto dal Regolamento di Autoassicurazione.
Deve pertanto essere accolta la domanda di condanna della terza chiamata B.P.E.L. a tenere indenne la convenuta D. B. di quanto la stessa è stata condannata a pagare al M. in ordine al pagamento dell’assegno presentato presso la terza chiamata pari ad € 1450,00.
Resta infine da esaminare la domanda proposta nei confronti del terzo chiamato C. P., che ha presentato alla Cassa di Risparmio di F. l’altro assegno erroneamente addebitato sul conto corrente dell’attore.
In tale caso vale il principio di autonomia nella circolazione del diritto di cui all’art. 1994 c.c., con la conseguenza che il possessore in buona fede non può essere chiamato a rispondere delle altrui condotte illecite verificatesi in sede di emissione e di circolazione dell’assegno.
La buona fede, secondo la regola generale, è presunta, con la conseguenza che è la banca trattaria a dover provare che il presentatore dell’assegno messo all’incasso fosse quanto meno partecipe o a conoscenza della condotta di falsificazione della firma di traenza.
Nel caso in esame tale prova non è stata raggiunta, dato che il terzo chiamato C. ha dimostrato, mediante prova testimoniale, di aver ricevuto l’assegno da un amico (teste U. R.), che, a sua volta lo aveva avuto da un terzo. In particolare, risulta, da quanto dichiarato dal teste, che l’assegno fosse stato emesso da tale C. M.
Non è stata quindi raggiunta dalla banca trattaria la prova che il terzo chiamato C. fosse in mala fede. In ordine ai vari passaggi che hanno interessato la circolazione dell’assegno prima dell’incasso si possono infatti fare solo delle supposizioni, inidonee ex se a raggiungere, neppure in via critica, la prova della conoscenza da parte del C. dell’avvenuta falsificazione della firma di traenza dell’attore.
La domanda proposta nei suoi confronti deve essere pertanto rigettata.
Le spese legali del presente giudizio sostenute dall’attore devono essere poste a carico della convenuta, che deve essere altresì condannata a pagare le spese legali sostenute da P. C.
La terza chiamata B.P.E.L. deve essere poi condannata a pagare alla convenuta D. B. la metà delle spese che quest’ultima è condannata a pagare all’attore.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
condanna la D. B. s.p.a. a pagare a M. F. J. € 2.950,00, oltre interessi legali dal 28 maggio 2004 al saldo, a titolo di risarcimento del danno;
condanna la B. P. E. L. soc. coop. a tenere indenne la D. B. s.p.a. per la somma che quest’ultima è tenuta a pagare all’attore in merito all’assegno negoziato presso la terza chiamata pari ad € 1450,00 oltre interessi legali dal 28 maggio 2004 al saldo;
rigetta la domanda proposta dalla D. B. s.p.a. nei confronti di C. P.;
condanna la D. B. s.p.a. a pagare a M. F. J. le spese del presente giudizio che si liquidano in € 1000,00 per diritti, € 1200,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e c.a.p. di legge;
condanna la D. B. s.p.a. a pagare a C. P. le spese legali del presente giudizio, che si liquidano in € 800,00 per diritti ed € 1000,00 per onorari, oltre spese generali, I.V.A. e c.a.p. di legge;
condanna la B. P. E. L. soc. coop a pagare alla D. B. s.p.a. la metà delle spese legali che quest’ultima è stata condannata a pagare a M. F.o J.
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