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La Suprema Corte, con la pronuncia n. 6907/12, torna su uno dei temi più “caldi” della giurisprudenza di merito, quello relativo ai presupposti per la risarcibilità del danno da fermo tecnico.

Nelle corti di merito, infatti, si contrappongono da tempo due orientamenti: il primo ritiene che il danno da fermo tecnico vada risarcito solo nel caso in cui sia provato esplicitamente (ad es. tramite il deposito della fattura dell’autonoleggio); il secondo, invece, riconosce la risarcibilità di tale voce di danno in tutti i casi di sinistro.

Con la sentenza in questione, i Giudici di legittimità aderiscono alla tesi della risarcibilità ipso iure.

Gli Ermellini, infatti, richiamando precedenti pronunce (cfr. Cass. 9 novembre 2006, n. 23916 e Cass. , 27 gennaio 2010, n. 1688), statuiscono che “Con riferimento infatti a tale danno subito dal proprietario dell’autovettura danneggiata a causa della impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione, è stato affermato che è possibile la liquidazione equitativa del danno stesso anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato. L’autoveicolo è, difatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore”.

Pertanto, la Cassazione ha confermato come il danno da fermo tecnico debba essere risarcito sempre, così che, quando non vi siano elementi di prova specifica al riguardo, il giudice dovrà provvedere ad una liquidazione equitativa.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 8 maggio 2012, n. 6907

Svolgimento del processo

P.S. convenne dinanzi al Giudice di Pace di Napoli R.L. e la F. s.p.a. chiedendo il risarcimento dei danni che asseriva di aver subito a seguito di un incidente stradale cagionato dall’autovettura del convenuto.

Instauratosi il contraddittorio, quest’ultimo rimaneva contumace mentre si costituiva la compagnia assicuratrice.

Il Giudice di Pace di Napoli accoglieva la domanda dichiarando l’esclusiva responsabilità del conducente dell’autovettura di proprietà del R. e condannava la F. spa al risarcimento dei danni.

Avverso la relativa sentenza proponeva appello dinanzi al Tribunale di Napoli il P. chiedendone la parziale riforma.

Il Tribunale respingeva l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese del grado.

Propone ricorso per cassazione P.S. con tre motivi.

Parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con il primo motivo del ricorso si denuncia “Violazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2054, 2056 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il ricorrente critica l’impugnata sentenza perchè non ha risarcito il cosiddetto danno da “fermo tecnico”.

La critica è fondata.

Con riferimento infatti a tale danno subito dal proprietario dell’autovettura danneggiata a causa della impossibilità di utilizzarla durante il tempo necessario alla sua riparazione, è stato affermato che è possibile la liquidazione equitativa del danno stesso anche in assenza di prova specifica, rilevando a tal fine la sola circostanza che il danneggiato sia stato privato del veicolo per un certo tempo, anche a prescindere dall’uso effettivo a cui esso era destinato. L’autoveicolo è, difatti, anche durante la sosta forzata, fonte di spesa (tassa di circolazione, premio di assicurazione) comunque sopportata dal proprietario, ed è altresì soggetto a un naturale deprezzamento di valore (Cass. 9 novembre 2006, n. 23916; Cass., 27 gennaio 2010, n. 1688, in motivazione).

La sentenza, che non si è adeguata agli enunciati principi, deve essere, dunque, cassata sul

punto.

Nel caso in esame il Tribunale ha quindi errato nel rigettare la domanda di risarcimento del danno da fermo tecnico in quanto sfornita di prova.

Con il secondo motivo si denuncia “Violazione degli artt. 1223, 1224, 1282, 2043 e 2056 c.c., in relazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Parte ricorrente critica l’impugnata sentenza nel punto in cui ha confermato la decisione del Giudice di Pace di Napoli sostenendo che la liquidazione all’attualità del danno preclude la liquidazione degli interessi dal giorno dell’incidente ed ha affermato che tali interessi debbono essere liquidati dal giorno del deposito della sentenza.

In tema di risarcimento danni, trattandosi di debito di valore, prosegue parte ricorrente, gli interessi debbono essere liquidati dal giorno dell’incidente, come la rivalutazione monetaria.

Il motivo è infondato e va rigettato.

Infatti l’orientamento di questa Corte (Cass. 10.3.2000, n. 2796 Cass. 12.1.1999, n. 256), riportandosi alla decisione delle S.U. (17.2.1995, n. 1712), ritiene che gli interessi c.d. compensativi sui debiti di valore devono essere computati o con riferimento ai singoli momenti riguardo ai quali la somma equivalente al bene perduto si incrementa nominalmente (per effetto dei prescelti indici di rivalutazione), ovvero in base ad un indice medio, egualmente applicabile dal giudice, tenuto conto che detta liquidazione del danno da ritardo, per quanto effettuata secondo la tecnica degli interessi, rientra pur sempre nello schema liquidatorio del danno di cui all’art. 2056 c.c. (tra cui il potere equitativo ex art. 1226).

Ritenuto che gli interessi in questione adempiono solo alla funzione di tecnica liquidatoria del danno da ritardo, detto danno in luogo degli interessi legali può essere liquidato anche equitativamente dal giudice o con la liquidazione equitativa di detti interessi; il giudice può anche effettuare una liquidazione equitativa globale, in un’unica somma, comprendente sia la prestazione c.d. principale, che la rivalutazione monetaria e gli interessi, ove anche per tali voci ricorrano le condizioni di cui all’art. 1226 c.c. (richiamato dall’art. 2056), proprio per la natura unitaria dell’obbligazione di valore, senza necessità di specificare i singoli elementi della liquidazione (Cass. 13.3.1995, n. 2910).

Nel caso in esame la liquidazione equitativa deve essere considerata comprensiva anche degli interessi.

Con il terzo motivo si denuncia “Violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. della tariffa professionale del 02.06.2004 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Sostiene parte ricorrente che il Tribunale di Napoli, confermando la liquidazione delle spese e competenze effettuate dal Giudice di Pace non ha tenuto conto degli esborsi sostenuti dal precedente procuratore e della sua attività professionale.

Il Tribunale di Napoli, prosegue parte ricorrente, non avrebbe dovuto confermare gli importi stabiliti dal Giudice di Pace ma avrebbe dovuto liquidare gli importi esposti in notula con analitica specificazione delle singole partite, con riferimento alle prestazioni effettuate nel corso del giudizio dal precedente procuratore.

Il motivo deve essere accolto.

Infatti in tema di spese giudiziali, allo scopo di consentire, attraverso il controllo di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione agli atti ed alle tariffe, il giudice di merito, in presenza di una specifica nota relativa alle spese, ai diritti di procuratore e agli onorari di avvocato, ove non liquidi gli stessi in conformità della nota, è tenuto ad indicare sia le voci per le quali non li ritiene dovuti, ovvero li ritiene dovuti in misura minore, sia gli esborsi che considera ingiustificati od eccessivi (Cass., 21 luglio 2001, n. 9947).

Nel caso in esame il Tribunale di Napoli non ha adeguatamente motivato in merito alla riduzione delle voci inerenti alle spese, ai diritti ed all’onorario effettuata dal Giudice di Pace.

In conclusione devono essere accolti il primo ed il terzo motivo, rigettato il secondo, con conseguente cassazione della sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvio al Tribunale di Napoli in diversa persona anche per quanto riguarda le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il terzo motivo, rigetta il secondo, cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Napoli in diversa persona, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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