Alt, la sentenza non c’è. Per tutti coloro che avevano creduto nell’illegittimità della mediazione c.d. obbligatoria, è quel che si dice la classica doccia gelata. Almeno per il momento.
Tra i molti commentatori della notizia, infatti, pochi – e tra questi l’autore dell’articolo di cui pubblichiamo il link in fondo alla pagina – si sono accorti che il comunicato, ormai notissimo, con cui l’Ufficio Stampa di Palazzo della Consulta fa sapere che “la Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità costituzionale, per eccesso di delega legislativa, del d.lgs. 4 marzo 2010, n.28 nella parte in cui ha previsto il carattere obbligatorio della mediazione” si riferisce in realtà all’esito del voto espresso dai giudici costituzionali nella Camera di consiglio del 24 ottobre u.s. – stessa data della nota – mentre la sentenza, in senso proprio, ancora non esiste.
Lo si ricava anzitutto dalle norme di procedura osservate dalla Corte, ed in particolare dall’art. 17 delle “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”, il cui comma 4 è del seguente tenore: “dopo la votazione, la redazione delle sentenze e delle ordinanze è affidata al relatore”. La regola ammette una sola eccezione: che, “per indisponibilità o per altro motivo”, la stesura “sia affidata dal Presidente ad altro o a più giudici”.
Ci dice poi l’art. 26, co. 3 della legge n. 87 del 1953 che il reda
ttore ha venti giorni di tempo (termine ordinatorio) per depositare la decisione. La quale, a questo punto, è trasmessa, entro i successivi due giorni, alle competenti autorità affinché procedano “immediatamente e, comunque, non oltre il decimo giorno”, a far pubblicare l’atto nella Gazzetta Ufficiale, o, se del caso, nel Bollettino Ufficiale della Regione.
È solo a partire da questo momento che – generalmente si ritiene, anche se in dottrina non v’è concordia – la pronuncia esiste giuridicamente e dispiega i suoi effetti, fra cui quello di sollevare i giudici dal dover dichiarare l’improcedibilità delle azioni introdotte senza il previo esperimento del tentativo di mediazione nei casi previsti dal famigerato art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010.
C’è, poi, almeno un’altra questione su cui riflettere: l’eccesso di delega. Se è questo, come lascia supporre il comunicato stampa della Corte, l’unico vizio accertato dal giudice delle leggi, nulla sembrerebbe impedire un intervento in extremis del legislatore volto a “sanare” l’invalidità del precedente decreto.
Ma per questo, ed altri interessanti aspetti rinviamo, come si diceva, ad un contributo apparso sul periodico telematico “Consulta Online” a firma di Gianluca Cosmelli, il cui link è riportato qui sotto: