La disciplina delle cd. clausole vessatorie tra imprese (anche conosciute come clausole onerose) rappresenta uno dei maggiori fattori di criticità nelle odierne negoziazioni commerciali, a causa di una generale scarsa consapevolezza da parte dei player del settore.
Clausole vessatorie tra imprese: ambito di applicazione
In primo luogo, è necessario esaminare l’ambito di applicazione della normativa in materia di clausole vessatorie tra imprese rispetto a quella speciale dettata in materia di consumatori.
Senza volerci qui soffermare sulla distinzione tra Professionista e Consumatore, possiamo proporre il seguente specchietto esplicativo:
- ai rapporti tra imprese/professionisti (cd. business to business) si applica la tutela generale prevista dall’art. 1341 c.c.
- ai rapporti che coinvolgano i consumatori (cd. business to consumer) si applica, invece, la tutela speciale prevista dagli artt. 33 ss. del D.lgs 206/2005 (cd. Codice del Consumo).
Qual è la differenza fondamentale tra le due discipline?
A mio avviso, la fondamentale differenza che sussiste tra la disciplina dettata in materia di clausole vessatorie tra imprese e quella dettata dal codice del consumo riguarda l’esistenza o meno di uno squilibrio contrattuale in concreto.
Come ha giustamente rilevato la dottrina (CUSMANO V., Le condizioni generali di contratto: vessatorietà e bilateralità) nell’impianto normativo dell’art. 1341 c.c., non si individua un intento del legislatore teso a proteggere la parte debole: “infatti, potrebbe non esserci disparità o squilibrio tra le parti. Né tali clausole devono portare ad un reale squilibrio contrattuale“.
Ciò che conta è che il soggetto aderente venga “allarmato tramite la doppia sottoscrizione, sul contenuto di particolari clausole”.
Non a caso, altra dottrina ha proposto di chiamare tali clausole come clausole pericolose e non come clausole vessatorie (cfr GENOVESE, Condizioni generali di contratto) proprio per evitare di ingenerare la convinzione che il legislatore stesse tutelando l’equilibrio delle posizioni contrattuali.
Tutt’altra storia, invece, con riferimento alle clausole vessatorie e i consumatori. Qui l’intento, come evidenziato dall’art. 33 del Codice del Consumo è dichiaratamente quello di tutelare la parte debole, ossia il Consumatore. Non a caso, infatti, si considerano vessatorie quelle clausole che determinano uno squilibrio effettivo a danno del Consumatore. Il giudice, in altre parole, dovrà valutare la clausola incriminata, nel quadro complessivo della relazione contrattuale, e dovrà accertarne la vessatorietà se, in concreto, vi sia un effettivo squilibrio a svantaggio della parte debole.
Tra doppia sottoscrizione e trattativa individuale
Altra differenza fondamentale tra i due istituti si colloca nel differente presupposto di efficacia:
- la clausola vessatoria tra imprese è efficace se approvata specificatamente per iscritto;
- la clausola vessatoria è efficace nei confronti del consumatore, solo se oggetto di trattativa individuale.
Sulla nozione di trattativa individuale, sono stati scritti fiumi d’inchiostro. Per sintetizzare, possiamo affermare che si tratta di un qualcosa di più della mera doppia sottoscrizione, richiedendo lo svolgimento di una seria ed effettiva negoziazione (es. scambio di bozze ecc.).
Clausole vessatorie tra imprese: la specifica approvazione per iscritto
Così delineato l’ambito applicativo dell’art. 1341 c.c., rispetto alla disciplina speciale dettata dal Codice del Consumo, possiamo, a questo punto, soffermarci sul concetto di specifica approvazione.
Come abbiamo già avuto modo di affermare in un precedente contributo, non è certamente da avallare la prassi del richiamo in blocco di tutte le clausole del contratto (vessatorie e non vessatorie). Ad esempio, una clausola con la quale si richieda alla parte aderente di approvare gli artt. 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11 non sarebbe adeguata a richiamare l’attenzione sulle clausole onerose.
Il principio è stato ribadito da Cass. 13 novembre 2014, n. 24193: “Il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata delle stesse, sia pure apposta sotto la loro elencazione secondo il numero d’ordine, non determina la validità ed efficacia di quelle onerose, non potendosi ritenere che in tal caso sia garantita l’attenzione del contraente debole verso la clausola a lui sfavorevole compresa fra quelle richiamate“.
In un altro contributo ci siamo, inoltre, interrogati sulla delicata questione dell’applicazione dell’art. 1341 c.c., all’epoca di internet. In particolare, abbiamo rilevato come la nozione di specifica approvazione per iscritto possa presentare alcune criticità nella stipulazione dei contratti online, atteso che, secondo una pronuncia del Tribunale di Catanzaro del 2012, non sarebbe sufficiente il cd. point and click, ma occorrerebbe la cd. firma digitale. Si veda, sul punto, l’interessante articolo di PANDOLFINI V., Contratto online e clausole vessatorie: quale firma elettronica? per una completa disamina sull’argomento.
Altra annosa questione, di rilevante impatto pratico, è se la cd. doppia approvazione sia richiesta in ogni tipologia di contratto, purché redatto da una sola parte. Al riguardo, basti pensare ad un contratto di locazione. Nella prassi, si inserisce la clausola di approvazione specifica ex art. 1341 e 1342 c.c., ove occorrente, pur trattandosi in realtà di un contratto essenzialmente stipulato in seguito a trattative individuali.
A mio modesto avviso, si tratta di una prassi dettata, più che altro, da timori reverenziali e da prudenza. Non a caso, la Suprema Corte (sent. 16889/2016) ha affermato che: “Un contratto è qualificabile “per adesione” secondo il disposto dell’art. 1341 c.c. – e come tale soggetto, per l’efficacia delle clausole vessatorie tra imprese, alla specifica approvazione per iscritto – solo quando sia destinato a regolare una serie indefinita di rapporti e sia stato predisposto unilateralmente da un contraente. Ne consegue che tale ipotesi non ricorre quando risulta che il negozio è stato concluso mediante trattative intercorse tra le parti”.
Da ultimo, vorrei soffermarmi su un interessante dibattito riportato da CUSMANO V., cit., in merito alla necessità della doppia sottoscrizione in relazione a clausole vessatorie tra imprese che pur predisposte da una parte soltanto siano, comunque, “bilaterali” ossia applicabili ad entrambe le parti.
Si pensi ad una clausola attributiva della facoltà di recedere dal contratto (e rientrante nell’art. 1341 II° comma, c.c.) ad entrambe le parti. L’Autore ci ricorda l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in materia:
- Cass. 11734/2004, secondo cui: le clausole di proroga tacita o di rinnovazione del contratto, se predisposte dal contraente più forte nell’ambito di un contratto per adesione, rientrano tra quelle sancite a carico del contraente aderente e sono, pertanto, prive di efficacia, a norma dell’art. 1341 c.c., secondo comma, qualora non siano specificamente approvate per iscritto dal contraente aderente, anche quando hanno carattere di reciprocità e bilateralità.
- Cass. 6314/2006, secondo cui: affinché una clausola contrattuale possa considerarsi vessatoria,e come tale efficace solo se specificamente approvata per iscritto, non è sufficiente indicare che essa comporti l’alterazione del sinallagma contrattuale, ma è necessario specificare a quale ipotesi di vessatorietà tale clausola, inserita in condizioni generali di contratto, sia riconducibile.In particolare, per le clausole che prevedono la facoltà di recesso, è necessario ai fini della loro vessatorietà che essa sia prevista a favore del solo predisponente, mentre la facoltà di recesso concessa ad entrambe le parti non necessita di approvazione specifica ex art. 1341 cod. civ.
Detto contrasto risulta essere stato apparentemente ricomposto da Cass. Civ. 14737 del 2015 che, aderendo al primo orientamento, ha escluso che la bilateralità possa eliminare la “vessatorietà” di una delle clausole rientranti nell’art. 1341 II° comma, c.c.
Il ragionamento della Corte può essere, così, sintetizzato. L’art. 1341, II° comma c.c., prevede due categorie di clausole vessatorie:
- clausole che attribuiscono una posizione di vantaggio al predisponente (es. recesso);
- clausole che prevedano un certo effetto a carico dell’aderente (es. limitazioni facoltà di proporre eccezioni).
Ciò premesso, la Corte afferma che solo nel primo caso si può attribuire rilevanza alla “bilateralità” della clausola, poiché: “stante il riferimento delle prime ipotesi alla previsione che la clausola sia prevista a vantaggio del predisponente è palese che, quando l’oggetto di queste ipotesi è contemplato nel contratto sia a favore del predisponente che a favore dell’altro contraente, la bilateralità della previsione si concreta in una fattispecie che, concreandosi nella previsione dello stesso contenuto contrattuale per i comportamenti di entrambe le parti, non può ritenersi compreso nella previsione di vessatorietà“.
Viceversa, la “bilateralità” risulta essere irrilevante nella seconda ipotesi, poiché: “il legislatore ha considerato la vessatorietà connaturata alla clausola siccome impositiva di comportamento “a carico” dell’altro contraente e, dunque, l’ha implicitamente ritenuta non elisa dalla bilateralità e ciò, evidentemente, per l’assorbente rilievo che, avendole predisposte la parte forte, la circostanza che essa le abbia imposte anche a suo “carico” non è stata ritenuta idonea ad escludere la vessatorietà“.
A conclusione della nostra guida sulle clausole vessatorie tra imprese, possiamo, quindi, evidenziare la necessità che si ponga particolare attenzione all’utilizzo delle condizioni generali di contratto, cercando di comprendere le differenze sussistenti tra i casi in cui ci si rivolga a consumatori e quelli in cui ci si rivolga ad imprese.