La Suprema Corte, con la pronuncia n. 4991/12 torna ad occuparsi della legittimazione attiva in materia di condominio.
Il caso. G.B., proprietario di due unità immobiliari facenti parte del Condominio (omissis) posto in (omissis) ed ubicate al piano terra, l’una adibita allo svolgimento dell’attività di autoscuola e ad agenzia di pratiche automobilistiche e l’altra all’esercizio di attività commerciale, impugnava, perché adottata in assenza del prescritto quorum e perché contrastante con la legge, la deliberazione presa dall’assemblea condominiale in data 12 ottobre 2001 che aveva negato l’autorizzazione all’installazione di insegne pubblicitarie sulle architravi perimetrali dell’edificio soprastanti le citate unità.
Il Giudice di Pace accoglieva la domanda attorea presentata nei confronti del condominio, ma un singolo condomino decideva di proporre appello.
Il Tribunale, tuttavia, dichiarava inammissibile il suddetto gravame per carenza di legittimazione ad impugnare in capo al singolo condomino, che non era stato parte del giudizio di primo grado.
Secondo il Tribunale, infatti, “nella specie non è in discussione l’esistenza del diritto dei condomini all’uso del bene comune, ma solo le modalità e facoltà di utilizzo dello stesso: venendo dunque in rilievo la gestione del servizio comune, la legittimazione ad agire, e quindi ad impugnare, spetta soltanto all’amministratore”.
La decisione. La Cassazione, invece, ritiene che il singolo condomino sia munito di legittimazione attiva ad impugnare.
I Giudici di Piazza Cavour partono dal presupposto per cui il Giudice di pace, con la sentenza, ha chiarito che nel caso de quo ciò di cui si discuteva non era la misura o la modalità di uso di un servizio condominiale, ma “se la materia relativa all’esposizione di targhe ed insegne sia sottratta alla disponibilità dell’assemblea dei condomini”: quesito al quale il giudice ha dato risposta affermativa, sul rilievo che non può essere vietato al singolo condomino “di servirsi della cosa comune, e cioè dei muri perimetrali, per apporvi le proprie insegne”, ciò “raffigurando] una modifica della cosa comune conforme alla destinazione del muro perimetrale, che ciascun condomino può legittimamente apportare a propria cura e spese, se non impedisce l’altrui pari uso”.
In altre parole, la causa in questione non riguarda i limiti quantitativi e qualitativi nell’uso dei servizi del condominio, ma l’esistenza (o l’inesistenza) del diritto di usare il muro comune al fine di apporvi targhe, e quindi un diritto soggettivo di carattere dominicale spettante al singolo condomino.
Pertanto, concludono gli Ermellini, ”essendo in discussione i diritti e le facoltà che si riconnettono al diritto di comproprietà dei condomini sulla parte comune, il Tribunale avrebbe dovuto riconoscere la legittimazione ad appellare del singolo condomino, in luogo dell’amministratore che era stato parte nel giudizio di primo grado, e ciò in base al principio secondo cui nel condominio di edifici, che costituisce un ente di gestione, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, né quindi del potere di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti dell’amministratore stesso che vi abbia fatto acquiescenza (Cass., Sez. II, 6 agosto 1999, n. 8479; Cass., Sez. II, 21 gennaio 2010, n. 1011, Cass., Sez. III, 18 febbraio 2010, n. 3900; Cass., Sez. III, 16 maggio 2011, n. 10717)”.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Sentenza 13 – 28 marzo 2012, n. 4991
(Presidente Goldoni – Relatore Giusti)
Ritenuto in fatto
1. – Con ricorso in data 9 novembre 2001 al Giudice di pace di Portogruaro, G.B., proprietario di due unità immobiliari facenti parte del Condominio (omissis) posto in (omissis) ed ubicate al piano terra, l’una adibita allo svolgimento dell’attività di autoscuola e ad agenzia di pratiche automobilistiche e l’altra all’esercizio di attività commerciale, ha impugnato, perché adottata in assenza del prescritto quorum e perché contrastante con la legge, la deliberazione presa dall’assemblea condominiale in data 12 ottobre 2001 che aveva negato l’autorizzazione all’installazione di insegne pubblicitarie sulle architravi perimetrali dell’edificio soprastanti le citate unità.
Si è costituito il Condominio, eccependo l’incompetenza per materia del giudice adito e contestando nel merito la fondatezza delle pretese avversarie.
Il Giudice di pace, dopo avere dichiarato con sentenza non definitiva la propria competenza per materia a decidere la causa, con sentenza in data 7 giugno 2003 ha accolto la domanda attorea e, per l’effetto, ha annullato in parte qua la delibera impugnata ed il rifiuto dell’amministratore ad autorizzare l’installazione delle insegne, abilitando il B. ad effettuare tale installazione.
2. – Questa sentenza è stata appellata dal condomino M.S.
Il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Portogruaro, con sentenza in data 22 maggio 2006 ha dichiarato inammissibile l’appello per carenza di legittimazione ad impugnare in capo al singolo condomino, che non è stato parte del giudizio di primo grado. Secondo il Tribunale, nella specie non è in discussione l’esistenza del diritto dei condomini all’uso del bene comune, ma solo le modalità e facoltà di utilizzo dello stesso: venendo dunque in rilievo la gestione del servizio comune, la legittimazione ad agire, e quindi ad impugnare, spetta soltanto all’amministratore.
3. – Per la cassazione della sentenza del Tribunale il M. ha proposto ricorso, con atto notificato il 19 luglio 2006, sulla base di due motivi.
L’intimato ha resistito con controricorso, illustrato con memoria.
Considerato in diritto
1. – Con il primo motivo (violazione degli artt. 339 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.) si censura che il Tribunale abbia dichiarato inammissibile l’appello sul rilievo che il giudicato formatosi sulla sentenza parziale del Giudice di pace avrebbe dimostrato che la lite riguardava un servizio condominiale. Il Tribunale non avrebbe tenuto conto che la sentenza parziale ha espressamente affermato che la competenza del giudice di pace riguardava anche i beni ed i diritti, il criterio per individuare il giudice competente essendo il valore, desumibile dalla delibera impugnata. In altri termini, il Giudice di pace si sarebbe detto competente in base al valore della delibera, tralasciando del tutto il tipo di controversia. Anche la sentenza definitiva del primo giudice aveva escluso che si vertesse in tema di servizi condominiali, trattandosi di diritti soggettivi perfetti del condomino in contrasto con quelli degli altri condomini.
Con il secondo mezzo (violazione degli artt. 339 cod. proc. civ., e 1102, 1117, 1118 e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.) si sostiene che la lite relativa all’uso della cosa comune, quando ha ad oggetto l’utilizzo di un muro comune dell’immobile condominiale per affiggervi targhe o insegne, riguarda diritti soggettivi, con la conseguenza che la sentenza che la definisce può essere appellata dal condomino rimasto estraneo al giudizio di primo grado in cui è stata resa.
2. – I due motivi – i quali, stante la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati.
Non è in discussione la competenza del giudice di pace a giudicare sulla presente controversia: la sentenza non definitiva in data 25 luglio 2002, con cui il Giudice di pace di Portogruaro ha dichiarato la propria competenza per materia nella controversia de qua, perché concernente la modalità di uso del servizio condominiale relativo al muro comune, è infatti passata in cosa giudicata, non essendo stata fatta oggetto di impugnazione.
Quel che viene in rilievo è il merito della controversia: e sotto questo profilo il Giudice di pace, con la sentenza in data 7 luglio 2003 con cui ha definito il giudizio dinanzi a sé pendente, ha chiarito che nella specie ciò di cui si discuteva non era la misura o la modalità di uso di un servizio condominiale, ma “se la materia relativa all’esposizione di targhe ed insegne sia sottratta alla disponibilità dell’assemblea dei condomini”: quesito al quale il giudice ha dato risposta affermativa, sul rilievo che non può essere vietato al singolo condomino “di servirsi della cosa comune, e cioè dei muri perimetrali, per apporvi le proprie insegne”, ciò “raffigurando] una modifica della cosa comune conforme alla destinazione del muro perimetrale, che ciascun condomino può legittimamente apportare a propria cura e spese, se non impedisce l’altrui pari uso”.
Il merito della controversia, ad onta delle ragioni che avevano indotto ad affermare la competenza per materia del giudice di pace, ha dunque riguardato, non già i limiti quantitativi e qualitativi nell’uso dei servizi del condominio, ma l’esistenza (o l’inesistenza) del diritto di usare del muro comune al fine di apporvi targhe, e quindi un diritto soggettivo di carattere dominicale spettante al condomino.
È evidente che, in siffatta fattispecie, il Tribunale, investito dell’appello del singolo condomino, ha errato a ritenere che la legittimazione ad impugnare spettasse esclusivamente all’amministratore per essere la causa decisa in primo grado relativa alla gestione di un servizio comune.
Essendo in discussione i diritti e le facoltà che si riconnettono al diritto di comproprietà dei condomini sulla parte comune, il Tribunale avrebbe dovuto riconoscere la legittimazione ad appellare del singolo condomino, in luogo dell’amministratore che era stato parte nel giudizio di primo grado, e ciò in base al principio secondo cui nel condominio di edifici, che costituisce un ente di gestione, l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, né quindi del potere di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti dell’amministratore stesso che vi abbia fatto acquiescenza (Cass., Sez. II, 6 agosto 1999, n. 8479; Cass., Sez. II, 21 gennaio 2010, n. 1011, Cass., Sez. III, 18 febbraio 2010, n. 3900; Cass., Sez. III, 16 maggio 2011, n. 10717).
3. – La sentenza impugnata è cassata.
La causa deve essere rinviata al Tribunale di Venezia, in persona di diverso giudicante.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, al Tribunale di Venezia, in persona di diverso giudicante.