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Cos’è l’assegno di mantenimento? Quali sono i criteri per la determinazione dell’assegno di mantenimento? Cos’è l’assegno divorzile? Quali sono i criteri per la determinazione dell’assegno divorzile?

Premesso che con la separazione, non viene meno lo spirito di solidarietà che “guida” ogni nucleo familiare, quando si chiede la separazione, il giudice può stabilire che un coniuge versi all’altro un assegno di mantenimento qualora verifichi:

  • la non addebitabilità della separazione al coniuge nel cui favore viene disposto il mantenimento;
  • la mancanza per il beneficiario di adeguati redditi propri;
  • la sussistenza di una disparità economica tra i due coniugi.

Verificati questi 3 presupposti, per la determinazione della misura dell’assegno si tiene conto dei redditi dell’obbligato!

Dopo la separazione, i coniugi possono determinarsi per il divorzio e solo allora si discuterà dell’assegno divorzile, introdotto dall’art. 5 della legge 898 del 1970. Occorre subito chiarire che il quantum dell’assegno di divorzio è determinato in base a criteri autonomi e distinti rispetto a quelli rilevanti per il trattamento economico del coniuge separato giacché l’assegno divorzile “presupponendo lo scioglimento del matrimonio, prescinde dagli obblighi di mantenimento e di alimenti, operanti in regime di convivenza e di separazione, e costituisce effetto diretto della pronuncia di divorzio, con la conseguenza che l’assetto economico relativo alla separazione può rappresentare mero indice di riferimento nella misura in cui appaia idoneo a fornire elementi utili di valutazione” Cass. Civ., Sez. I, n. 17017, 23 giugno 2008.

Posto che la finalità principale perseguita dal legislatore è quella assistenziale, il giudice si pronuncerà sull’assegno divorzile affinché le condizioni economiche del coniuge più debole non risultino deteriorate per il solo effetto del divorzio. L’assegno divorzile, quindi, è un assegno vitalizio che spetta all’ex coniuge qualora non abbia un reddito sufficiente a mantenere il tenore di vita familiare, sempre che non gli sia addebitabile la separazione (art. 5, co. 4° L. div.), tenendo conto, anche in questo caso, della situazione patrimoniale del soggetto obbligato. Preme evidenziare che per tenore di vita s’intende quello offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi e non quello tollerato o subito o concordato!!! Recentemente la Cassazione sulla scia di un consolidato orientamento ha osservato che:  “Nel caso in cui il coniuge cui non è addebitabile la separazione adduca che il suo patrimonio ed i suoi redditi non siano in grado di assicurargli il mantenimento del pregresso tenore di vita, al fine di provvedere sull’assegno il giudice deve esaminare le esigenze del richiedente accertando e tenendo conto di tutte le risorse economiche del predetto e dell’onerato. In conclusione deve procedere ad un’attendibile ricostruzione delle rispettive posizioni economiche e reddituali dei coniugi nel bilanciamento dei reciproci interessi, si da garantire il permanere del medesimo tenore di vita attraverso la corresponsione dell’assegno” (Cass. Civ., sez. I, n. 4178, 20 febbraio 2013).

Il quantum dell’assegno divorzile si stabilisce attraverso un’attenta analisi dei criteri previsti dall’art. 5, comma 6, l. 898/1970 quali le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio, il reddito dei coniugi, rapportati alla durata del matrimonio.

Non si sfugge a tale dovere anche qualora il/la proprio/a ex non lavori, pur avendo la capacità di farlo! Difatti secondo la Cassazione “Deve riconoscersi il diritto all’assegno di mantenimento in favore del coniuge non responsabile della separazione che, pur avendo attitudine al lavoro, non fruisca di redditi in grado di garantirgli un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Le ragioni dell’assenza attuale di effettiva capacità reddituale sono valutabili solo in sede di quantificazione del contributo” (Cass. Civ., Sez. I, n. 3502, 13 febbraio 2013).

Gli ex coniugi cosa possono stabilire?

Ai sensi dell’art. 9 bis, 2°co. della L. div. su accordo degli ex coniugi la corresponsione dell’assegno divorzile può avvenire una tantum, ossia in un’unica soluzione!!! In questo caso, però, successivamente non sarà possibile avanzare alcuna altra pretesa economica.

Ai fini fiscali?

L’assegno è deducibile dal reddito imponibile Irpef del coniuge che lo corrisponde e costituisce reddito imponibile per chi lo riceve, almeno che gli ex coniugi non si siano accordati per la corresponsione una tantum!

L’assegno di mantenimento versato per i figli non è deducibile per il genitore obbligato, né deve essere dichiarato dal coniuge che lo riceve.

Si possono ottenere delle garanzie?

Se esiste il pericolo che l’obbligato non paghi l’assegno, il Tribunale che pronuncia lo scioglimento (matrimonio civile) o la cessazione degli effetti civili (matrimonio religioso) del matrimonio può imporgli di prestare idonea garanzia personale o reale.

Si ricorda, inoltre, che la sentenza costituisce titolo per l’iscrizione giudiziale dell’ipoteca.

Nei confronti del genitore inadempiente, laddove ci siano figli minori, si può anche ricorrere al Giudice tutelare per chiedere il ritiro del passaporto del soggetto obbligato al pagamento dell’assegno di  mantenimento!

Verso i figli cosa deve il genitore non affidatario?

L’assegno di mantenimento del figlio viene corrisposto al genitore affidatario. Tale dovere non si estingue con il raggiungimento della maggiore età, ma perdura fin quando la prole non sarà economicamente indipendente. Quel che può cambiare, compiuti i 18 anni di età, è la possibilità di ottenere il versamento diretto dell’assegno all’avente diritto (art. 155 quinquies c.c.).

Si deve dare il mantenimento se il figlio maggiorenne rifiuta di lavorare?

Occorre valutare i motivi del rifiuto in quanto un conto è non assecondare i suoi “capricci”, diverso è mortificare le aspirazioni di un figlio che voglia intraprendere una carriera in linea con il suo percorso di studi … La giurisprudenza sul punto si è espressa quasi all’unisono, come ad esempio Cassazione, Sez. I, n. 1779 del 25 gennaio 2013 secondo cui : “In tema di assegno di mantenimento in favore del figlio, va confermata la decisione dei giudici di Appello, che avevano escluso l’ingiustificatezza del rifiuto opposto dal figlio all’opportunità di lavoro propostagli dal padre, allorché venga provato trattarsi di un semplice lavoro stagionale”.
Vedi anche Obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni e Figli maggiorenni e diritto al mantenimento.

Se non si provvede al versamento dell’assegno?

Premesso che la sentenza di separazione dà luogo a un giudicato rebus sic stantibus, al mutare della situazione di fatto, si deve sapere che è sempre possibile rivolgersi al giudice civile per ottenere eventuali revisioni dell’assegno di mantenimento, mentre non è possibile autoridursi l’assegno, né giustificare la propria omissione di pagamento se non dando prova certa del proprio stato di indigenza.

Se non si è in presenza di nessuna di queste due ipotesi, allora  su istanza di parte, il Tribunale può disporre la distrazione di una quota dei redditi o dei proventi di lavoro dell’obbligato in quanto ai sensi dell’art. 148, co. 2° c.c. “in caso d’inadempimento il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l’inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro coniuge o a chi sopporta le spese per il mantenimento e l’educazione della prole”.

Il giudice, quindi, può ordinare il pagamento diretto del datore di lavoro dell’obbligato. L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo (art. 282 bis, co. 3°c.p.p.).

Secondo la dottrina e giurisprudenza più recente si tratterebbe di una sorta di pignoramento presso terzi, direttamente disposto dal presidente del Tribunale affinché il terzo datore di lavoro o erogatore di trattamenti di quiescenza o rendite di vario tipo corrisponda direttamente la citata quota reddituale a chi sopporta l’effettivo onere del mantenimento della prole. In altre parole il decreto presidenziale costituisce titolo esecutivo!!! Se il soggetto obbligato  è  un libero professionista si potrà, invece, ottenere l’iscrizione ipotecaria sugli immobili.

Il Tribunale può ordinare anche il sequestro di parte dei suoi beni (art. 156 c.c.).

Possono essere obbligati al mantenimento anche i nonni?

Certo! Il dovere dei nonni di concorrere al mantenimento dei nipoti sussiste ogni qual volta i figli non siano in grado di farlo.  Di qui, la possibilità di agire contro i nonni del genitore che non paga l’assegno di mantenimento in quanto indigente affinché ottemperino direttamente loro.

Cosa si può fare in caso di mancato versamento dell’assegno di mantenimento verso i figli minorenni o maggiorenni portatori di handicap grave?

Ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c. si potrà ricorrere in sede giudiziale affinché il Tribunale  ammonisca il genitore inadempiente, lo condanni al risarcimento dei danni nei confronti del minore e/o dell’altro genitore o al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria.

Possono esserci conseguenze penali?

In primis, il mero inadempimento degli obblighi di natura economica stabiliti nella sentenza che dichiara la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio, viene sanzionato ai sensi dell’art. 12 sexieies  della L. n. 898 del 1970 con le pene previste dall’art. 570 c.p. (Violazione degli obblighi di assistenza familiare), ossia con la reclusione fino ad un anno o con la multa  da euro 103 a euro 1.032. In questo caso si rinvia alla norma penale solo con riguardo alla pena!!!

Quando, invece, si può essere accusati del reato di Violazione degli obblighi di assistenza familiare?

L’art. 570 c.p. incrimina il partner e/o genitore che abbandonando il domicilio domestico o assumendo un comportamento obliquo all’ordine o alla morale familiare, si sottrae volontariamente ai propri obblighi di assistenza o comunque dilapida o malversa i beni dei figli o del coniuge o faccia mancare loro o ai suoi ascendenti i mezzi di sussistenza. Con riferimento a quest’ultima ipotesi, occorre distinguere però l’assegno stabilito in sede di giudizio di separazione dai mezzi di sussistenza, necessari per la sopravvivenza dei familiari. La norma penale, a differenza dell’inadempimento civilistico, quindi non fa riferimento a singoli mancati o ritardati pagamenti “bensì ad una condotta di volontaria inottemperanza con la quale il soggetto agente intende specificamente sottrarsi all’assolvimento degli obblighi imposti con la separazione. Ciò corrisponde alla funzione di queste disposizioni che è quella di garantire che il soggetto obbligato assista con continuità i figli e gli altri soggetti tutelati. Da un lato, quindi, non è una condotta integrata da qualsiasi forma d’inadempimento e dall’altro, trattandosi di reato doloso, la condotta deve essere accompagnata dal necessario elemento psicologico. In particolare, sul piano oggettivo, si deve trattare d’inadempimento serio e sufficientemente protratto (o destinato a protrarsi) per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire. Quindi il reato non scatta automaticamente con l’inadempimento ai sensi delle leggi civili e, ancorché la violazione possa conseguire anche al ritardo, il giudice penale dovrà valutarne la “gravità” e, quindi, l’attitudine oggettiva a integrare la condizione che la norma è tesa ad evitare.” (Cass. Pen, Sez. VI, n. 43527, 4 ottobre 2012)

Ma se il genitore affidatario o anche un terzo provvede integralmente ai bisogni dei figli al fine di non fargli mancare i mezzi di sussistenza?

Premesso che lo stato di bisogno del minore, soggetto privo di rendite e non in grado per l’età di procurarsi reddito da lavoro, non è discutibile, per la Cassazione questo fatto non rileva in quanto Lo stato di bisogno, infatti, deve essere apprezzato nei rapporti tra la persona che deve essere assistita e il soggetto obbligato, onde il reato non è escluso dal fatto che altri, coobbligato o obbligato in via subordinata, si sostituisca all’inerzia dei soggetto obbligato nella somministrazione dei mezzi di sussistenza. L’omissione dell’obbligato integra comunque il disvalore oggettivo e soggettivo richiesto dalla fattispecie e l’intervento del terzo (coobbligato o obbligato in via subordinata) si rende necessario proprio perchè, a causa della condotta inadempiente dell’obbligato, la persona offesa viene a trovarsi nella situazione di disagio che la norma mira a prevenire” (Cass. Pen, Sez. VI, n. 41042, 20 marzo 2012).

L’immagine del post è stata realizzata da stevepb, rilasciata con licenza cc.

Avv. Francesca Romana Landi e Dr.ssa Gaia Fiorani

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