Si può parlare di adulterio quando un marito si limita a frequentare un’amica? La domanda, in apparenza banale, così non è, come dimostra il caso sottoposto all’attenzione dei Giudici di Piazza Cavour.
Dall’istruttoria condotta nei gradi di merito emergeva che il Sig. XXX frequentava assiduamente la casa della Sig.ra XXX, “l’accompagnava al posto di lavoro, con lei dovevano essere discussi i problemi interni familiari, essa era presente in casa per le feste di Natale, altrimenti il D.L. non vi partecipava”.
Inoltre, secondo vari testimoni, tale frequentazione era stata la causa del mutamento in senso negativo del comportamento del marito nei confronti della moglie.
Il ricorrente, d’altra parte, lamentava un adulterio soltanto “apparente”, anche se, di fronte alla richiesta della moglie di interrompere tale rapporto, egli prima acconsentiva, per poi continuare a vedere la donna di nascosto.
Anche tale ultima circostanza, secondo i giudici, “mal si conciliava con un generico rapporto di amicizia, per la cui salvezza non ha esitato a mettere in discussione la sopravvivenza stessa della famiglia”.
La Suprema Corte, con la sentenza n. 17195/12, rigetta quindi il ricorso presentato dal marito, aprendo di fatto le porte ad un sindacato non soltanto di tipo formale (ad esempio il classico tradimento), ma anche sostanziale.
In altre parole, ciò che appare essere decisivo per la configurabilità dell’adulterio è un rapporto che sia in grado di mettere in secondo piano e in subordine il vincolo familiare, indipendentemente dall’eventuale tradimento fisico.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
Sentenza 9 luglio – 9 ottobre 2012, n. 17195
(Presidente Carnevale – Relatore Dogliotti)
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strong>Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione circa l’attendibilità di alcuni testi; con il secondo, vizio di motivazione circa la mancata considerazione di elementi probatori relativi al comportamento delle parti. Con il terzo, contraddittorietà della motivazione relativa all’adulterio soltanto apparente del D.L.; con il quarto e sesto, violazione dell’art. 115 e 116 c.p.c. per mancata considerazione delle prove raccolte; con il quinto, violazione dell’art. 151 c.c., circa la mancata considerazione di elementi probatori raccolti; con il settimo, violazione dell’art. 2697 c.c. circa l’onere della prova.
I motivi possono trattarsi congiuntamente, essendo strettamente collegati.
Non si ravvisa violazione di legge.
Il ricorrente in sostanza propone profili e valutazioni di fatto insuscettibili di controllo in questa sede, in contrasto con le indicazioni della sentenza impugnata, sorretta da motivazione adeguata e non illogica.
Va precisato che, secondo giurisprudenza consolidata (per tutte, Cass. n. 4766 del 2006), il giudice di merito può discrezionalmente indicare le fonti del proprio convincimento e scegliere, tra le varie risultanze, quelle ritenute idonee e rilevanti, motivando al riguardo, come accade nella specie, in modo congruo e adeguato.
Il giudice a quo indica come attendibile la teste D.L.V., figlia delle parti, risultando le sue dichiarazioni in genere “collimanti” con altre deposizioni; inattendibile invece l’altro figlio delle parti, A., che aveva espressamente affermato di essersi “schierato” con il padre, essendo, del resto, la sua deposizione in gran parte smentita da quella di altri testi. Valutata l’attendibilità della teste, il mancato riferimento ad ulteriori elementi di prova (querele e controquerele) tra la teste e il padre, si spiega evidentemente con la ritenuta irrilevanza di essi.
Lamenta il ricorrente la sussistenza di un “adulterio apparente”: sulla base dell’istruttoria testimoniale, il giudice a quo precisa che il D.L. frequentava assiduamente la casa della L., l’accompagnava al posto di lavoro, con lei dovevano essere discussi i problemi interni familiari, essa era presente in casa per le feste di Natale, altrimenti il D.L. non vi partecipava. Ma soprattutto la sentenza impugnata, afferma che il nesso di causalità tra la frequentazione di L.M. da parte del D.L. e il mutamento in senso negativo del suo comportamento verso la moglie, è confermato da vari testimoni.
È appena il caso di precisare che il mancato riferimento, lamentato dal ricorrente, ad ipotesi alternative giustificanti il comportamento “negativo” del D.L., come la preoccupazione per il suo lavoro, ovvero alcune operazioni bancarie effettuate dalla moglie, si ricollega evidentemente alla convinzione, ricavabile per implicito dal contesto motivazionale, che non sia stata fornita prova adeguata al riguardo.
Di fronte alla richiesta della moglie di interrompere la frequentazione con la L., il D.L. – secondo il giudice a quo – apparentemente accondiscese, ma continuò di nascosto a frequentare l’amica, in quanto la sua auto era spesso parcheggiata sotto la casa di questa.
Conclude la sentenza impugnata, nel senso che il D.L. aveva assunto davanti ai familiari e ai terzi la veste di “accompagnatore e paladino” della L., ciò che mal si conciliava con un generico rapporto di amicizia, per la cui salvezza non ha esitato a mettere in discussione la sopravvivenza stessa della famiglia.
Vanno quindi rigettati i motivi proposti in quanto infondati.
Conclusivamente va rigettato il ricorso. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.000 per onorari e Euro 200 per esborsi oltre spese generali ed accessori di legge.