Quando il legislatore impone, ai fini della validità di un contratto, la cd. forma scritta ad substantiam, è sufficiente la firma di un solo contraente?
Di tale questione si è occupata la Suprema Corte con la pronuncia n. 4564/12, avente ad oggetto, tra i vari quesiti posti all’attenzione dei giudici di Piazza Cavour, anche il tema della validità di un contratto di c/c.
In particolare, i correntisti eccepivano la nullità del contratto de quo per inosservanza della forma scritta, dato che il testo dell’accordo era stato sottoscritto solo da loro e non anche dalla banca.
Da ciò conseguirebbe che si tratterebbe di una loro dichiarazione unilaterale non comprovante la conclusione del contratto per iscritto.
La Suprema Corte, invece, ha espresso parere opposto, ritenendo il contratto valido.
I giudici di legittimità, infatti, hanno rilevato come fosse pacifico, per espressa ammissione dei ricorrenti, che la banca avesse depositato in giudizio analoga copia del contratto di conto corrente prodotta dai correntisti, sostenendo che la copia in possesso di questi ultimi conteneva la firma della banca e che quindi il negozio si era regolarmente concluso nel rispetto della forma scritta.
Inoltre, era altresì stato accertato come il contratto avesse avuto esecuzione da parte di entrambe le parti, sia in relazione agli ordini di investimento che alla comunicazione degli estratti conto.
Più in generale, la Suprema Corte, premesso che nei contratti per cui è richiesta la forma scritta “ad substantiam” non è necessaria la simultaneità delle sottoscrizioni dei contraenti, ha più volte statuito che “sia la produzione in giudizio della scrittura da parte di chi non l’ha sottoscritta, sia qualsiasi manifestazione di volontà del contraente che non abbia firmato, risultante da uno scritto diretto alla controparte e dalla quale emerga l’intento di avvalersi del contratto, realizzano un valido equivalente della sottoscrizione mancante, purchè la parte che ha sottoscritto non abbia in precedenza revocato il proprio consenso ovvero non sia deceduta” (cfr. Cass. n. 2826/00; Cass. n. 9543/02; Cass. n. 22223/06).
Da ciò consegue che: “Anche quindi a voler ritenere che non risulti una copia firmata del contratto da parte della banca, l’intento di questa di avvalersi del contratto risulterebbe comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel corso del rapporto di conto corrente da cui si evidenziava la volontà di avvalersi del contratto (bastano a tal fine le comunicazioni degli estratti conto) con conseguente perfezionamento dello stesso”.
Tale sentenza appare conforme allo spirito e alla ratio delle norme che prescrivono la forma scritta ad substantiam per determinati tipi di contratto.
Lo scopo che si è prefisso il legislatore è infatti quello di garantire la certezza giuridica degli obblighi che i contraenti si assumono.
Per fare ciò normalmente le parti sottoscrivono il contratto, così che la loro firma sancisca la conoscenza/conoscibilità del contenuto dell’accordo.
Ma ben può accadere che vi sia un sola firma. In questi casi la validità del contratto dipende dalle circostanze in cui si è svolto il rapporto tra le parti.
Innanzitutto la nullità del contratto può essere fatta valere con maggior forza da chi non ha sottoscritto il documento negoziale (nel caso in questione la banca, la quale invece ha prodotto il contratto) e non da chi invece ha apposto la propria firma.
Inoltre, ai fini del giudizio sulla validità del negozio, è necessario chiedersi se le parti abbiano o meno dato esecuzione allo stesso.
Nel caso di specie sia i correntisti sia la banca avevano dato spontanea esecuzione al contratto con atti scritti tipici del modello prescelto, per cui nessun dubbio poteva sorgere sulla validità dello stesso.
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