Con sentenza n. 26457 depositata il 18 giugno 2013, la Corte di Cassazione ha stabilito che la sussistenza del dolo specifico costituisce l’elemento determinante per la configurazione della fattispecie del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Il fatto da cui trae origine la decisione della Suprema Corte riguarda la condotta della Sig.ra X, la quale era stata condannata dalla Corte di Appello di Milano per aver favorito la permanenza sul territorio dello Stato, in condizioni di illegalità, della connazionale Sig.ra Y extracomunitaria e priva del permesso di soggiorno, mediante l’affitto a quest’ultima di un appartamento di proprietà della X sottoscritto sotto falso nome, “consentendo, in tal modo, l’elusione delle norme sulla registrazione del contratto di locazione e quelle inerenti alla pubblica sicurezza, allo scopo di lucrare il canone di locazione “comunque rivestito di profitto ingiusto”.
Avverso tale sentenza la Sig.ra X ha proposto impugnazione mediante ricorso per Cassazione, sostenendo in proprio favore il difetto di motivazione e la violazione di legge ex art. 360 c.p.c. sottolineando in particolare la mancanza, nella motivazione della sentenza dalla Corte di Appello di Milano, di qualsivoglia accertamento del requisito dell’ingiusto profitto, considerato oggi essenziale dalla giurisprudenza ai fini della configurazione della fattispecie criminosa de quo.
La Corte di Cassazione, in questa decisione ha affermato che l’integrazione del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina si caratterizza per la presenza del dolo specifico, ovvero nella “esistenza, in capo all’agente, della intenzionalità derivante dalla propria condotta, di trarre un ingiusto profitto derivante dalla condizione di illegalità dello straniero”.
Viceversa, secondo la Suprema Corte, non integra la figura criminosa de quo la mera condotta di colui che favorisce solamente la permanenza nel territorio di un clandestino mettendo a disposizione di questo unità abitative in locazione. Al contrario occorre in capo all’agente la sussistenza, nel proprio agire, della finalità di trarre un ingiusto profitto derivante dallo stato di illegalità dello straniero che, nel caso di specie si sarebbe palesata laddove la Sig.ra X approfittando di tale stato, avesse preteso condizioni contrattuali onerose ed esorbitanti nei confronti della Y (cfr Cass. n. 5093/2012 Sez.I).
Tali condizioni, conclude la Corte, tuttavia non sono state fatte proprie dalla Corte di Appello di Milano, la quale, secondo la Cassazione, ha omesso di misurarsi con queste considerazioni, oramai fatte proprie dalla giurisprudenza dei giudici di P.zza Cavour, limitandosi solamente ad affermare che la ricorrente agì per lucrare o per far lucrare al proprietario dell’immobile il canone di locazione, omettendo di prendere in considerazione la finalità di trarre ingiusto profitto della propria condotta, quest’ultima oramai costituente una vera e propria soglia di punibilità della fattispecie incriminatrice.
Pertanto, sulla base di tali considerazioni sopra riportate, la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dalla ricorrente Sig.ra X
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sig.ri Magistrati
Dott. Umberto Giordano
Dott. Massimo Vecchio
Dott. Aldo Cavallo
Dott. Giuseppe Locatelli
Dott. Giuseppe Santalucia
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Sig.ra X
avverso la sentenza n. (omissis) della Corte di Appello di Milano
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
uditain pubblica udienza la relazione fatta dal Dott. Giuseppe Santalucia
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. (omissis) che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso
Uditi i difensori Avv.ti (omissis)
Ritenuto in fatto
La Corte di appello di Milano ha confermato la sentenza del 15 aprile 2008 con cui il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di quella città condannò, in esito a rito abbreviato, R.R.F. alla pena di un anno di reclusione ed Euro 6000,00 di multa per aver favorito la permanenza sul territorio dello Stato, al fine di trarre profitto dalla loro condizione di illegalità, di due cittadini extracomunitari privi del permesso di soggiorno, specificamente ospitandoli nell’appartamento di via (omissis) , di proprietà di Ru.Ro. e a lei regolarmente affittato, dietro il pagamento di una somma di denaro quale pigione, reato accertato il (omissis) . La Corte territoriale ha posto in evidenza che dagli accertamenti di polizia, nonché dalle dichiarazioni della stessa ricorrente, è emerso che questa accettò di prestare il suo nome alla connazionale Ro.Sa. , clandestina, consentendo in tal modo l’elusione delle norme sulla registrazione del contratto e di quelle poste a presidio della pubblica sicurezza e che ciò fece allo scopo di lucrare, o comunque facendo lucrare, un canone di locazione, comunque rivestito del carattere di profitto ingiusto.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso R.R. , deducendo:
– Violazione di legge e difetto di motivazione. La sentenza impugnata, sì come quella di primo grado, ha omesso di accertare l’elemento dell’ingiusto profitto, essenziale ai fini dell’integrazione della fattispecie criminosa oggetto di contestazione. Manca, infatti, qualsivoglia dimostrazione in relazione al fatto che la ricorrente percepisse un canone locatizio e, soprattutto, che lo stesso fosse “oneroso ed esorbitante”.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
L’integrazione del reato necessita dell’elemento soggettivo del dolo specifico, come reiterata mente evidenziato da questa Corte, e cioè dalla sussistenza in capo all’agente del fine di trarre un profitto Ingiusto. In questo senso questa Corte ha già affermato che “ai fini della configurazione del reato di favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini…, nell’ipotesi di rapporto contrattuale instaurato con essi, occorre accertare la sussistenza, in capo all’agente, del dolo specifico, consistente nella finalità di trarre ingiusto profitto dalla condizione di illegalità dello straniero clandestino”. Il principio è stato pronunciato in un caso di concessione in locazione a immigrato clandestino di locali ad uso di abitazione, ove però non era stato accertato se dalla stipula del contratto il locatore avesse inteso trarre indebito vantaggio dalla condizione di illegalità dello straniero con l’imposizione di condizioni onerose ed esorbitanti dall’equilibrio del rapporto sinallagmatico – Sez. 1, n. 46066 del 16/10/2003 (dep. 28/11/2003), Capriotti, Rv. 226476 -. Ancora, e in conformità, si è pure detto che ai fini della configurazione del reato di favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini…, non è sufficiente che l’agente abbia favorito la permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini mettendo a loro disposizione unità abitative in locazione, ma è necessario che ricorra il dolo specifico, costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto dallo stato di illegalità dei cittadini stranieri, che si realizza quando l’agente, approfittando di tale stato, imponga condizioni particolarmente onerose ed esorbitanti dal rapporto sinallagmatico – Sez. 1, n. 46070 del 23/10/2003 (dep. 28/11/2003), P.G. in proc. Scarselli, Rv. 226477 -. E più di recente si è ribadito che l’elemento soggettivo richiesto per la configurazione del reato… è il dolo specifico costituito dal fine di trarre un ingiusto profitto dallo stato di illegalità dei cittadini stranieri, situazione questa che si realizza quando l’agente, approfittando di tale stato, imponga condizioni particolarmente onerose ed esorbitanti dal rapporto sinallagmatico – Sez. 1, n. 5093 del 17/1/2012 (dep. 9/2/2012), Abdalah e altri, Rv. 251855 -.
La sentenza impugnata – come anche la sentenza di primo grado – ha omesso di misurarsi con questo principio, limitandosi all’affermazione che la ricorrente agì per lucrare, o per far lucrare al proprietario dell’immobile, il canone di locazione, ritenuto per ciò solo oggetto di ingiusto profitto, a prescindere da ogni considerazione circa lo sfruttamento o meno delle condizioni di immigrati clandestini dei conduttori.
Nella ricostruzione del fatto-reato, sì come operata in sentenza, difetta un elemento necessario della fattispecie, appunto il dolo specifico, e pertanto si impone l’annullamento della sentenza perché il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il fatto non costituisce reato.
Approfondimento: I requisiti del permesso di soggiorno di lungo periodo
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