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La Cassazione, con la sentenza n. 27898/11, si occupa nuovamente del delicato tema della responsabilità da cose in custodia, di cui all’art. 2051 c.c..

Il caso: S.P.P. conveniva in giudizio il Comune, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a seguito di una caduta, avvenuta nel tardo pomeriggio del giorno 11 gennaio 1998, mentre percorreva la rampa di scale che dall’interno dell’edificio portava all’uscita.

L’attore esponeva di essere scivolato su uno dei gradini, a causa della mancanza di illuminazione nonchè dei detriti e dei calcinacci che imbrattavano il percorso.

In primo grado la domanda veniva rigettata, per poi trovare accoglimento in appello, così che il Comune decideva di proporre ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, tuttavia, ha confermato la sentenza impugnata, ribadendo come la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 c.c., prescinde dall’accertamento del carattere colposo della condotta del custode e dall’accertamento della pericolosità della cosa, “avendo natura oggettiva e necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra bene ed evento, di talchè essa sussiste, in definitiva, in relazione a tutti i danni cagionati dalla res, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza in essa di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito (Cass. civ. 7 aprile 2010, n. 8229; Cass. civ. 19 febbraio 2008, n. 4279; Cass. civ. 5 dicembre 2008, n. 28811)”.

Nel caso di specie, quindi, mentre l’attore aveva dimostrato che la caduta si era verificata lungo la scala di un edificio di proprietà del Comune, a causa della mancanza di illuminazione nonchè a causa della presenza di calcinacci sui gradini, il convenuto, invece, non aveva fornito prova alcuna di aver adottato tutte le misure idonee a scongiurare danni a terzi, così che, a parere degli Ermellini, era da ritenersi responsabile ai sensi dell’art. 2051 c.c..

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