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Clausola di esclusione del foro del consumatore e onere della prova

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La Suprema Corte si occupa nuovamente del tema del cd. “foro del consumatore”, previsto dal d. lgs. 206/05 (Codice del Consumo).

Come noto, bisogna distinguere tra due fattispecie: l’art. 63 prevede, per i cd. Contratti a distanza e per quelli negoziati fuori dai locali commerciali, la competenza inderogabile del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore.

Diverso è il caso degli altri tipi di contratto business to consumers: in questo caso l’art. 33, comma 2, lett u) qualifica come presuntivamente vessatoria (e quindi nulla) la clausola che stabilisca come sede del foro competente una localita’ diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore.

La differenza tra le due fattispecie è che nella prima il criterio di competenza è prefissato dal legislatore e non può essere in alcun modo derogato, mentre nella seconda il legislatore si limita a porre una presunzione di vessatorietà iuris tantum, la quale quindi consente di fornire la prova contraria.

Con l’ordinanza n. 24370/11 gli Ermellini si sono occupati di un contratto stipulato per l’acquisto di un’autovettura, rientrante tra le ipotesi in cui il foro del consumatore è derogabile, ma solo se il professionista fornisce la prova che la clausola avente ad oggetto il diverso foro sia stata oggetto di trattativa individuale e che non ne derivi uno squilibrio “significativo” delle reciproche posizioni contrattuali, secondo la direttiva posta dall’art. 33 nel suo comma 1.

La particolarità della controversia in esame risiede nel fatto che l’attore aveva proposto una domanda principale di annullamento del contratto di compravendita di un autoveicolo per vizio del consenso, e solo in via subordinata una domanda di risoluzione contrattuale basata sul D.Lgs. n. 206 del 2005.

Il Tribunale, quindi, declinava la propria competenza sul presupposto secondo cui il criterio del foro del consumatore sussisterebbe solo quando in via principale vengano chieste le tutele di cui al codice del consumo.

La Suprema Corte, invece, ribadendo un orientamento ormai consolidato (cfr. Cass., S.U., n. 14669/03; Cass. n. 16336/04; Cass. n. 18743/07; Cass. n. 27911/08; Cass. n. 20718/09; Cass. n. 20/09; Cass. n. 9922/10) ha statuito che ciò che rileva ai fini della sussistenza del foro del consumatore è la qualità soggettiva della parte e non l’oggetto della domanda.

A parere degli Ermellini tale soluzione trova fondamento e giustificaizone in due possibili argomentazioni: “(a) la prima, che in realtà nel testo del D.Lgs. n. 206 del 2005, art. 33, comma 1, lett. v), non appare posta alcuna delimitazione per oggetto della domanda, essendo espressa con formula onnicomprensiva la sede del foro “competente sulle controversie” (vale a dire, tra i due soggetti del contratto), ciò che conduce ad assegnare priorità logica al carattere del rapporto, rispetto a una specificazione della causa petendi di cui non è traccia nel disposto legislativo; (b) la seconda, che comunque, qualora si volesse in ipotesi individuare in astratto una diversa sede competente, tra domanda principale (foro generale della persona giuridica) e domanda subordinata (foro del consumatore), si giustifica pur sempre la sottoposizione dell’intera controversia, originata dal contratto al giudice del foro speciale, secondo la regola di svolgimento del processo a seguito del cumulo oggettivo di domande contro lo stesso soggetto (art. 104 c.p.c.), che fa salva solo la possibile, ma non necessaria, separazione delle due cause in presenza di esigenze di speditezza processuale, qui neppure ventilate”.

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