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Affinché un atto possa acquisire efficacia interruttiva della prescrizione, a norma dell’art. 2943, quarto comma, c.c., esso deve contenere anche l’esplicitazione di una pretesa, vale a dire una intimazione o richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 10954 del 7 maggio 2013.

La questione affrontata dagli Ermellini consisteva nella valutazione dell’eventuale efficacia interruttiva della prescrizione di una missiva con cui si invitava il debitore, al fine di concludere la vicenda in via bonaria, a stipulare l’atto definitivo di compravendita, in esecuzione di un precedente contratto preliminare.

Ad avviso della Corte, nel caso di specie, nessuna censura poteva essere mossa all’interpretazione del contenuto della lettera de qua compiuta dal giudice del merito, il quale l’aveva ritenuta non già una manifestazione inequivoca della volontà di agire in giudizio, bensì come mera “generica richiesta in via bonaria”.

Viene, quindi, sostanzialmente confermato l’orientamento consolidato in materia, secondo cui, l’efficacia interruttiva della prescrizione sussiste solo con riferimento ad un atto che contenga l’esplicitazione di una precisa pretesa e l’intimazione o la richiesta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto obbligato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (cfr. ex plurimis, Cass. Civ. 24656/2010)

   * * *

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 15 febbraio 2001 _____ evocava, dinanzi al Tribunale di Termine Imerese – Sezione distaccata di Corleone, ____ esponendo che il convenuto, con preliminare del 6.11.1987, gli aveva promesso in vendita la metà indivisa di un immobile, sito in Bisacquino – Discesa Trappeto 5, per il prezzo di L. 25.000.000, interamente corrisposto alla data della stipula, e poiché il promittente venditore non aveva voluto concludere l’atto pubblico, nonostante i ripetuti inviti e diffide, chiedeva pronuncia  costitutiva ex art. 2932 c.c., oltre alla condanna dello stesso al risarcimento dei danni.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto, il quale eccepiva la prescrizione dei diritti nascenti dal preliminare per avere l’attore chiesto la stipula del definitivo solo in data 20.12.2000, il giudice adito, in accoglimento dell’eccezione, rigettava la domanda attorea.

In virtù di rituale appello interposto dal ___ con il quale lamentava che il giudice di primo grado non avesse ritenuto valida ai fini dell’interruzione della prescrizione la diffida del 16.2.1998 (per errore materiale riportato l’anno 1988), la Corte di appello di Palermo, nella resistenza dell’appellato, respingeva il gravame.

A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che la raccomandata del 9.2.1998, inviata dall’Avv.to ___ faceva generico riferimento a più scritture private stipulare fra le parti il 6.11.1987, né dal tenore della stessa poteva evincersi una esplicita richiesta di adempimento del preliminare de quo. Ne conseguiva che alla data del 20.12.2000 il termine decennale decorrente dal 28.2.1988 – data concordata dalle parti per la stipula del definitivo – era ampiamente decorso.

Concludeva che del pari era da condividere la non ammissione della prova testimoniale articolata dall’attore in primo grado giacché mirava unicamente a provare la gestione da parte del ____ del frantoio sito all’interno del fabbricato oggetto del preliminare, circostanza del tutto ininfluente ai fini del decidere il possesso del bene da parte del promittente venditore.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Palermo ha proposto ricorso per cassazione il ___ articolato su due motivi, al quale ha resistito il convenuto con  controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la insufficiente e contraddittoria motivazione per ciò che attiene alla interpretazione della raccomandata inviata il 9.2.1998, perché avulsa dal contesto del caso concreto, dovendosi interpretare l’espressione ‘definizione bonaria’ nel senso dell’adempimento dell’obbligazione assunta, ossia la stipula dell’atto pubblico.

Premesso che la problematica relativa all’esposizione del c.d. momento di sintesi (omologo del quesito: così Casso 3 luglio 2011 n. 17950; Casso 12 aprile 2011 n. 8315; Casso Sez. Unite 20 maggio 2010 n. 12339; Casso SS.UU. 25 novembre 2008 n. 28039; Casso 7 aprile 2008 n. 8897; Casso 2007 n. 20603), necessario ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, va ritenuta assolta nella “considerazioni conclusive” di cui alla pago 13 del ricorso, nel merito, la censura è priva di pregio.

La valutazione della corte territoriale in ordine alla efficacia interruttiva della lettera raccomandata del 9 febbraio 1998, inviata dal ___si fonda sul contenuto della missiva, definita un “riferimento generico a più scritture private stipulate fra le parti il 6.11.1987”, priva di esplicita richiesta di adempimento del contratto preliminare de quo. Le ulteriori circostanze menzionate dal ricorrente (quanto all’incertezza soggettiva, l’invio della lettera anche alla  era giustificato dalla pattuizione con la stessa di convenzioni regolanti la costituzione di una società di fatto avente per oggetto la proprietà e la gestione di un frantoio oleario, per cui solo la richiesta inviata alla ____ aveva ad oggetto il rapporto de quo) non appaiono risolvere la questione nei termini prospettati dal ____ in quanto seppure indicano condizioni costituenti presupposti della ritenuta prescrizione, si tratta di elementi che di per sé non varrebbero ad escluderla, sempreché le espressioni usate nella lettera fossero tali da esplicitare la chiara e univoca volontà del promissario acquirente diretta ad esigere l’adempimento dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo.

Infatti, affinché un atto possa acquisire efficacia interruttiva della prescrizione, a norma dell’art. 2943, quarto comma, c.c., esso deve contenere anche l’esplicitazione di una pretesa, vale a dire una intimazione o richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito, anche tramite il suo rappresentante, di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto passivo, con l’effetto di costituirlo in mora.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’efficacia interruttiva della prescrizione di un atto proveniente dalla parte, che invochi la realizzazione di una propria pretesa, costituisce indagine di merito, non sindacabile in sede di legittimità, se congruamente motivata (Cass.

gennaio 1993 n. 612, 19 gennaio 1995 nn. 561 e 563, 13 maggio 1999 n. 4749, 24 settembre 1999 n. 10504; anche Casso 542 del 23 gennaio 1984, nn. 3096 del 1985, 12422 del 1995, 11318 del 1996), per cui non può essere sotto tale aspetto censurato l’assunto dei giudici della Corte distrettuale, che hanno interpretato la missiva non come manifestazione inequivoca della volontà di agire in giudizio, ma come generica richiesta per una “soluzione bonaria”, non idonea ad integrare la costituzione in mora di cui all’art. 2943 1 c.c., la quale ha necessariamente carattere istantaneo (ancora Casso 1976/69,9000/95; 11318/96). Il primo motivo di ricorso deve essere dunque rigettato.

Il secondo motivo, con il quale viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in quanto le spese processuali avrebbero dovuto essere poste a carico del promittente venditore o al più compensate per intero, pone il seguente quesito di diritto:

“Stabilisca la corte di cassazione se costituisce violazione dell’art. 92 c.p.c. la mancata compensazione delle spese”.

Anche questa censura va rigettata.

Va innanzitutto chiarito che il testo dell’art. 92 c.p.c. che trova applicazione nella specie, ratione temporis, è quello anteriore sia alla formulazione introdotta dalla legge n. 69 del 2009 sia nel testo modificato dalla legge 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), (necessità di esplicitare i giusti motivi), per cui la scelta discrezionale di compensare le spese processuali è riservata al prudente, ma comunque motivato, apprezzamento del giudice di merito (v. Casso SS.UU. 30 luglio 2008 n. 20598), anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purché, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito), che può essere censurata in sede di legittimità quando siano illogiche o contraddittorie le ragioni poste alla base della motivazione e tali da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale.

Nella specie, la motivazione data dai giudici di merito – che per entrambi i gradi di giudizio si sono conformati al principio della causalità e soccombenza – si sottrae alle censure sollevate, avendo fatto buon governo dei criteri affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, condivisa da Collegio, secondo la quale, “In tema di regolamento delle spese processuali, e con riferimento alla loro compensazione, poiché il sindacato della S.C. è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso di altri giusti motivi.

Va altresì specificato che il giudice di merito può compensare le spese di lite per giusti motivi senza obbligo di specificarli, e la relativa statuizione non è censurabile in Cassazione, poiché il riferimento a “giusti motivi” di compensazione denota che il giudice ha tenuto conto della fattispecie concreta nel suo complesso, quale evincibile dalle statuizioni relative ai punti della controversia” (v. Casso 31 luglio 2006 n. 17457).

In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi €. 1.700,00, di cui €. 200,00 per esborsi.

Approfondimenti: Decorrenza della prescrizione

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