Costituisce illecito disciplinare dell’avvocato richiedere un compenso al proprio cliente ammesso al patrocinio a spese dello stato per l’attività stragiudiziale prestata in vista di una successiva azione giudiziaria. Lo hanno deciso le Sez. Unite della Corte di Cassazione con la Sentenza n. 9529 del 19 aprile 2013.
Con la sentenza in commento, le Sez. Unite della Cassazione hanno confermato la sanzione disciplinare (sospensione di due mesi e quindici giorni) inflitta ad un Avvocato del foro di Bergamo.
Nel caso di specie, la parte assistita era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato ed aveva nominato un difensore iscritto nell’apposito elenco degli Avvocati abilitati al patrocinio a spese dello Stato. Il difensore in questione, aveva prestato un’attività stragiudiziale in vista del successivo deposito di un ricorso per la modifica della separazione personale dei coniugi (nei fatti, tuttavia, mai depositato) ed aveva richiesto il relativo compenso alla cliente.
Per tale ragione veniva, pertanto, sottoposta a procedimento disciplinare.
Dopo aver ribadito che, in generale, l’attività stragiudiziale non può essere ricompresa nell’ambito applicativo del patrocinio a spese dello Stato, il CNF ha, tuttavia, rilevato che “ove si tratti di attività professionale svolta in vista della successiva azione giudiziaria, essa deve essere ricompresa nell’azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato: sicchè in relazione ad essa il professionista non può chiedere il compenso al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato”.
A nulla sono valse le difese dell’Avvocato incolpato, volte ad evidenziare che l’attività giudiziale cui era preordinata l’attività compiuta non sarebbe comunque stata coperta dallo Stato. Il CNF ha, infatti, rilevato che l’Avvocato ben avrebbe potuto chiedere la modifica del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in modo da ricomprendervi tale attività.
Investite della questione, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno confermato il provvedimento del CNF nella sua interezza.
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Sentenza 18 dicembre 2012 – 19 aprile 2013, n. 9529
Svolgimento del processo
1. – L’avv. C.L.N. ricorre avverso la delibera del Consiglio Nazionale Forense depositata il 15 dicembre 2011, con la quale è stata confermata la decisione del Consiglio dell’Ordine di Bergamo di irrogarle la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per due mesi e quindici giorni per aver chiesto ad una cliente ammessa al patrocinio a spese dello Stato un compenso per l’attività professionale prestata successivamente all’ammissione a detto beneficio, in violazione degli artt. 5 e 6 del Codice deontologico forense e del disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 85.
Il C.N.F. ha escluso che l’attività in relazione alla quale la professionista incolpata aveva chiesto il compenso fosse configurabile, secondo quanto dalla stessa sostenuta, come un’attività stragiudiziale, ritenendo, invece, essersi trattato di mera attività propedeutica al procedimento da instaurare innanzi al giudice tutelare in relazione al quale era stata deliberata l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Il Consiglio ha così confermato la interpretazione che del citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 85, aveva fornito il CO.A. di Bergamo, secondo la quale in relazione all’attività stragiudiziale svolta dall’avvocato, e non seguita dall’attività giudiziale per la quale il cliente è stato ammesso al beneficio, non possono essergli chiesti compensi. Secondo il C.N.F., non sarebbe, poi, convincente la tesi difensiva secondo la quale l’intenzione del legale sarebbe stata quella di procedere con un ricorso per la modifica delle condizioni di separazione, non coperto dal patrocinio: ciò in quanto l’avv. L. avrebbe potuto avanzare istanza di modifica del provvedimento concessivo del beneficio de quo al fine di ricomprendervi le ulteriori attività svolte nell’interesse della cliente.
Il ricorso si basa su quattro motivi.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 85, e degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 56, nonchè dell’art. 36 Cost.. La citata disposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, non potrebbe trovare applicazione con riferimento al caso di specie, operando in favore del cittadino non abbiente – come l’intero Testo Unico che regola la concessione del beneficio del patrocinio a spese dello Stato – solo se questi debba intentare o difendersi in un processo che già esista. Ciò posto, la decisione impugnata sarebbe affetta da illogicità e contraddittorietà, per avere, da un lato, sostenuto che l’attività stragiudiziale debba ricevere un compenso, e, dall’altro, negato tale diritto ove detta attività non sia seguita da attività giudiziale.
2. – La censura è infondata.
In realtà il C.N.F., nel ricostruire l’ambito e la portata dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato, dopo aver affermato che l’attività professionale di natura stragiudiziale che l’avvocato si trova a svolgere nell’interesse del proprio assistito non è ammessa al patrocinio, in quanto esplicantesi fuori del processo, con la conseguenza che il relativo compenso si pone a carico del cliente, ha precisato che, ove si tratti di attività professionale svolta in vista della successiva azione giudiziaria – così qualificata anche l’attività espletata dall’avv. C.L. -, essa deve essere ricompresa nell’azione stessa ai fini della liquidazione a carico dello Stato: sicchè in relazione ad essa il professionista non può chiedere il compenso al cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
3. – Con la seconda censura si lamenta ancora la violazione dell’art. 85 del D.p.r. n. 115 del 2002 e degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 56, nonchè dell’art. 36 Cost.. Sarebbe apodittica, immotivata e contrastante con i documenti acquisiti l’affermazione, contenuta nella decisione impugnata, secondo la quale l’attività svolta dall’avv. C.L. era prodromica alla instaurazione del procedimento innanzi al giudice tutelare in relazione al quale la cliente era stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato. Essa si fonderebbe, infatti, sul solo esame della nota riepilogativa delle competenze maturate dalla ricorrente, dalle quali costei desume l’esistenza di un legame teleologia) con l’azione giudiziaria in relazione alla quale era stato adottato il provvedimento di ammissione al beneficio de quo, in assenza peraltro della indicazione delle specifiche voci dalle quali emergerebbe detto legame: voci il cui esame condurrebbe a conclusioni di segno contrario.
4. – La doglianza è immeritevole di accoglimento.
Il C.N.F. ha fatto buon governo del proprio potere discrezionale in ordine alla valutazione delle circostanze fattuali, fornendo una congrua motivazione delle ragioni che inducevano alla conferma della decisione del locale Consiglio dell’Ordine, e in particolare ravvisando in alcune delle voci indicate nella nota riepilogativa delle competenze, quale la “ricerca documenti”, quelle destinate a compensare l’avvocato per l’attività posta in essere in funzione della instaurazione del giudizio.
5. – Con il terzo motivo si denuncia nuovamente la violazione dell’art. 85 del D.p.r. n. 115 del 2002 e degli artt. 112, 113, 115, 116 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 56, dell’art. 36 Cost., e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 126. Avrebbe errato il C.N.F. nel ritenere che l’avv. C.L. potesse proporre istanza di modifica delle attività da ricomprendere tra quelle ammesse al patrocinio a spese dello Stato.
6. – La censura risulta inammissibile, poichè l’affermazione del C.N.F. con essa contestata non assurge al rango di ratio decidendi, non rivestendo un reale rilievo nella economia della decisione impugnata, fondata su altre argomentazioni, ed avendo l’unica funzione di vanificare il rilievo difensivo in ordine a quella che sarebbe stata l’intenzione della attuale ricorrente, quella, cioè, di proporre ricorso per la modifica delle condizioni della separazione.
7. – Con la quarta doglianza si lamenta ancora la violazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 85, e degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione al R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 56, e dell’art. 36 Cost.. Si censura la decisione del C.N.F. sotto il profilo della gravità della sanzione inflitta, avuto riguardo, per un verso, alla circostanza che non erano stati chiesti, nell’ambito di un giudizio contenzioso, compensi diversi da quelli previsti dalla legge in materia di patrocinio a spese dello Stato, con la conseguenza che non troverebbe applicazione nella specie la normativa invocata; per l’altro, alla mancata considerazione della incensuratezza della professionista ed alla lunga opera di assistenza dalla stessa prestata gratuitamente alle parti non abbienti
8. – La doglianza non può trovare ingresso nel presente giudizio.
Premesso che, per quanto chiarito sub 2, il caso di specie non è escluso dall’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 85, deve ribadirsi il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale, in tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il potere di applicare la sanzione adeguata alla gravità ed alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale è riservato agli organi disciplinari: pertanto, la determinazione della sanzione inflitta all’incolpato dal Consiglio nazionale forense non è censurabile in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., S.U., sent. n. 11564 del 2011; n. 1229 del 2004).
9. – Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. Non v’è luogo a provvedimenti sulle spese del presente giudizio, non avendo l’intimato svolto alcuna attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 18 dicembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2013.