Con la sentenza n. 43495/12 la Cassazione si occupa di precisare i confini che delimitano la fattispecie criminosa di cui all’art. 609 octies c.p..
Nel caso di specie ci troviamo di fronte ad un episodio particolarmente violento (penetrazione anale con un bastone) posto in essere da due ragazzi nei confronti di un terzo.
A fronte delle censure mosse dal difensore dell’imputato alla sentenza di secondo grado, la Suprema Corte ha deciso di confermare il dictum della Corte d’Appello.
In particolare si è avuto modo di precisare come nell’ambito della nozione di atti sessuali sia ricompreso qualsiasi atto comunque “coinvolgente la corporeità sessuale della persona offesa e posto in essere con la coscienza e la volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona non consenziente”.
Resta invece irrilevante, ai fini del perfezionamento del delitto de quo, “l’eventuale fine ulteriore, sia esso di concupiscenza, ludico o d’umiliazione, propostosi dal soggetto agente”.
Sotto altro profilo, i Giudici di legittimità hanno ribadito come sia sufficiente il numero di due persone per integrare il reato in questione e come non sia necessario l’accordo preventivo dei partecipanti, essendo sufficiente la consapevole adesione, anche estemporanea, all’altrui progetto criminoso.
Infine, non è neppure richiesto che tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del reato, anche nel senso del rafforzamento della volontà criminosa dell’autore dei comportamenti tipici di cui all’art. 609 bis c.p..
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III PENALE
Sentenza 2 ottobre – 9 novembre 201, n. 43495
(Presidente Squassoni – Relatore Andreazza)
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 05/03/2012 la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la sentenza del Gup presso il Tribunale di Termini Imerese in data 05/07/2010 di condanna di S.C. alla pena di anni cinque di reclusione per il reato di cui all’art. 609 octies c.p. consistito nell’avvenuta introduzione di un bastoncino di legno nella zona anale del minore Sc.Gi. mentre questi era tenuto fermo da V.M.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il Difensore dell’imputato. Premesso che con l’atto d’appello non si è mai contestata la materialità del fatto ascritto né si è posta in discussione l’attendibilità della persona offesa, lamenta la mancanza di motivazione in ordine al motivo di appello già incentrato sulla mancata riqualificazione giuridica del fatto, caratterizzato da mera volontà di sopraffazione per affermazione di potere e superiorità e non invece da fini di concupiscenza, nei reati di cui agli artt. 582 e 610 c.p.; in particolare lamenta che la Corte si sia limitata a rilevare tautologicamente gli atti posti in essere quali attività indiscutibilmente a sfondo sessuale. Del resto, la stessa Corte ha inquadrato nel merito la condotta collocandola in un contesto di vessazioni, aggressioni e bullismo.
Con un secondo motivo lamenta la qualificazione del fatto all’interno dell’art. 609 octies c.p. giacché solo successivamente alla colluttazione intervenuta, prima di ogni connotazione sessuale, tra Sc. e V., S. si era avvicinato fulmineamente raccogliendo istintivamente un legnetto da terra e compiendo l’atto, in tal modo approfittando della situazione di costrizione della persona offesa; ciò dimostrava che nessun accordo di volontà dei compartecipi al delitto in un rapporto causale inequivocabile si era realizzato, come invece sarebbe stato necessario; anche su tale punto, del tutto apoditticamente, la Corte ha ritenuto che il comportamento costituisca indiscutibilmente un atto sessuale di gruppo.
Con un terzo motivo ha dedotto violazione degli artt. 132 e 133 c.p. nonché manifesta illogicità della motivazione in ordine alla quantificazione della pena: considerato il contesto di vessazione tra ragazzi e di sopraffazione non collegate con un attentato alla libertà sessuale della vittima, il fatto assume, al più, una rilevanza minimale; né la Corte ha considerato la minima gravità del danno alla libertà sessuale risultante dagli atti di causa e dalla stessa perizia psicologica; né, ancora, si è espressa sulle condizioni di vita familiare e sociale dell’imputato evidenziate con l’atto di appello.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è infondato e va rigettato. Indiscussa la materialità del fatto addebitato all’imputato (S., sopraggiunto insieme a V.M. preso il campetto di calcio ove si trovava Sc.Gi., ebbe ad abbassare i pantaloni a quest’ultimo, tenuto fermo da V., e ad infilargli un bastoncino di legno nella zona anale), la Corte, in conformità con quanto già ritenuto del Gup, ha inquadrato la fattispecie all’interno della previsione delittuosa della violenza di gruppo, in tal modo facendo corretta applicazione dei principi già reiteratamente affermati da questa Corte sia sotto il profilo della inclusione della condotta all’interno degli atti sessuali di cui all’art. 609 bis c.p. sia sotto il profilo della sua riconducibilità nella dimensione tipica di cui all’art. 609 octies c.p. Sotto il primo versante, investito dal ricorrente con il primo motivo di ricorso, va infatti riaffermato che nel concetto di atti sessuali deve essere ricondotto ogni atto comunque coinvolgente la corporeità sessuale della persona offesa, e posto in essere con la coscienza e la volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona non consenziente, sicché resta non rilevante, ai fini del perfezionamento del reato, l’eventuale fine ulteriore, sia esso di concupiscenza, ludico o d’umiliazione, propostosi dal soggetto agente (Sez. 3, n. 39718 del 17/06/2009, Baradel e altro, Rv. 244622; Sez. 3, n. 28815 del 09/05/2008, B, Rv. 240989; Sez. 3, n. 4402 del 10/03/2000, Rinaldi, Rv. 220938; Sez. 3, n. 35625 del 11/07/2007, Sez. 3, n. 39710 del 21/09/2011, R., Rv. 251318). Correttamente, pertanto, i giudici di appello hanno ritenuto che la eventuale finalità, anche solo esclusiva, di umiliazione della persona offesa, non abbia comunque privato la condotta dell’oggettiva connotazione sessuale ad essa indiscutibilmente derivante dalla zona corporale intenzionalmente aggredita. Né la decisione è censurabile, come già anticipato, con riguardo al secondo profilo, evocato dal ricorrente con il secondo motivo di ricorso, avendo la Corte, sia pure assai sinteticamente, ponendo a confronto la fattispecie materiale con la previsione di cui all’art. 609 octies c.p. come interpretata dalla giurisprudenza, motivatamente concluso (fermo restando comunque, stante la riferibilità del vizio a questione di diritto, l’irrilevanza di una motivazione mancante o apparente sul punto: cfr., da ultimo, in motivazione, Sez. U, n. 155 del 29/09/2011, Rossi ed altri, Rv. 251497) per la qualificazione del fatto come violenza di gruppo in aderenza, anche in tal caso, ai principi elaborati dalla giurisprudenza ai fini della distinzione tra tale figura di reato ed il mero concorso di persone nel reato di violenza sessuale. Va infatti ricordato che ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo, per la cui realizzazione è sufficiente il numero di due persone (Sez. 3, n. 3348 del 13/11/2003, Pacca e altro, Rv.227496), non è necessario l’accordo preventivo dei partecipanti, essendo sufficiente la consapevole adesione, anche estemporanea, all’altrui progetto criminoso (Sez. 3, n. 34212 del 01/07/2012, V., Rv. 248230) e che ricorre la fattispecie di violenza sessuale di gruppo, pur quando non tutti i componenti del gruppo compiano atti di violenza sessuale, essendo sufficiente che dal compartecipe sia comunque fornito un contributo causale alla commissione del reato, anche nel senso del rafforzamento della volontà criminosa dell’autore dei comportamenti tipici di cui all’art. 609 bis e. p. (Sez. 3, n. 11560 del 11/03/2010, M., Rv. 246448). Nella specie, risulta dalla sentenza impugnata, senza che d’altra parte il ricorrente abbia mai contestato tale aspetto, che l’imputato poté portare a termine la condotta illecita giovandosi dell’ausilio di V. che ebbe a tenere fermo Sc. all’evidente e voluto fine di consentire appunto all’imputato, che nel frattempo aveva raccolto un legno da terra e, subito dopo, aveva abbassato i pantaloni a Sc., di aggredire sessualmente quest’ultimo, ciò essendo sufficiente a ritenersi concluso, sia pure senza una previa, non necessaria, concertazione, un accordo tra i due inequivocabilmente finalizzato a ledere la libertà sessuale del ragazzo. Se poi si consideri che, secondo quanto riportato dalla sentenza di primo grado, uno dei ragazzi che ebbero ad assistere all’episodio, ovvero Z.N., nominato in premessa anche dalla sentenza impugnata, ebbe a dichiarare ai Carabinieri che S. stesso chiese a V. di prendere Sc. giacché gli avrebbero infilato il legnetto in oggetto (vedi pag. 7), ogni questione circa la mancanza di un accordo tra i due appare, davvero, mal posta.
4. È infondato anche il terzo motivo di ricorso volto a censurare l’entità della pena irrogata. È insegnamento costante di questa Corte quello per cui, nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale anche ove adoperi espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (per tutte, Sez. 3, n. 33773 del 29/05/2007, Ruggieri, Rv. 237402). Nella specie la pena irrogata, a fronte di una forbice edittale tra i sei e i dodici anni di reclusione, è stata determinata in anni sette e mesi sei. In ogni caso la Corte palermitana ha dapprima richiamato sul punto la sentenza di primo grado, ove infatti si segnalava il divario di età tra aggressore e vittima nonché l’esistenza di un precedente specifico posto in essere nel 2007, e successivamente ha sottolineato le caratteristiche di particolare gravità del fatto, quale pericolosissimo atto di bullismo e tragico esempio di anticipazione di attività delinquenziale sin dalla giovane età, sì da far ritenere la pena irrogata all’imputato del tutto adeguata all’entità del fatto, considerata anche l’avvenuta concessione delle attenuanti generiche.
5. Il ricorso va pertanto rigettato con conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.