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Il convivente more uxorio che – successivamente al decesso del proprio compagno – continui a vivere nell'immobile di cui quest'ultimo era proprietario, va qualificato come “detentore autonomo” e, di conseguenza, non può maturare i requisiti ad usucapionem. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 9786 del 14 giugno 2012.

Il caso: La vicenda all'esame della S.C. riguardava la domanda proposta da T. e, successivamente dai propri eredi, di rilascio di un immobile a destinazione abitativa nei confronti degli occupanti, componenti della famiglia di fatto del de cuius (proprietario dell'immobile). In sede di appello, era stata accolta l'eccezione di usucapione sollevata dai convenuti appellanti, tesa a sottolineare come, fin dagli anni '50 la compagna del de cuius e i relativi figli hanno mantenuto un potere di fatto sull'immobile qualificabile come possesso.

La questione: La questione di diritto esaminata dalla S.C., in questa pronuncia, verteva sulla esatta qualificazione della relazione tra il convivente more uxorio (e i figli) e il bene di proprietà del de cuius. Si trattava, più precisamente, di comprendere se dalla mera relazione di convivenza potesse desumersi la sussistenza di un rapporto con la res qualificabile come possesso valido ad usucapionem.

La decisione: Con un'articolata motivazione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso proposto dalle figlie legittime del de cuius ed ha, di conseguenza, disatteso la tesi del giudice d'appello, sostenendo che nella vicenda de qua non sussistessero tutte le condizioni necessarie ai fini dell'applicazione dell'istituto dell'usucapione. Secondo i giudici di Piazza Cavour, infatti, il solo fatto della convivenza non pone di per sè in essere, nelle persone che convivono con chi possiede il bene, un potere sulla cosa che possa essere configurato come possesso sulla medesima (principio già affermato, fra le altre, da Cass. civ. Sez. II, 07/02/2002, n. 1745)

* * *

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.F. (OMISSIS), C.M.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALBERICO II 33, presso lo studio dell'avvocato LUDINI ELIO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato RIZZO GAETANO;

– ricorrente –

contro

P.M. (OMISSIS), P.S. (OMISSIS), P.C. (OMISSIS), P. A. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo studio dell'avvocato PANUCCIO GIUSEPPE, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

e contro

P.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 128/2008 della CORTE D'APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 29/04/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2012 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l'Avvocato Anna Chiozza con delega depositata in udienza dell'Avv. Elio Ludini difensore dei ricorrenti che si riporta al ricorso;

udito l'Avv. Panuccio Giuseppe difensore dei controricorrenti che si riporta anch'egli al controricorso e alla memoria;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

Con sentenza pubblicata il 29.4.2008 la Corte d'appello di Reggio Calabria, in riforma della decisione di primo grado, rigettava la domanda proposta da C.G., e coltivata in appello dalle eredi di lui, P.F. e C.M.R., di rilascio di un immobile a destinazione abitativa sito in (OMISSIS), accogliendo l'eccezione di usucapione proposta dai convenuti appellanti, P.M. e A., C., M. e P.S..

Questi ultimi, osservava la Corte territoriale, erano componenti della famiglia di fatto di P.F., proprietario dell'imm

obile, che fin dagli anni 50 in esso aveva vissuto more uxorio con P.M., e con i figli avuti da lei, tra i quali, appunto, A., C., M. e P.S., fino alla sua morte, avvenuta il (OMISSIS). Successivamente, nell'immobile avevano continuato a vivere la predetta compagna e i figli mantenendo un potere di fatto sulla res qualificabile come possesso. E considerato quale dies a quo della possessio ad usucapionem il 20.6.1954, giorno della nascita del primo figlio, alla data del (OMISSIS), allorquando era stata notificata la citazione introduttiva di un precedente e analogo giudizio, poi estintosi, era già maturato in capo a P.M. il ventennio necessario per l'acquisto per usucapione della proprietà dell'immobile.

Per la cassazione di detta sentenza ricorrono P.F. e C.M.R., formulando tre motivi di ricorso.

Resistono con controricorso A., C., M. e P.S..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

P.M. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. – Preliminarmente va respinta l'eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dai controricorrenti per asserita non corrispondenza tra i quesiti di diritto e la ratio della sentenza impugnata, i primi essendo incentrati sulla questione relativa alla qualificazione giuridica del potere esercitato dal convivente more uxorio sull'immobile di residenza familiare, la seconda avendo qualificato come autonomo il possesso esercitato da P.M., e non già sostenuto che la ridetta convivenza costituisca o possa costituire prova del possesso.

1.1. – Contrariamente a quanto affermano i controricorrenti, il senso complessivo della sentenza impugnata conclama con evidenza solare che la decisione si fonda, essenzialmente ed esclusivamente, proprio sul fatto che P.M. abbia posseduto l'immobile in questione in quanto compagna e convivente del proprietario, P.F., cioè condividendo il possesso iure proprietatis con lui. Non è per nulla affermato, invece, che ella abbia esercitato un possesso “autonomo” (aggettivo che compare a pag. 7 del controricorso, ma non nella sentenza impugnata, salvo a pag. 7 di quest'ultima, dove si parla della prosecuzione, anche dopo la morte di F. P., del godimento del bene “in pienezza di autonomia e di esclusività”), espressione atecnica e tautologica (l'autonomia può essere predicato della sola detenzione) da tradurre in possesso distinto e tendenzialmente antagonista rispetto a quello esercitato dal coniuge di fatto (e del resto non si vede come potrebbero logicamente ipotizzarsi possessi antagonisti all'interno di un medesimo nucleo familiare di cui, pure, non si deduce la dissoluzione ante mortem). Si legge, infatti, nella sentenza impugnata che “deve giudicarsi che il godimento dell'immobile ininterrotto, sin dagli anni 50, esclusivo ed indisturbato, da parte della sig.ra P. M., in virtù della convivenza more uxorio con il sig. P., integra quella relazione di fatto con la cosa, esplicazione di signoria sulla res, idonea ad integrare il possesso (…). La relazione di fatto con la res da parte della sig.ra P. (recte, P.: n.d.r.) costituiva, dunque, esplicazione di dominio sulla res, dominio condiviso con il compagno sig. P., ma sicuramente espressione di signoria e cioè di possesso”.

A nulla rileva che tale potere sulla cosa possa, in ipotesi, essere divenuto autonomo, cioè non dipendente dalla predetta relazione di convivenza, dopo il (decesso di P.F., in quanto la Corte territoriale ha affermato che “l'usucapione in favore di P.M. si è perfezionata allo scadere dei vent'anni decorrenti dal 20.6.1954 (data a partire dalla quale ha ritenuto senz'altro esistente e formato il nucleo familiare di fatto), sicchè il possesso per quasi l'intero ventennio rilevante ai fini dell'usucapione è stato esercitato, secondo la Corte d'appello, vivente P.F. (deceduto il (OMISSIS), si legge in sentenza).

Conclusivamente, la decisione impugnata, sebbene non parli in maniera esplicita di compossesso, ha chiaramente derivato l'affermata usucapione della proprietà dell'immobile in favore di M. P. da un possesso non “autonomo”, ma “condiviso” con P.F., e dunque da un compossesso (giacchè tertium non datur, come meglio si vedrà infra, tra questo e il possesso esclusivo).

Allo stesso modo irrilevante, ai fini dell'eccezione in parola, è il fatto (non risultante dalla pronuncia impugnata, ma affermato nel controricorso) che P.F. fosse solo comproprietario del bene, atteso che i quesiti che il ricorrente ha l'onere di formulare ai sensi dell'art. 366-bis c.p.c. (applicabile alla fattispecie ratione temporis) devono essere calibrati in rapporto alle ragioni della decisione, che ne descrivono la cornice di riferimento.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Reggio Calabria, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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