Con la sentenza n. 7256/12 la Suprema Corte consolida l’orientamento secondo cui il danno da vacanza rovinata deve essere risarcito ex art. 2059 c.c., analizzando i presupposti e i limiti di tale riconoscimento.
Il caso in questione è scolastico: due coniugi lamentano un inadempimento contrattuale relativo al viaggio di nozze, chiedendo in giudizio il ristoro sia dei danni patrimoniali, sia soprattutto di quelli non patrimoniali, per non aver potuto godere appieno del periodo di vacanza.
Eppure, nonostante la domanda appaia prima facie fondata, la causa arriva in Cassazione, dove i giudici di legittimità precisano che “In tema di danno non patrimoniale da «vacanza rovinata», inteso come disagio psico-fisico conseguente alla mancata realizzazione, in tutto o in parte, della vacanza programmata, la raggiunta prova dell’inadempimento dell’operatore turistico esaurisce in sé anche la prova del verificarsi del danno. Ciò sia in considerazione del fatto che gli stati psichici interiori dell’attore non possono formare oggetto di prova diretta, sia in quanto essi sono desumibili dalla stessa mancata realizzazione della finalità turistica che qualifica il contratto, essenziale all’attuazione dello scopo vacanziero”.
In altre parole, i giudici di legittimità ritengono che il contratto in questione presenti caratteristiche uniche, avendo quale scopo principale, a differenza della maggior parte dei tipi negoziali, quello di perseguire interessi non patrimoniali, così che appare giustificabile ritenere che la prova dell’inadempimento porti, ipso iure, al risarcimento del danno non patrimoniale.
La Suprema Corte, tuttavia, ritiene che tale voce di danno vada risarcita solo nel caso in cui si superi una soglia minima di tollerabilità e, dato che essa non è legislativamente prevista, sarà il giudice di merito a doverla valutare di volta in volta, secondo il suo prudente apprezzamento.
La ratio di tale temperamento, risiede, a parere degli Ermellini, nella necessità di “valorizzare la regola di correttezza e di buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà della condotta” alla luce dei doveri di solidarietà sociale, di cui all’articolo 2 della Costituzione.
Tale pronuncia segue a breve distanza la n. 4372/12, secondo cui la risarcibilità del danno da vacanza rovinata “è prevista dalla legge, oltre che costantemente predicata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia europea”.
Inoltre, è necessario precisare che, con il recente decreto legislativo n. 79/2011, è stato emanato il Codice del Turismo, il cui art. 47, comma 1, recita espressamente “Nel caso in cui l’inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico non sia di scarsa importanza ai sensi dell’articolo 1455 del codice civile, il turista puo’ chiedere, oltre ed indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all’irripetibilita’ dell’occasione perduta”, per cui non sembrano, almeno per il momento, residuare spazi per negare il riconoscimento e la tutela del diritto del turista a trascorrere le vacanze secondo quanto concordato con l’organizzatore di viaggi.