Il Caso
La Suprema Corte, con la sent. n. 21888/2020, si è occupata di un caso avente ad oggetto un’ipotesi di licenziamento disciplinare di un lavoratore, operante nel settore poste, per scarsa diligenza e per inosservanza degli obblighi e dei doveri di servizio.
Dall’istruttoria emergeva un costante ritardo nell’esecuzione della prestazione e delle direttive ricevute, circostanza che si sostanziava nella consegna delle lettere “a singhiozzo”, senza alcun valido motivo.
A seguito dei primi due gradi di giudizio – che lo avevano visto soccombere – il dipendente decideva di presentare ricorso per Cassazione, sostenendo l’erronea o falsa applicazione degli artt. 3 e 4 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio 1970 n. 300), norme che, come noto, pongono dei limiti ai poteri di controllo dei datori di lavoro.
In particolare, il ricorrente rappresentava che il controllo svolto dal datore di lavoro non poteva in nessun caso riguardare l’adempimento o l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale e che tale controllo, per potersi ritenere legittimo, “avrebbe dovuto limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione”.
Aggiungeva, inoltre, come, per essere considerato legittimo, il controllo avrebbe dovuto essere sottoposto alla duplice condizione che fossero resi noti i nomi dei soggetti deputati al controllo (cfr. art. 3 Statuto dei Lavoratori) e che tale controllo non avvenisse “a distanza”.
La Sentenza
Investita della questione, la Cassazione (sent. n. 21888/2020) rigetta il ricorso presentato dal dipendente, condannandolo al pagamento delle spese processuali.
Con riferimento all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori, la Suprema Corte ha ritenuto non applicabile la disposizione in questione alla fattispecie oggetto del giudizio, in quanto i limiti alle attività di controllo ivi disciplinati sarebbero riferibili esclusivamente ai controlli effettuati mediante “impianti audiovisivi ed altre apparecchiature”.
Nel caso in questione, invece, l’attività di controllo sul lavoratore era stata eseguita da un superiore gerarchico e da un componente dell’ufficio ispettivo.
Per quanto riguarda, invece, il richiamo all’art. 3 del medesimo Statuto, i Giudici di legittimità hanno precisato che i limiti imposti da tale disposizione – vale a dire il fatto che il datore di lavoro possa incaricare persone da lui preposte per la tutela di specifici interessi (es. tutela del patrimonio aziendale) – non fanno, in ogni caso, venir meno il potere di “controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative, direttamente o tramite la propria organizzazione gerarchica”.
Infine, la Cassazione ha altresì rilevato che la legittimità dell’esercizio del potere di controllo, da parte del datore di lavoro, prescinde dalle modalità con le quali viene attuato, attesa “la particolare posizione di colui che lo effettua” e, pertanto, può avvenire anche in maniera “occulta”, senza che ciò implichi la violazione del principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto di lavoro.