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Nell’ultimo periodo, il nuovo trend della rete è, senza dubbio, quello relativo alle Initial Coin Offering (anche conosciute con l’acronimo di ICO). Ius in Action intende esaminare in profondità questo nuovo interessante fenomeno ed inizieremo con un primo contributo che illustra, in linee generali, il funzionamento delle ICO.

Le Initial Coin Offering

Cosa si intende con Initial Coin Offering?

Initial Coin Offering: queste tre parole inglesi, a volte sintetizzate nell’acronimo ICO, significano, tradotte in italiano, offerta monetaria iniziale.
Nel 2012 J. R. Willett, ingegnere di Seattle, su di un forum dedicato al bitcoin lanciò la sua idea rivoluzionaria: sfruttare la rete del Bitcoin come una sorta di protocollo su cui basare le future criptovalute, utilizzandola come base per una raccolta di fondi da investire nelle nuove criptovalute. Le sue parole sono rimaste lettera morta per quasi un anno e mezzo, prima di venir “riscoperte” nel 2013 alla Conferenza sul Bitcoin che si tenne a San Josè. In quella sede l’ingegnere venne indicato come una sorta di profeta e il suo pensiero incominciò a venir tradotto in realtà, soprattutto grazie al pioniere dell’Initial Coin Offering, ovvero Ripple (allora non era ancora Ripple Stellar).

La criptovaluta afferente all’omonima piattaforma, Ripple, fu infatti la prima ad essere lanciata sul mercato mediante un’operazione di ICO: i suoi creatori videro il potenziale incredibile sotteso alle parole di Wallett e lo fecero proprio. All’inizio della sua storia, difatti, furono distribuiti dei token per l’acquisto di Ripple, la nuova criptovaluta, a tutti i possessori di Bitcoincriptovaluta già conosciuta ed affermata – : è stato il primo caso di ICO e, con il senno di poi, si può dire che è stato un esempio di ottima strategia di mercato.

Dopo Ripple, il modello di reperimento di capitali mediante sottoscrizione di un’Initial Coin Offering si è diffuso a macchia d’olio, crescendo secondo una progressione geometrica dal 2013 ad oggi: alla fine del 2017 il fenomeno è così largamente diffuso da aver travalicato i confini dell’ambiente finanziario in sé e per sé e dall’aver raggiunto gli spazi ben più ampi dell’imprenditoria. Ad esempio, parecchie startup si avvalgono di finanziamenti sul modello ICO per supportare le loro attività: è in questo modo che riescono ad attingere ad un bacino di investitori molto maggiore. Difatti, qualora una startup scelga di finanziarsi mediante Initial Coin Offering, offre ai propri investitori dei token da spendere in criptovalute, ricevendone in cambio sostegno finanziario. Ovvio, si tratta di un’operazione a rischio ancora maggiore rispetto al “semplice” investimento in una criptovaluta pronta per il lancio sul mercato, ma è un modello che ha riscosso parecchio successo.

Attenzione, però, se si sta pensando di partecipare ad un progetto di ICO lanciato da una startup! Non è detto che investendo in quella tipologia di impresa si conquisti automaticamente il diritto di pronunciarsi in merito al progetto imprenditoriale stesso!

Certo, molte startup offrono questa possibilità, ma è – appunto – una possibilità, non già un diritto predeterminato e di sicura acquisizione.

Si può dire che, con il senno di poi e a qualche anno di distanza dal lancio effettivo del sistema di Initial Coin Offering, l’ingegner Wallett abbia avuto la vista davvero lunga ed abbia letteralmente fatto scuola, esportando nei quattro angoli del mondo il suo pensiero e vedendolo riadattarsi alle più disparate situazioni.

Il principio alla base di una Initial Coin Offering è molto semplice e, in certa misura almeno, si rifà a quello sotteso al pronti contro termine: gli investitori mettono a disposizione parte dei loro bitcoin (la parte “pronti” dell’equazione, ovvero una valuta già esistente ed operante) e in cambio ricevono dei token da spendere allo scadere dell’Initial Coin Offering (la parte “termine” della predetta equazione); i token verranno poi convertiti nella nuova criptovaluta e l’investitore guadagnerà o perderà in base all’andamento sul mercato della moneta virtuale in cui ha investito.

Initial Coin Offering: i pro e i contro

Come in tutti gli investimenti, anche quando si parla di Initial Coin Offering ci sono dei vantaggi e degli svantaggi.
Tra gli indiscutibili vantaggi – per chi le organizza, certo, ma anche per chi vi partecipa – c’è quello di dover fare i conti con una burocrazia davvero ridotta all’osso: questo è possibile soprattutto perché l’Initial Coin Offering avviene in un contesto non regolamentato. È un’arma a doppio taglio, ovviamente: se da un lato snellisce la burocrazia, dall’altro non offre la minima garanzia in caso di insuccesso o – peggio – non fornisce la benché minima tutela in caso di truffe.

Un altro indiscutibile vantaggio per chi volesse partecipare ad una ICO è quello di poter scegliere di investire anche somme minime, tutt’altro che ingenti: bisogna essere consapevoli dell’elevata possibilità di perdita del capitale, trattandosi comunque di un investimento in prodotti che hanno una volatilità davvero molto accentuata, tuttavia c’è anche il lato positivo della questione – ovvero che ad un rischio grande corrispondono eguali grandi possibilità di guadagni. Anche, come già detto, investendo somme contenute. Come tutti gli investimenti, infatti, anche un progetto di Initial Coin Offering può dare eccellenti frutti ma al medesimo tempo l’aver acquistato un certo numero di token non dà automaticamente diritto ad avere guadagni certi e remunerazioni dell’entità che si desidera, ovvero la massima possibile: nel caso in cui la nuova criptovaluta si riveli una bolla di sapone e perda valore, in relazione alle oscillazioni del mercato, i risparmi investiti possono venir erosi significativamente – ma del resto ciò accade per tutti i prodotti quotati in borsa, non solo per la moneta virtuale!

Le caratteristiche di una Initial Coin Offering

Come abbiamo detto, alla base di una ICO c’è un’offerta di token, ovvero di criptovaluta – non necessariamente Bitcoin: può essere qualsiasi altra criptovaluta lanciata sul mercato e riconosciuta come tale, anche se molto spesso il Bitcoin è alla base degli scambi in quanto viene utilizzato al posto del denaro a corso legale per pagare la nuova criptovaluta che si intende acquistare.

Piccola parentesi: è sbagliato parlare di “denaro vero” per contrapporlo alle criptovalute: anche Bitcoin, Ripple Stellar, Etherum e via discorrendo sono valuta vera. Solo non sono concreti come dollari, yen ed euro: sono stringhe di codice ma hanno comunque un valore monetario definito e definibile nel tempo.

Ma torniamo al discorso sull’Initial Coin Offering: quali sono le caratteristiche di questo tipo di investimento finanziario?

La prima, quella relativa ai token, l’abbiamo appena enunciata.
Strettamente connessa ad essa ce n’è un’altra, che fa assomigliare un po’ l’Initial Coin Offering alle Offerte Pubbliche Iniziali, dette anche IPO: i token sono considerati anche come delle monete vere e proprie offerte durante un’operazione di ICO e, come tali, vengono considerate del tutto analoghe alle azioni messe a disposizione degli investitori durante un’operazione di IPO.
La terza importante caratteristica dell’Initial Coin Offering è la sua durata: la finestra temporale in cui è possibile accedere ad un’operazione di tale genere dura in genere da una o due settimane a un mese o poco più al massimo, ma non si arriva mai alla soglia dei due mesi. Quindi il lasso temporale a disposizione degli investitori è davvero esiguo ma – di contro – ciò significa che la remunerazione in termini di token dovrebbe arrivare in tempi ragionevolmente ristretti, ovvero – appunto – allo scadere dell’Initial Coin Offering.

Mediante un’Initial Coin Offering, e questa è un’altra caratteristica interessante da conoscere, si accede alla possibilità di partecipare ad un progetto di tipo DAO, acronimo dall’inglese che, tradotto in italiano, sta ad indicare un’Organizzazione Autonoma Decentrata.

Non bisogna dimenticare che il numero dei token a disposizione viene, solitamente, deciso in via preliminare e, quindi, è già predeterminato e fissato nel momento in cui la raccolta di capitali tramite ICO viene lanciata; insomma, per dirla in maniera molto elementare: chi prima arriva meglio alloggia. Inoltre, i prezzi di ingresso nell’operazione vengono stabiliti, spesso congiuntamente, sia da chi ha dato struttura e sistematizzazione razionale al sistema che da chi ha ideato il progetto da finanziare.
Ogni progetto di Initial Coin Offering è un unicum, sia per struttura che per modalità di esecuzione che – infine – per scelta della criptovaluta (o delle criptovalute) su cui appoggiarsi: il modello sotteso alla base è lo stesso ed è originato dall’idea dell’ingegner Wallett, ma il suo sviluppo è ad altissimo grado di personalizzazione.

L’Offerta Iniziale di Moneta avviene quando qualcuno offre agli investitori alcune unità di una nuova criptovaluta in cambio di criptovalute già esistenti come Bitcoin oppure Ethereum. Sin dal 2013 questo strumento viene utilizzato per finanziare lo sviluppo di nuove cripto valute. I token pre – creati possono essere facilmente venduti e scambiati con tutte le cripto valute esistenti se esiste una domanda per la nuova cripto valuta.

Leggi anche: come partecipare ad una ICO

Probabilmente la prima criptovaluta ad essere stata distribuita sul mercato con il sistema dell’ICO è stata Ripple nel 2013. Gli sviluppatori crearono circa 100 miliardi di XRP token e li vendettero per finanziare la piattaforma di Ripple. Successivamente numerose cripto valute sono state finanziate tramite ICO. La più importante probabilmente è Ethereum che è riuscita a ricevere circa 20 milioni di dollari diventando così uno dei crowdfunding più prolifici mai realizzati.

La legge e le Initial Coin Offering

Tirando le somme del discorso, è opportuno gettare un preliminare sguardo anche sulle implicazioni legali delle ICO.

Lo stato legale di una Initial Coin Offering è tutt’altro che definito: i token, difatti, non sono considerati un asset (cioè un titolo quotato in borsa) finanziario bensì sono ritenuti dei beni virtuali e ciò, ovviamente, comporta che facciano parte della zona grigia del mercato non regolamentato.
Non essendo possibile alcun controllo o alcuna forma di tutela per gli investitori, le giurisdizioni di alcuni Paesi hanno vietato i procedimenti di Initial Coin Offering: ad esempio, la Cina.
Se, infatti, per le IPO esiste una forma di tutela – in Italia è la CONSOB che fa da garante – per le ICO tutto ciò non c’è: l’investitore è esposto a tutti i rischi, senza avere alcun paracadute per attutire l’urto in caso di caduta. È necessario essere ben informati e ben consapevoli di quello che si sta facendo prima di lanciarsi in un finanziamento di tipo ICO. E, a volte, purtroppo tutto ciò non basta: è tristemente noto, ad esempio, il caso di Tezos, la criptovaluta-truffa, i cui investitori, coinvolti in un Initial Coin Offering, ora si sono radunati in un cartello ed hanno promosso una class action contro la criptovaluta stessa ed i suoi creatori. Anche altre criptovalute, che hanno fatto uso di progetti di finanziamento sul modello ICO, hanno avuto esiti tutt’altro che felici: ad esempio si ricordano Gnosis, Tenx, Bancor e Basic Attention – tutte quante hanno goduto di un successo iniziale piuttosto spiccato, ma poi, con il trascorrere dei mesi, si sono evidenziate delle falle e delle crepe nel sistema che hanno portato ad una loro rapida svalutazione nel mercato delle valute. Oggi sono monete in perdita, il danno per gli investitori c’è stato e non è detto che riescano a recuperare, anche se Basic Attention ha mostrato, negli ultimi mesi, leggerissimi – quasi impercettibili, per la verità – segnali di ripresa.

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