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La responsabilità ex art. 2051 c.c, per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo; perchè essa possa, in concreto, configurarsi è sufficiente che l'attore dimostri il verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene, salvo la prova del fortuito, incombente sul custode. Lo ha stabilito la Suprema Corte con la Sentenza nr. 10860 del 2012.

L’antefatto: un minore si era ferito a causa della chiusura improvvisa della porta d’ingresso di uno stabile condominiale. Di conseguenza, i genitori convenivano in giudizio il condominio per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti dal proprio figlio.

La questione: Il Tribunale, nel giudizio di impugnazione avverso la sentenza di rigetto del Giudice di Pace, ha escluso la responsabilità del Condominio, sostenendo la responsabilità esclusiva del minore nella causazione del sinistro, atteso che il meccanismo del portone d’ingresso era tale che chiunque fosse rimasto nella lunetta disegnata dal rientro del battente era destinato a essere investito.

Si trattava, pertanto, di comprendere se nella vicenda de qua fossero o meno riscontrabili gli elementi costitutivi della responsabilità da cose in custodia in capo al Condominio ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. 

La soluzione: La S.C., investita della questione, ha, in primo luogo, evidenziato i principi che regolano la disciplina della responsabilità per le cose in custodia e, segnatamente, che:

i) la responsabilità prescinde dall'accertamento del carattere colposo dell'attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento (Cass. civ. 7 aprile 2010, n. 3229; Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. civ. 5 dicembre 2003, n. 28811);

ii) ove vi sia rapporto di custodia, la responsabilità ex art. 2051 c.c., è esclusa, come si diceva innanzi, solamente dal caso fortuito, inteso come un fattore riconducibile a un elemento esterno, avente ì caratteri dell'”imprevedibilità” e dell'”inevitabilità” (confr. Cass. civ. 7 luglio 2010, n. 16029; Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. civ. 6 luglio 2006, n. 15384;

iii) al danneggiato compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo ed, in particolare, dimostrando la verificazione dell'evento dannoso ed il suo rapporto di causalità con il bene in custodia; spetta invece al custode provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo a interrompere quel nesso causale (confr. Cass. civ. 19 maggio 2011, n. 11016; Cass. civ. 2 febbraio 2007, n. 2308).

Di conseguenza, la Cassazione ha censurato la decisione di merito, rimarcando che l'errore giuridico in cui è caduto il Tribunale ha avuto una plastica ricaduta nell'affermazione che il ragazzo era rimasto nel raggio di chiusura dell'anta, affermazione che, non suffragata da alcun elemento oggettivo, è evidentemente frutto di una presunzione che contra ius addossa al danneggiato, piuttosto che al custode, l'onere di provare l'insussistenza del caso fortuito, costituito, nella fattispecie, dal comportamento della stessa vittima.

* *  *

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. UCCELLA Fulvio – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8018/2010 proposto da:

P.D. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato N, A. che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

CONDOMINIO (OMISSIS) (OMISSIS), A. Spa (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 13/2010 del TRIBUNALE SEDE DISTACCATA DI di PIEDIMONTE MATESE, depositata il 25/01/2010; R.G.N. 250/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/04/2012 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l'Avvocato M. per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l'accoglimento.

Svolgimento del processo

G.S. e P.M., nella qualità di genitori esercenti la potestà genitoriale sul figlio P.D., convennero in giudizio innanzi al Giudice di Pace di Piedimonte Matese il Condominio (OMISSIS), per ivi sentirlo condannare a risarcire al minore i danni da questi patiti in data (OMISSIS) a causa della chiusura improvvisa e accidentale del portone d'ingresso.

Costituitosi in giudizio, il convenuto contestò l'avversa pretesa.

Chiese, ed ottenne, di chiamare in causa RAS Assicurazioni s.p.a., per esserne manlevato in caso di soccombenza.

Con sentenza del 14 ottobre 2005 il Giudice di Pace rigettò la domanda.

Proposto dai soccombenti gravame, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in data 25 gennaio 2010, lo ha respinto.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte P. D., divenuto nelle more maggiorenne, formulando un unico motivo e notificando l'atto al Condominio (OMISSIS) e ad Allianz s.p.a. (già RAS Assicurazioni s.p.a.).

Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Nel motivare il suo convincimento il giudice di merito, ricordati i principi che governano la responsabilità da cose in custodia, ex art. 2051 c.c., ha ritenuto inattendibile la deposizione del teste escusso, avendo questi affermato che il ragazzo si era infortunato dopo essere uscito dal portone di ingresso, laddove nell'atto di citazione si assumeva che il minore si trovava all'interno del condominio. In ogni caso, ha aggiunto, l'incidente si era verificato perchè il P. era rimasto nel raggio di chiusura dell'anta, con conseguente responsabilità esclusiva dello stesso nella causazione del sinistro, posto che il meccanismo era tale che chiunque fosse rimasto nella lunetta disegnata dal rientro del battente era destinato a essere investito.

2. Nell'unico motivo di ricorso, denunciando violazione degli artt. 2051, 2043, 2697 e 1227 c.c., nonchè vizi motivazionali, il ricorrente sostiene che il giudice di merito avreb

be fatto malgoverno del disposto dell'art. 2051 c.c., avendo escluso la responsabilità del condominio benchè questi non avesse fornito alcuna prova in ordine alla ricorrenza di un caso fortuito idoneo a interrompere il nesso di causalità tra la cosa in custodia – nella fattispecie, il portone di ingresso del palazzo – e il danno subito dall'attore.

Aggiunge che nessuna contraddizione era ravvisabile tra la versione dei fatti fornita dall'unico teste escusso e quella esposta in citazione, assumendosi in entrambe che il sinistro si era verificato nel momento in cui l'attore era transitato attraverso il portone d'ingresso per uscire dal condominio, e ciò tanto più che il teste aveva confermato che il battente si era chiuso immediatamente. Nè il convenuto aveva mai dimostrato che la condotta del minore era stata causa esclusiva dell'evento dannoso.

3. Le censure sono fondate per le ragioni che seguono.

La tormentata elaborazione dei principi giuridici che governano la materia della responsabilità per danni cagionati da cose in custodia, ex art. 2051 c.c., è approdata, nella giurisprudenza di legittimità, alle seguenti affermazioni:

– la responsabilità prescinde dall'accertamento del carattere colposo dell'attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento; la responsabilità prescinde, altresì, dall'accertamento della pericolosità della cosa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l'insorgenza di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato – con effetto liberatorio totale o parziale – anche dal fatto del danneggiato, avente un'efficacia causale idonea a interrompere del tutto il nesso causale tra cosa ed evento dannoso o da affiancarsi come ulteriore contributo utile nella produzione del pregiudizio (Cass. civ. 7 aprile 2010, n. 3229; Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. civ. 5 dicembre 2003, n. 28811);

– la radicale oggettivazione dell'ipotesi normativa, insita nella prospettiva adottata, che rende più congruo parlare di rischio da custodia (piuttosto che di colpa nella custodia) e di presunzione di responsabilità (piuttosto che di colpa presunta), comporta che la responsabilità in questione non esige, per essere affermata, un'attività o una condotta colposa del custode, di talchè, in definitiva, il custode negligente non risponde in modo diverso dal custode perito e prudente, se la cosa ha provocato danni a terzi (Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279);

– posto che funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi, traendo profitto dalla cosa, si trova nelle condizioni e di doverne sopportare gli incommoda e di controllarne i rischi, deve considerarsi custode chi di fatto ne governa le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario;

– ove vi sia rapporto di custodia, la responsabilità ex art. 2051 c.c., è esclusa, come si diceva innanzi, solamente dal caso fortuito, che è qualificazione incidente sul nesso causale e non sull'elemento psicologico dell'illecito, e che individua un fattore riconducibile a un elemento esterno, avente ì caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità (confr. Cass. civ. 7 luglio 2010, n. 16029; Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. civ. 6 luglio 2006, n. 15384);

– al danneggiato compete provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento lesivo: più nello specifico, ricordato che la responsabilità presunta per danni da cose in custodia è configurabile anche con riferimento ad elementi accessori, pertinenze inerti e qualsivoglia altro fattore che, a prescindere dalla sua intrinseca dannosità o pericolosità, venga a interferire nella fruizione del bene da parte dell'utente, la prova che il danneggiato deve dare, anche a mezzo di presunzioni, consiste nella dimostrazione del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia; spetta invece al custode provare l'esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo a interrompere quel nesso causale (confr. Cass. civ. 19 maggio 2011, n. 11016; Cass. civ. 2 febbraio 2007, n. 2308).

4. Venendo al caso di specie, l'insufficienza dell'approccio del giudice di merito emerge già dalle ragioni addotte a sostegno della ritenuta, scarsa attendibilità della deposizione del Venditti. Non si vede, infatti, dove sia il rilevato contrasto tra la ricostruzione dei fatti dallo stesso fornita e quella posta a fondamento della domanda, posto che il teste, affermando che il sinistro ebbe a verificarsi mentre il ragazzo usciva fuori, ha in sostanza confermato che l'anta del portone d'ingresso, notoriamente pesante, ebbe ad attingere l'infortunato nel momento in cui lo stesso si accingeva ad abbandonare l'interno del condominio, portandosi, attraverso l'uscio, all'esterno.

A ciò aggiungasi che, in disparte ogni rilievo in ordine alla sostanziale apoditticità della svalutazione delle informazioni fornite dal teste Venditti sul funzionamento del portone, informazioni riportate sia in sentenza che nel ricorso, il giudice di merito ha in sostanza addossato all'attore l'onere di provare l'immediatezza e in definitiva l'irregolarità della chiusura dell'anta, così in sostanza violando il disposto dell'art. 2051 c.c., nella portata assunta per consolidato diritto vivente.

L'errore giuridico in cui è caduto il Tribunale ha avuto una plastica ricaduta nell'affermazione che il ragazzo era rimasto nel raggio di chiusura dell'anta, affermazione che, non suffragata da alcun elemento oggettivo, è evidentemente frutto di una presunzione che contra ius addossa al danneggiato, piuttosto che al custode, l'onere di provare l'insussistenza del caso fortuito, costituito, nella fattispecie, dal comportamento della stessa vittima.

Non par dubbio infatti che, sotto il profilo dell'art. 2051 c.c., spettasse al P. dimostrare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, e cioè la dipendenza eziologica dei pregiudizi da lui riportati per effetto della chiusura del portone d'ingresso;

mentre incombeva sulla controparte dare la prova del fortuito, in sostanza deducendo, e dimostrando, il buon funzionamento del dispositivo MAB e la correlativa addebitabilità dell'evento all'utente che, contro le più elementari regole di prudenza si era attardato nel raggio di chiusura, rimanendo investito dal rientro del battente.

4. Deriva da quanto sin qui detto che, in accoglimento del proposto ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in diversa composizione, che, nel decidere, si atterrà al seguente principio di diritto:

la responsabilità ex art. 2051 c.c., per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo; perchè essa possa, in concreto, configurarsi è sufficiente che l'attore dimostri il verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene, salvo la prova del fortuito, incombente sul custode.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in diversa composizione.

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