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La sentenza n. 3966/12 consente alla Suprema Corte di occuparsi di alcuni rilevanti profili in tema di responsabilità civile, aventi ad oggetto sia l’an che il quantum.

Il caso in questione riguardava un pedone investito da un’autovettura, il quale, a seguito del sinistro, decedeva.

In entrambi i giudizi di merito veniva accertato il concorso al 50% del pedone e i giudici di Piazza Cavour hanno confermato tale ricostruzione.

Questi ultimi, infatti, richiamando Cass. n. 17397/07, hanno precisato come “allorquando siano accertate la pericolosità e l’imprudenza della condotta del pedone, la colpa di questi concorre, ai sensi dell’articolo 1227, primo comma, c.c., con quella presunta del conducente”.

Nella fattispecie de qua, in effetti, era stato accertato che il pedone aveva attraversato una strada a scorrimento veloce durante l’orario notturno e senza essersi assicurato che la carreggiata fosse libera.

Per ciò che concerne il quantum, invece, le Corti di merito avevano negato la risarcibilità sia del danno patrimoniale futuro, relativo alla capacità professionale, che del danno iure hereditatis.

In relazione alla prima voce di danno gli Ermellini, richiamando Cass. n. 14845/07, hanno ribaltato la pronuncia di merito, statuendo che “A norma dell’art. 2043 c.c., infatti, ai prossimi congiunti di un soggetto, deceduto in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo, compete il risarcimento del danno anche patrimoniale, anche nel caso in cui il defunto avesse appena intrapreso una attività professionale remunerata; in questo caso, ad essi spetta il risarcimento del danno patrimoniale futuro, sulla base di una valutazione equitativa circostanziata ed a carattere satisfattivo che tenga conto della rilevanza del legame di solidarietà familiare, da un lato, e delle prospettive di reddito professionale dall’altro”.

Secondo la Suprema Corte, inoltre, non è rilevante la circostanza per cui il padre non versava l’assegno di mantenimento, anzi “Il danno futuro deve essere invece riconosciuto perché non si può escludere che il padre avrebbe provveduto in futuro, tanto più che per lui costituiva un vero e proprio obbligo giuridico corrispondere il mantenimento e provvedere all’educazione ed all’istruzione della figlia”.

Anche per ciò che concerne il cd. danno catastrofale trasmissibile agli eredi i giudici di legittimità hanno cassato la sentenza di secondo grado, in quanto sul punto si è limitata ad escludere la risarcibilità del danno morale, senza precisare se la vittima fosse rimasta lucida prima di spirare.

Come noto, infatti, la risarcibilità del danno iure hereditatis dipende proprio dall’accertamento dello stato di lucidità del danneggiato tra il momento del sinistro e quello della morte: se vi è coscienza della fine la vittima subisce un danno che, ovviamente, verrà trasmesso agli eredi.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza n. 3966/12

(Presidente Petti – Relatore D’Amico)

Svolgimento del processo

L.R., genitore esercente la potestà sulla minore A.B., conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Civitavecchia, F.V. e la S. Assicurazioni s.p.a. per ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti dalla figlia a seguito del decesso del padre naturale, Ba.An., investito sulla via Aurelia.

I convenuti si costituivano in giudizio contestando ogni addebito ed attribuendo la causa del sinistro alla imprudente condotta del B.

Intervenivano in giudizio e formulavano autonome richieste di risarcimento danni S.C., madre del defunto, ed i fratelli dello stesso B.E., N. e C.

Con sentenza dell’11 marzo 2004 il Tribunale, ritenuto il concorso di colpa di An.Ba. in misura del 50%, condannava i convenuti, in solido, al risarcimento in pari misura dei danni subiti dai familiari del defunto.

Avverso la relativa pronuncia proponevano appello R.L., nella suddetta qualità, e S.C.

Si costituivano E.B., N.B. e B.C. proponendo appello incidentale in punto di an e quantum debeatur.

Si costituivano altresì la F. s.p.a. e V.F. chiedendo il rigetto degli avversi gravami e, in via incidentale, la esclusione di ogni responsabilità del conducente dell’autovettura investitrice.

La Corte d’Appello di Roma, in parziale riforma dell’appellata sentenza, condannava in solido F.V. e la F. s.p.a. al risarcimento dei danni in favore dei prossimi congiunti di An.Ba. liquidando un maggior importo, ferma restando la misura del 50% del concorso di colpa del B.

Hanno proposto ricorso per cassazione B.A., C.S., E.B., N.B. e C.B. che hanno presentato memoria.

Ha resistito con controricorso F. s.p.a.

Non ha svolto attività difensiva F.V.

Con ordinanza del 17 febbraio 2011 è stato disposto il rinvio del ricorso alla pubblica udienza.

Motivi della decisione

Con i primi tre motivi d’impugnazione, che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente trattati, i ricorrenti rispettivamente denunciano:

1) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 116 c.p.c. e 2054, 2700, 2729 c.c. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.”;

2) “Nullità del procedimento ex art. 360 n. 4 c.p.c. in relazione agli artt. 115 primo comma, 184 (allora vigente), 345 terzo comma, c.p.c., 2054, 2729 c.c. e 652 c.p. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.”; 3) “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 116 c.p.c., 2054 c.c. e 191 codice della strada. Omessa insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.”.

3) Sostengono i ricorrenti che la Corte d’Appello ha errato nella ricostruzione della dinamica del sinistro ed in particolare nel sostenere che l’attraversamento della strada da parte di Ba.An. costituisce un dato di fatto accertato dai carabinieri, non essendo invece tale dato sorretto da alcuna valida risultanza processuale. Negano quindi che la condotta del B. sia stata concausa del suo investimento, visto che la strada era larga e rettilinea per cui il pedone poteva essere avvistato ad una certa distanza dai conducenti dei veicoli in arrivo.

Sostengono ancora i ricorrenti che non poteva essere utilizzata, in quanto tardiva, la documentazione prodotta dal V. in cui si affermava che lo stesso viaggiava ad una velocità non superiore a quella consentita e che la Corte non ha indicato le ragioni per le quali il semplice attraversamento della strada da parte del pedone abbia dato luogo ad un concorso di colpa in misura del 50%.

I motivi devono essere rigettati.

In tema di investimento stradale, se pure il conducente del veicolo investitore non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione di colpa che l’articolo 2054, primo comma, c.c., pone nei suoi confronti, non è preclusa l’indagine, da parte del giudice di merito, in ordine al concorso di colpa del pedone investito, con la conseguenza che, allorquando siano accertate la pericolosità e l’imprudenza della condotta del pedone, la colpa di questi concorre, ai sensi dell’articolo 1227, primo comma, c.c., con quella presunta del conducente (Cass. 8 agosto 2007, n. 17397).

Nella fattispecie, l’impugnata sentenza ha ritenuto sussistere – nella misura del 50 per cento – il concorso di colpa del pedone, investito dall’autovettura, perché aveva attraversato in ora notturna una strada a scorrimento veloce e senza essersi assicurato, al momento dell’inizio dell’attraversamento, di essere stato avvistato dal conducente del mezzo investitore.

E comunque gli accertamenti compiuti dal giudice di merito e la valutazione delle prove rientrano nel potere discrezionale di tale giudice e non possono formare oggetto di riesame in sede di legittimità quando, come nell’impugnata sentenza, la motivazione sia congrua ed immune da vizi logici o giuridici.

Con il quarto motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. nella liquidazione del danno non patrimoniale in relazione agli artt. 115 c.p.c., 2056, 2057, 2059 c.c. e 2, 3, 29, 30, 31 cost.. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 c.p.c.”.

Sostengono i ricorrenti che la Corte d’Appello ha applicato le tabelle romane in automatico, senza alcuna personalizzazione, effettuando una ulteriore riduzione del 20% per i non conviventi.

Il motivo deve essere rigettato.

Riguardo al criterio di liquidazione del danno non patrimoniale ed alla relativa personalizzazione, infatti, l’esercizio di una facoltà decisionale spetta al giudice del merito, in relazione al caso concreto e come tale non è censurabile ove sorretto da adeguata motivazione come nella decisione impugnata in cui, fra l’altro si evidenzia la mancanza di una adeguata prova in proposito.

Con il quinto motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. nella liquidazione del danno patrimoniale futuro in relazione agli artt. 115 c.p.c, 147, 1226, 2043, 2056, 2057 c.c., 570 c.p. e 2, 3, 30 cost. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.”.

Lamenta in particolare parte ricorrente che la Corte d’appello ha errato nell’escludere la risarcibilità del danno patrimoniale futuro lamentato da A.B.

Il motivo deve essere accolto.

A norma dell’art. 2043 c.c., infatti, ai prossimi congiunti di un soggetto, deceduto in conseguenza del fatto illecito addebitabile ad un terzo, compete il risarcimento del danno anche patrimoniale, anche nel caso in cui il defunto avesse appena intrapreso una attività professionale remunerata; in questo caso, ad essi spetta il risarcimento del danno patrimoniale futuro, sulla base di una valutazione equitativa circostanziata ed a carattere satisfattivo che tenga conto della rilevanza del legame di solidarietà familiare, da un lato, e delle prospettive di reddito professionale dall’altro (Cass., 27 giugno 2007, n. 14845).

Nel caso in esame la Corte d’appello ha errato nell’escludere il diritto al risarcimento in quanto il padre non versava l’assegno di mantenimento.

Il danno futuro deve essere invece riconosciuto perché non si può escludere che il padre avrebbe provveduto in futuro, tanto più che per lui costituiva un vero e proprio obbligo giuridico corrispondere il mantenimento e provvedere all’educazione ed all’istruzione della figlia.

Con il sesto ed ultimo motivo si denuncia “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. nella liquidazione del danno non patrimoniale ” iure hereditatis” in relazione agli artt. 1226, 2056 e 2059 c.c. Omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio ex art. 360 n. 5 c.p.c.”.

Sostengono i ricorrenti che la Corte ha errato nell’escludere il danno iure hereditatis.

In caso di morte della vittima a seguito di sinistro stradale, la brevità del periodo di sopravvivenza alle lesioni, se esclude l’apprezzabilità a fini risarcitori del deterioramento della qualità della vita in ragione del pregiudizio alla salute, ostando alla configurabilità di un danno biologico risarcibile, non esclude viceversa che la medesima abbia potuto percepire le conseguenze catastrofiche delle lesioni subite e patire sofferenza, il diritto al cui risarcimento, sotto il profilo del danno morale, risulta, pertanto, già entrato a far parte del suo patrimonio al momento della morte e può conseguentemente essere fatto valere “iure hereditatis”. Ne consegue che il giudice di merito deve apprezzare la peculiarità del fatto specifico e provvedere alla conseguente liquidazione, necessariamente ancorata a criteri equitativi (Cass., 6 agosto 2007, n. 17177).

Nel caso in esame l’impugnata sentenza, in punto di risarcibilità, non è motivata in quanto si limita ad escludere la risarcibilità del danno morale per la breve durata della sopravvivenza, senza precisare se la vittima fosse rimasta lucida nella fase che precedeva il decesso.

In conclusione, devono essere rigettati i primi quattro motivi, accolti il quinto ed il sesto, con cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i motivi 1, 2, 3 e 4, accoglie il quinto e sesto, cassa in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del giudizio di cassazione.

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