Il segno Kinder, pur costituendo un vocabolo della lingua comune tedesca non ha carattere descrittivo per il pubblico italiano, in quanto la generalità dei consumatori italiani non è posto in condizione di conoscerne il significato. Di conseguenza, il segno Kinder ha una capacità distintiva forte (almeno in Italia) ed impedisce la registrazione di segni simili, in quanto confondibili.
Lo ha stabilito il Tribunale dell’Ue con la sentenza 16 maggio 2012 nella Causa T-580/10.
La vicenda de qua traeva origine dalla domanda di registrazione del marchio comunitario “Kindertraum” depositata da un cittadino tedesco nelle classi 16 e 28 (carta cartoncini, prodotti per cartoleria e decorazioni natalizie) nei confronti della quale, la Ferrero S.p.A. ha ritualmente presentato opposizione facendo valere il proprio marchio anteriore “Kinder”.
Nel 2009, l’UAMI (Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Intero) ha accolto l’opposizione della Ferrero S.p.A. (decisione poi confermata davanti alla Commissione Ricorsi nel 2010).
Il depositante, pertanto, ricorreva al Tribunale UE per chiedere l’annullamento della decisione, sostenendo che il segno “Kinder” avrebbe una mera valenza descrittiva e, quindi, beneficerebbe di un ambito di protezione assai ridotto.
Il Tribunale, tuttavia, ha confermato la decisione dell’UAMI e della Commissione Ricorsi. Nella motivazione, infatti, si evidenzia come tra i segni in conflitto vi sia una forte somiglianza fonetica e visiva, il che renderebbe palese il rischio di confusione anche a voler aderire alla tesi sostenuta dal ricorrente (descrittività del termine Kinder).
L’elemento più interessante della decisione qui commentata, tuttavia, poggia sull’analisi del segno Kinder che, in quanto, parte iniziale del marchio contestato costituisce l’elemento principale dello stesso.
I giudici del Lussemburgo, infatti, riconoscono che Kinder è un vocabolo della lingua comune tedesca il cui significato letterale è bambini. Ciò premesso, si sottolinea come, in Italia, solo una minima percentuale degli abitanti è posta in condizione di conoscere la lingua tedesca, ragion per cui, si deve concludere che, almeno in Italia, il termine Kinder non abbia valenza descrittiva.
Giova, infatti, ricordare che, in materia di marchi, il parametro di riferimento non è quello dell’utilizzatore informato (come, invece, avviene nel caso del design), bensì il consumatore medio. Ad esempio, la giurisprudenza di merito italiana, nega la registrabilità come marchio delle parole comuni straniere, solo laddove esse abbiano carattere descrittivo e generalizzato del prodotto nell’opinione del consumatore italiano medio del ramo. Ad esempio una parola straniera costituente denominazione generica del prodotto non può essere considerata in Italia come dotata di efficace originalità (Trib. Torino 25-7-2000).
In conclusione, nel momento in cui un’impresa intende registrare un marchio composto di una parola comune straniera, dovrà necessariamente valutare, onde minimizzare il rischio di contestazioni, se tale parola abbia o meno un significato compiuto per il consumatore medio. Nel primo caso, infatti, dovrà inevitabilmente escludersi una “forte” capacità distintiva.