La Cassazione (cfr. sent. n. 4018/13) si è occupata della fattispecie dei danni verificatisi sulle piste da sci, al fine di precisare i limiti della responsabilità dei gestori degli impianti.
Il caso. G.R. (nel 2001, per un fatto accaduto nel 1999) conveniva in giudizio la società che gestiva l’impianto sciistico per sentirla condannare, ex art. 2043 cod. civ., al risarcimento dei gravi danni subiti (chiedendo circa 250 milioni di lire), avendo urtato – dopo essere caduto mentre sciava – contro una staccionata di legno, che delimitava la pista da una retrostante scarpata, alla cui base erano situati i manufatti dell’impianto di risalita.
Nei gradi di merito la domanda veniva respinta, per cui il danneggiato decideva di proporre ricorso per cassazione.
La decisione. In particolare, il ricorrente sosteneva che la Corte di merito avrebbe errato nel non considerare la diligenza specifica richiesta al gestore della pista da sci, “sul quale graverebbe l’obbligo di attivarsi per circoscrivere i rischi e garantire agli utenti ragionevoli standard di sicurezza, quindi, essendo la caduta un fenomeno normale dell’attività sciistica, il gestore avrebbe colpevolmente omesso di predisporre adeguate protezioni alla staccionata posta ai tordi della pista e di apporre opportune segnalazioni”.
La Corte di merito, infatti, con argomentazioni condivise dalla Suprema Corte, sul presupposto che la colpa del gestore sia configurabile, ex art. 2043 cod. civ. e alla luce della normativa di settore, per la mancata adozione di adeguate protezioni e segnalazioni solo quando sussistono condizioni particolari di pericolo, aveva rigettato la domanda dopo aver accertato la non sussistenza della suddetta situazione di pericolo (stante la larghezza della pista, la mancanza di curve, la visibilità, la mancanza di pendenza verso l’esterno) oltre che la condotta colposa del danneggiato (velocità non adeguata).
Queste le parole dei Giudici di Piazza Cavour “Considerata la natura intrinsecamente pericolosa dell’attività sportiva esercitata sulle piste da sci, nonché l’estensione delle stesse e la loro possibile intrinseca anomalia, anche per fattori naturali, affinché si possa pervenire all’individuazione di un comportamento colposo in capo al gestore, ex art. 2043 cod. civ., con conseguente obbligo di risarcimento del danno, è necessario che il danneggiato provi l’esistenza di condizioni di pericolo della pista che rendano esigibile la protezione da possibili incidenti, condizioni in presenza delle quali risulta configurabile un comportamento colposo del gestore per la mancata predisposizione di protezioni e segnalazioni, ricadendo, invece, sul gestore l’onere di provare fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità per l’utente di percepire e prevedere, con l’ordinaria diligenza, la suddetta situazione di pericolo”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 10 dicembre 2012 – 19 febbraio 2013, n. 4018
(Presidente Salmè – Relatore Carluccio)
Svolgimento del processo
1. G.R. (nel 2001, per un fatto accaduto nel 1999) convenne in giudizio la società che gestiva l’impianto sciistico per sentirla condannare, ex art. 2043 cod. civ., al risarcimento dei gravi danni subiti (chiedendo circa 250 milioni di lire), avendo urtato – dopo essere caduto mentre sciava – contro una staccionata di legno, che delimitava la pista da una retrostante scarpata, alla cui base erano situati i manufatti dell’impianto di risalita.
Il Tribunale di Bolzano – sezione distaccata di Brunico, rigettò la domanda, ritenendo l’infortunio ascrivibile alla esclusiva responsabilità dell’attore.
La Corte di appello di Trento – sezione distaccata di Bolzano, rigettò l’impugnazione proposta dal R. (sentenza dei 13 marzo 2006).
2. Avverso la suddetta sentenza, R. propone ricorso per cassazione con due motivi (sostanzialmente tre), esplicati da memoria.
La società resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. È applicabile ratione temporis l’art. 366-bis cod. proc. Civ.
2. Con il primo motivo si deducono tutti i vizi motivazionali (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
Il motivo è inammissibile. risultando violato l’art. 366 bis cod. proc. Civ.
Infatti, i vizi motivazioni dedotti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., non contengono il momento di sintesi (la cui funzione è omologa a quella del quesito di diritto), idoneo a circoscrivere puntualmente i limiti del motivo – tanto più e quando sono dedotti tutti i vizi motivazionali – in modo da non ingenerare incertezze in ordine alle censure prospettate e consentire la verifica, de parte della Corte, della loro decisività (Sez. Un. 1 ottobre 2007, n. 20603; 14 ottobre 2008, n. 25117; 30 ottobre 2008 n. 26014).
3. Il secondo motivo si compone di due distinti profili, quali risultano dai distinti quesiti.
In rubrica si deduce la violazione dell’art. 2043 cod. civ., dell’art. 112 cod. proc. civ., della legge 4 dicembre 2003, n. 363 e della legge n. 6 del 1981 della provincia di Bolzano, e del regolamento attuativo di quest’ultima, oltre ad omessa motivazione.
3.1. Il primo Quesito è il seguente “…se il gestore di una pista da sci sia tenuto a predisporre adeguate protezioni agli ostacoli che vi sono apposti – ivi comprese le strutture rigide di servizio – ai fine di scongiurare a terzi, vantando concretamente i fattori naturali e i comportamenti umani in applicazione del principio del neminem laedere ovvero se l’obbligo di predisporre idonee protezioni insorga sol in presenta di anomalie soggettivamente non visibili e oggettivamente non evitabili, costituenti insidia”.
Nella parte esplicativa si sostiene che la Corte di merito avrebbe errato nel non considerare la diligenza specifica richiesta al gestore della pista da sci, sul quale graverebbe l’obbligo di attivarsi per circoscrivere i rischi e garantire agli utenti ragionevoli standard di sicurezza, quindi, essendo la caduta un fenomeno normale dell’attività sciistica, il gestore avrebbe colpevolmente omesso di predisporre adeguate protezioni alla staccionata posta ai tordi della pista e di apporre opportune segnalazioni.
3.2. Il secondo quesito è il seguente “se viola la legge n. 363 del 2003 e la legge n. 6 del 1981 della Provincia di Bolzano e il relativo regolamento attuativo D.P.G.P. 26 agosto 1982, n. 16, il gestore di una pista da sci che nel delimitare la pista di discesa con una staccionata in legno, dietro la quale si trovava un precipizio e manufatti in ferro e cemento armato, non Lottizza mezzi idonei ed adeguate protezioni e segnalazioni per proteggere gli utenti da pericoli atipici soprattutto in caso di caduta accidentati dello sciatore”.
Nella parte esplicativa si lamenta l’omessa pronuncia in ordine al motivo di appello in cui era stata dedotta la violazione della legge nazionale e di leggi e regolamenti provinciali in ordine alle cautele da adottare.
4. I distinti profili, enucleati attraverso distinti quesiti, vanno trattati congiuntamente, per la loro stretta connessione.
4.1. Logicamente preliminare è il secondo, attinente alla colpa specifica del gestore dell’impianto, quale risulterebbe, secondo l’assunto del ricorrente, dalla violazione delle norme di settore.
4.1.1. La censura non ha pregio.
In primo luogo, non c’è corrispondenza tra il quesito – dove è posta la questione se sussista la violazione da parte del gestore della normativa provinciale, quando questi non predisponga un’adeguata protezione della staccionata di legno – e la parte esplicativa del motivo, dove si deduce omessa pronuncia sul profilo della colpa specifica per violazione della normativa territoriale e, in generale, della normativa nazionale (sopravvenuta al fatto).
Comunque, anche a prescindere da tale mancata corrispondenza, la censura non intacca la sentenza gravata.
4.1.2. Se è vero che la Corte di merito non fa alcun riferimento espresso, nella parte motiva, alla normativa nazionale e provinciale, è anche vero che, dopo averla genericamente richiamata nello svolgimento del processo (p. 4) e nei motivi di appello (p. 6), con essa fa i conti quando argomenta in ordine alle ragioni del rigetto della domanda.
In effetti, la motivazione della Corte ha tenuto presente la normativa provinciale (quale emerga dal motivo di ricorso). In particolare, ha ritenuto che nessuna protezione specifica fosse necessaria, in considerazione dell’assenza di caratteristiche particolari del luogo – quali strettoia curva, visuale preclusa, accentuata pendenza verso l’esterno, posizioni) di delimitazione esterna – a fronte di una norma di settore territoriale finalizzata ad assicurare le migliori condizioni di circolazione e sicurezza…il tracciato protetto secondo ragionevoli previsioni di pericoli atipici…(pag. 16 ricorso); a fronte dell’obbligo di delimitare lateralmente la pista… ove situazioni particolari lo richiedano…. quando si è in presenza di strettoie, sbarramenti, diramazioni oppure situazioni di pericolo di caduta (p. 15 ricorso).
Inoltre, la Corte ha ritenuto irrilevante quanto (scarpata e manufatti a valle) esistente oltre la staccionata, stante la normale pendenza della pista verso valle e non in direzione esterna.
Quanto alla normativa nazionale, costituita dalla legge 24 dicembre 2003, n. 363, emanata successivamente ai fatti di causa, va precisato che il richiamo alla stessa avrebbe potuto essere effettuato solo come esplicazione di doveri già enucleabili alla stregua dei principi di carattere generale. Pertanto, considerato che la suddetta legge contiene norme in materia di sicurezza nella pratica degli sport invernali, da discesa e da fondo, ponendo l’obbligo dei gestori di proteggere gli utenti da ostacoli presenti lungo le piste, mediante l’utilizzo di adeguate protezioni degli stessi e mediante segnalazioni della situazione di pericolo, la Corte di merito non era tenuta a motivare esplicitamente e apertamente con riferimento a tale legge.
In conclusione, non è configurabile l’omessa considerazione della normativa di settore.
4.2. Nell’esame del primo questo, va preliminarmente precisato che la questione posta alla Corte in ordine all’ambito di estensione del dovere di protezione e segnalazione del gestore di una pista da sci, nella specie in riferimento alla omessa protezione e segnalazione di una staccionata in legno al bordo della pista, è posta ora (ed è stata posta sin dall’inizio del processo) nell’ambito della generale responsabilità ex art. 2043 cod. civ., e non della responsabilità per danno cagionato dalle cose in custodia, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ.
Tanto comporta la non pertinenza, rispetto alla specie in esame, delle precedenti decisioni della Corte (Cass. 26 aprile 2004, n. 7916; Cass. 10 febbraio 2005, n. 2706; Cass. 6 febbraio 2007, n. 2563; da ultimo Cass. 10 dicembre 2012, n. 22.183, alcune richiamate nel ricorso), che hanno deciso nell’ambito di azioni giudiziarie nelle quali rilevava anche l’art. 2051 cod. civ., a volte anche l’art. 2050 cod. civ. o la responsabilità contrattuale.
Inoltre, l’ambito del giudizio di legittimità è delimitato da quanto residuato, dopo la dichiarazione di inammissibilità del primo motivo e di rigetto (e inammissibilità) del secondo quesito del secondo motivo, di cui si è dato conto nei paragrafi che precedono. Con la conseguenza, che resta accertata, e non più esaminabile, la ricostruzione del fatto operata dalla Corte di merito e l’accertamento della mancata violazione della normativa di settore.
In definitiva, la questione all’attenzione della Corte è se il gestore di una pista da sci debba rispondere, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., – per non aver adottato misure protettive (idonee ad attutire l’urto contro la staccionata) e per non aver segnalato il pericolo, in violazione del principio generale del neminem leadere – dei danni che uno sciatore, che procedeva, a velocità non consona, lungo una pista di media difficoltà (rossa) larga circa trenta metri, abbia subito, urtando, dopo essere caduto, contro la staccionata in legno che delimitava la pista, in prossimità di una scarpata, in zona ad ampia visibilità, in assenza di curve e seria pendenza verso l’esterno e, quindi, in assenza (secondo l’accertamento fatto dal giudice del merito) di quelle condizioni particolari che, secondo la normativa di settore, impongono misure protettive al gestore della pista.
4.3. La Corte di merito, sul presupposto che la colpa del gestore sia configurabile, ex art. 2043 cod. civ. e alla luce della normativa di settore, per la mancata adozione di adeguate protezioni e segnalazioni solo quando sussistono condizioni particolari di pericolo, ha rigettato la domanda dopo aver accertato la non sussistenza della suddetta situazione di pericolo (stante la larghezza della pista, la mancanza di curve, la visibilità, la mancanza di pendenza verso l’esterno) oltre che la condotta colposa del danneggiato (velocità non adeguata).
Precisato che, come si è già detto nel paragrafo che precede, non è più oggetto di sindacato da parte di questa Corte l’accertamento della assenza della situazione di pericolo e l’accertamento relativo alla colpa del danneggiato, resta da definire se il presupposto interpretativo utilizzato per applicare l’art. 2043 cod. civ. alla specie sia o meno corretto.
4.3.1. La risposta è positiva, nel senso di seguito precisato.
Considerata la natura intrinsecamente pericolosa dell’attività sportiva esercitata sulle piste da sci, l’estensione delle stesse e la naturale possibile intrinseca anomalia delle piste, anche per fattori naturali, affinché si possa pervenire all’individuazione di un comportamento colposo in capo al gestore, ex art. 2043 cod. civ., con conseguente risarcimento del danno, è necessario, sulla base dei principi generali, che il danneggiato provi l’esistenza di condizioni di pericola della pista che rendano esigibile (sulla base della diligenza specifica richiesta) la protezione da possibili incidenti, in presenza delle quali è configurabile un comportamento colposo del gestore per la mancata predisposizione di protezioni e segnalazioni, mentre sul gestore ricade l’onere della prova di fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta situazione di pericolo (per l’applicazione di tale principio quando, in tema di responsabilità per danni da beni demaniali, non sia configurabile la custodia, Cass. 6 luglio 2006, n. 15383).
E, nella specie, come si è detto, non è stato ritenuta provate la situazione di pericolo (con onere gravante sul danneggiato) ed è stata ritenuta provata la mancanza di ordinaria diligenza del danneggiato.
5. In conclusione, il ricorro va rigettato. Le spese, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m. n. 140 del 2012, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento in favore della società controricorrente, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.750,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.