La Suprema Corte, con la sentenza n. 4036/12 torna sulla tematica relativa al regime di impugnabilità delle sentenze pronunciate dal Giudice di Pace secondo equità.
Come noto, l'art. 339, comma 3, c.p.c. prevede che “le sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità a norma dell'articolo 113, secondo comma, sono appellabili esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie ovvero dei principi regolatori della materia”.
Tale norma ha dato adito ad interpretazioni confliggenti nel corso degli anni, proprio in relazione all'avverbio “esclusivamente”, riferibile secondo alcuni ai motivi di impugnazione e, secondo altri, al mezzo di impugnazione.
In ossequio ai principi già esposti in precedenti pronunce (cfr. Cass. n. 13019/07 e Sez. Un. n. 27339/08), con la sentenza de qua i Giudici di legittimità hanno avuto modo di ribadire che “Dall'assetto scaturito dalla riforma di cui al d.lgs. n. 40 del 2006 e particolarmente dalla nuova disciplina delle sentenze appellabili e delle sentenze ricorribili per cassazione, emerge con certezza assoluta che, riguardo alle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell'ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria, l'appello a motivi limitati, previsto dal terzo comma dell'art. 339 cod. proc. civ., è l'unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso (se si esclude la la revocazione per motivi ordinari).
Tale conclusione – non desumibile esplicitamente da detta norma, posto che l'avverbio “esclusivamente” che in essa figura potrebbe apparire riferibile non al mezzo esperibile, bensì ai motivi deducibili con il mezzo stesso, onde l'interprete potrebbe avere il dubbio (peraltro per il solo vizio di cui al n. 5 dell'art. 360 cod. proc. civ.) che contro la sentenza sia esperibile, prevedendolo altra norma, altra impugnazione ordinaria per i motivi esclusi e segnatamente il ricorso per cassazione – si giustifica, oltre che per un'elementare ragione di coerenza, che esclude un concorso di mezzi di impugnazione non solo per gli stessi motivi, ma anche per motivi che rispetto a quelli ammessi in riferimento ad un mezzo rappresenterebbero un loro allargamento, si giustifica in forza della lettura dell'art. 360 nuovo testo, là dove nel primo comma prevede l'esperibilità del ricorso per cassazione soltanto contro le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado”.
Non è quindi esperibile il ricorso in cassazione: “Poiché la sentenza equitativa del giudice di pace non è né una sentenza pronunciata in grado di appello né una sentenza pronunciata in unico grado (atteso che è, sia pure per motivi limitati, appellabile e, dunque, è sentenza di primo grado), appare evidente che essa non è sottoponibile a ricorso per cassazione per i vizi diversi da quelli indicati dal terzo comma dell'art. 339 e particolarmente per quello di cui al n. 5 dell'art. 360.
Nè, d'altro canto è ipotizzabile la configurabilità del ricorso per cassazione per il motivo di cui al n. 5 dell'art. 360 sulla base dell'ultimo comma del nuovo testo dello stesso art. 360, che ammette il ricorso per cassazione contro le sentenze ed i provvedimenti diversi dalla sentenza per i quali – a norma del settimo comma dell'art. 111 Cost. – è ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge per tutti i motivi di cui al primo comma e, quindi, nelle intenzioni del legislatore, anche per quello di cui al n. 5 citato. Invero, la sentenza del giudice di pace pronunciata nell'ambito della giurisdizione equitativa, essendo appellabile, sia pure per motivi limitati, sfugge all'ambito di applicazione del suddetto settimo comma, che pertiene alle sentenze ed ai provvedimenti aventi natura di sentenza in senso c.d. sostanziale, per cui non sia previsto alcun mezzo di impugnazione e non riguarda i casi nei quali un mezzo di impugnazione vi sia, ma limitato a taluni motivi e la decisione riguardo ad esso possa poi essere assoggettata a ricorso per cassazione (com'è quella resa dal giudice d'appello sulle sentenze del giudice di pace ai sensi del terzo comma dell'art. 339, la quale, naturalmente, lo sarà con adattamento dei motivi di ricorso all'ambito di quelli devolvibili al giudice d'appello stesso”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI CIVILE
Ordinanza 14 marzo 2012, n. 4036
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Nella causa indicata in premessa, è stata depositata la seguente relazione: “1 – La sentenza
impugnata (Trib. Firenze, depositata il 9.6/2010), ha dichiarato inammissibile l'appello avverso quella di primo grado (G. Pace Firenze, introdotta con citazione notificata IMI giugno 2007) considerata pronunziata secondo equità, essendo il valore inferiore a Euro 1.200. 2 – Ricorre per cassazione il C., per violazione di legge, assumendo che il Giudice di Pace aveva violato i principi regolatori della materia.
3.1. – Il ricorso va accolto, trattandosi manifestamente di sentenza di primo grado emessa dal giudice di pace dopo il 2 marzo 2006, epoca di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e, quindi, appellabile, ai sensi del testo dell'art. 339 c.p.c., di cui all'art. 1 del medesimo Decreto. Infatti, la sentenza pronunciata dal giudice di pace in una causa decisa secondo equità, ove sia stata emanata dopo l'entrata in vigore del nuovo testo dell'art. 339 c.p.c., comma 3, è impugnabile con l'appello e non con ricorso per cassazione.
3.2. – Invero, si deve ribadire che “dall'assetto scaturito dalla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, e particolarmente dalla nuova disciplina delle sentenze appellabili e delle sentenze ricorribili per cassazione, emerge con certezza assoluta che, riguardo alle sentenze pronunciate dal giudice di pace nell'ambito del limite della sua giurisdizione equitativa necessaria, l'appello a motivi limitati, previsto dal terzo comma dell'art. 339 c.p.c., è l'unico rimedio impugnatorio ordinario ammesso (se si esclude la revocazione per motivi ordinari). Tale conclusione – non desumibile esplicitamente da detta norma, posto che l'avverbio “esclusivamente” che in essa figura potrebbe apparire riferibile non al mezzo esperibile, bensì ai motivi deducibili con il mezzo stesso, onde l'interprete potrebbe avere il dubbio (peraltro per il solo vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5) che contro la sentenza sia esperibile, prevedendolo altra norma, altra impugnazione ordinaria per i motivi esclusi e segnatamente il ricorso per cassazione – si giustifica, oltre che per un'elementare ragione di coerenza, che esclude un concorso di mezzi di impugnazione non solo per gli stessi motivi, ma anche per motivi che rispetto a quelli ammessi in riferimento ad un mezzo rappresenterebbero un loro allargamento, si giustifica in forza della lettura dell'art. 360 nuovo testo, là dove nel primo comma prevede l'esperibilità del ricorso per cassazione soltanto contro le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado. Poichè la sentenza equitativa del giudice di pace non è nè una sentenza pronunciata in grado di appello nè una sentenza pronunciata in unico grado (atteso che è, sia pure per motivi limitati, appellabile e, dunque, è sentenza di primo grado), appare evidente che essa non è sottoponibile a ricorso per cassazione per i vizi diversi da quelli indicati dall'art. 339, comma 3, e particolarmente per quello di cui all'art. 360, n. 5. Nè, d'altro canto è ipotizzabile la configurabilità del ricorso per cassazione per il motivo di cui all'art. 360, n. 5, sulla base dell'ultimo comma del nuovo testo dello stesso art. 360, che ammette il ricorso per cassazione contro le sentenze ed i provvedimenti diversi dalla sentenza per i quali – a norma dell'art. 111 Cost., comma 7 – è ammesso il ricorso in cassazione per violazione di legge per tutti i motivi di cui al comma 1, e, quindi, nelle intenzioni del legislatore, anche per quello di cui al n. 5 citato. Invero, la sentenza del giudice di pace pronunciata nell'ambito della giurisdizione equitativa, essendo appellabile, sia pure per motivi limitati, sfugge all'ambito di applicazione del suddetto comma 7, che riguarda le sentenze ed i provvedimenti aventi natura di sentenza in senso c.d. sostanziale, per cui non sia previsto alcun mezzo di impugnazione e non riguarda i casi nei quali un mezzo di impugnazione vi sia, ma limitato a taluni motivi e la decisione riguardo ad esso possa poi essere assoggettata a ricorso per cassazione (com'è quella resa dal giudice d'appello sulle sentenze del giudice di pace ai sensi dell'art. 339, comma 3, la quale, naturalmente, lo sarà con adattamento dei motivi di ricorso all'ambito di quelli devolvibili al giudice d'appello stesso” (Cass. 13019/07; S.U. n. 27339/08; ord. n. 10774 e n. 10775/08).
4. – Si propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., e il suo accoglimento, con rinvio per nuovo esame dell'appello della parte odierna ricorrente”.
La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite. Non sono state presentate memorie, nè conclusioni scritte.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere accolto; la sentenza impugnata va cassata con rinvio – per nuovo esame dell'appello della parte odierna ricorrente e per la decisione in ordine alle spese, anche relativamente a quelle del presente giudizio – al medesimo Tribunale in diversa composizione; visti gli artt. 380 bis e 385 c.p.c.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Firenze in diversa composizione.