Il caso. Il Sig. S.L. concedeva in comodato un immobile di sua proprietà a quella che sarebbe divenuta sua nuora.
Terminata la convivenza – causa separazione tra i coniugi – l’attore adiva il Tribunale competente, chiedendo la restituzione del bene.
Le questioni poste dal caso in questione sono quindi due: quale tipo di comodato viene in considerazione nella fattispecie de qua e se l’istante ha diritto a richiedere il rilascio dell’immobile.
La decisione. I Giudici di legittimità, con la sentenza n. 2103/12, hanno ritenuto che il contratto stipulato tra le parti non sia inquadrabile sotto la specie del cd. comodato precario di cui all’art. 1810 c.c., la cui configurabilità comporta l’obbligo di restituzione a semplice richiesta del proprietario.
Siamo, invece, di fronte alla figura del cd. comodato a termine (implicito), essendo stato, l’immobile, adibito a casa familiare.
Proprio tale specifico vincolo di destinazione, a parere degli Ermellini, caratterizza il rapporto de quo, così che, essendo venuta meno la convivenza e in mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione del bene, è altresì venuto meno lo scopo di quest’ultimo.
In conclusione, secondo tale orientamento (cfr. anche Cass. Sez. Un. n. 13603/04), il comodato adibito ad uso casa coniugale “rientrerebbe nell’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 1809 c.c., la cui restituzione, pertanto, è legata al termine dell’utilizzo”, così che il legittimo proprietario ha diritto di richiedere il rilascio dell’unità abitativa in questione.
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 1 dicembre 2011– 14 febbraio 2012, n. 2103
(Presidente Filadoro – Relatore D’Amico)
Svolgimento del processo
S.L. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Vasto A.P. sostenendo: 1) di averle concesso in comodato una casa perché la stessa era in procinto di diventare sua nuora; 2) di averle, dopo quindici anni, inutilmente comunicato le proprie necessità di rientrare nella disponibilità della casa; 3) che essa convenuta continuava ad abitare l’immobile ormai sine titulo. Per tali ragioni l’attore chiedeva la condanna della convenuta all’immediata riconsegna del bene e al risarcimento dei danni per l’importo di quindicimila Euro.
Il Tribunale accolse la domanda attrice volta ad ottenere il rilascio dell’immobile in quanto il comodato era da ritenersi precario ex art. 1810 c.c.
Ha proposto appello A.P.
La Corte distrettuale ha respinto l’appello sostenendo che l’appellato è l’unico proprietario; che esso ebbe a comodare l’appartamento perché fosse adibito ad abitazione familiare del figlio e dell’appellante; che il provvedimento che regola la separazione non ha assegnato all’appellante l’appartamento.
Propone ricorso per cassazione A.P. con tre motivi.
Resiste con controricorso S.L.
Motivi della decisione
Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “Violazione dell’art. 1809 c.c. Motivazione illogi
ca ed insufficiente su fatti controversi e decisivi”.
Secondo parte ricorrente la Corte d’Appello ha errato nello stabilire che le parti avrebbero stipulato un comodato di scopo, legato alla durata della convivenza di chi avrebbe dovuto abitare quella casa mentre era necessario stabilire che cosa si prefiguravano o volevano i contraenti nel momento della stipulazione del contratto. Inoltre, si afferma, la Corte d’Appello, in maniera illogica, non ha ammesso la prova su come ed a quali condizioni era sorto il comodato.
Il motivo deve essere rigettato.
Con la sentenza n. 13603/2004 le sezioni unite di questa Corte hanno affermato che è necessario attribuire rilevanza al dato oggettivo dell’uso cui la cosa è destinata. La specificità della destinazione a casa familiare, quale punto di riferimento e centro di interessi del nucleo familiare, è incompatibile con un godimento contrassegnato dalla provvisorietà e dall’incertezza che caratterizzano il comodato cosiddetto precario e che legittimano la cessazione ad nutum del rapporto su iniziativa del comodante.
Il vincolo di destinazione, pertanto, appare idoneo a conferire all’uso, cui la cosa doveva essere destinata, il carattere di termine implicito della durata del rapporto, la cui scadenza non è determinata, ma è strettamente correlata alla destinazione impressa ed alle finalità cui essa tende.
Pertanto, secondo tale orientamento, il comodato adibito ad uso casa coniugale rientrerebbe nell’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 1809 c.c., la cui restituzione, pertanto, è legata al termine dell’utilizzo.
Nel caso in esame, essendo venuta meno la convivenza ed in mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione del bene oggetto di comodato, è venuto meno anche lo scopo di quest’ultimo.
Infondata è anche la censura relativa alla mancata ammissione delle prove su come ed a quali condizioni era sorto il comodato. Deve infatti rilevarsi come il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare e, quindi, delle prove stesse che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative. (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915).
Nel ricorso in esame non sono specificamente indicati i mezzi di prova richiesti.
Con il secondo motivo si denuncia “Violazione dell’art. 112 c.p.c. Violazione degli artt. 163 e 414 c.p.c. Difetto di motivazione su fatti controversi e decisivi”.
Denuncia parte ricorrente che sia la sentenza di primo grado, sia quella di secondo grado, sono viziate da omessa pronuncia circa l’eccepita nullità della citazione introduttiva e che la Corte d’appello non ha risposto all’eccezione per cui il Tribunale aveva pronunciato oltre i limiti di quanto l’attore gli aveva chiesto, introducendo il tema del comodato precario di cui lo stesso attore non aveva mai parlato.
Si ritiene altresì che la Corte d’appello è andata fuori dai limiti di quanto chiestole, capovolgendo i termini della contesa e introducendo d’ufficio il tema nuovo della separazione dei coniugi.
Il motivo deve essere rigettato.
Il giudice di merito ha infatti il potere-dovere di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione con il limite del rispetto dell’ambito delle questioni proposte in modo che siano lasciati immutati il petitum e la causa petendi, senza l’introduzione nel tema controverso di nuovi elementi di fatto.
Nel caso in esame il giudice di merito non è incorso nel vizio di ultrapetizione o extrapetizione perché non ha interferito nel potere dispositivo delle parti, né ha alterato gli elementi obiettivi dell’azione (“petitum” e “causa petendi”), né ha emesso un provvedimento diverso da quello richiesto (“petitum” immediato), attribuendo o negando un bene della vita diverso da quello conteso (“petitum” mediato). In altri termini non ha pronunciato oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato (Cass., 11 gennaio 2011, n. 455).
Con il terzo motivo si denuncia “Motivazione omessa ed illogica su fatti controversi e decisivi e su richiesta di prova”.
Lamenta la ricorrente che sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto la richiesta dell’accertamento tecnico preventivo “che serviva per dare una dimensione del comodato intervenuto tra le parti”.
Anche quest’ultimo motivo deve essere rigettato.
La valutazione del requisito dell’urgenza e della rilevanza dell’accertamento tecnico preventivo è infatti riservata al giudice di merito il cui apprezzamento in proposito, concretandosi in una indagine di fatto, non è censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato (Cass., 27 novembre 1972, n. 3466).
Nel caso in esame l’impugnata sentenza ha congruamente motivato il diniego del suddetto accertamento ed ha precisato che in una causa in cui si controverte sulla natura di un contratto di comodato sarebbe stato poco utile avere un’idea corretta e precisa di quali e quante migliorie erano state apportate dalla ricorrente alla casa.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00 di cui Euro 2.800,00 per onorari.
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