Le comunicazioni processuali fatte per posta elettronica (semplice) devono essere riscontrate dalla parte destinataria con un atto di avvenuta ricezione, a pena di nullità.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 6635/12, depositata il 30 aprile.
La vicenda de qua traeva origine da un’ordinanza fuori udienza emessa dal Tribunale di Prato nel dicembre 2007 nell’ambito di una controversia relativa ad una compravendita immobiliare.
Il problema nasceva dal fatto che uno degli avvocati non aveva autorizzato l’uso della modalità di comunicazione elettronica da parte del destinatario e, in ogni caso, il documento era stato inviato ad un indirizzo non più attivo e, quindi, privo di ogni riscontro di ricezione.
La Cassazione, investita della questione, ha dichiarato la nullità dell’ordinanza de qua e di tutti gli atti conseguenti, per mancato raggiungimento dello scopo, atteso che lo scopo delle ordinanze fuori udienza è, per l’appunto, quello di rendere edotte le parti del provvedimento del giudice e della data della nuova udienza fissata (cfr. ex plurimis Cass. Civ., 1690/1982 e Cass. Civ. 8002/2009).
In particolare, l’invalidità della comunicazione dell’ordinanza si desume dall’assenza del riscontro del destinatario. Infatti, la Cassazione aveva, in precedenza, già affermato che la comunicazione di Cancelleria effettuata per e-mail all’indirizzo elettronico indicato dal difensore deve ritenersi valida, allorché ad essa il destinatario abbia dato risposta per ricevuta non in automatico, documentata dalla relativa stampa cartacea (Cass. 19/2/2008 n. 4061).
Va, tuttavia, precisato che l’orientamento giurisprudenziale si riferisce unicamente alle comunicazioni inviate attraverso la posta elettronica “semplice” (per la cui validità, quindi, sarebbe richiesta una mail di risposta, non automatica) e non a quelle effettuate attraverso il sistema di “posta elettronica certificata” (oggi introdotte in via obbligatoria dal Codice di Procedura Civile).
Ricordiamo, infatti, che, l’art. 136 c.p.c., come novellato dall’art. 25 della L. 12 novembre 2011, n. 183, prevede espressamente che Il biglietto è consegnato dal cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, ovvero trasmesso a mezzo posta elettronica certificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.
In tal caso, come chiarisce l’art. 16 comma del Decreto Ministeriale 21 febbraio 2011 n. 44, La comunicazione per via telematica si intende perfezionata nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna breve da parte del gestore di posta elettronica certificata del destinatario e produce gli effetti di cui agli articoli 45 e 48 del codice dell’amministrazione digitale.
Si è poi posto il dubbio della “sorte” della comunicazione laddove il sistema di posta elettronica certificata generi un avviso di mancata consegna.
Sul punto rileva l’art. 136 c.p.c., terzo comma, secondo cui salvo che la legge disponga diversamente, se non è possibile procedere ai sensi del comma che precede, il biglietto viene trasmesso a mezzo telefax, o è rimesso all’ufficiale giudiziario per la notifica.
Di fatto, la trasmissione a mezzo telefax o a mezzo notifica dell’Ufficiale Giudiziario sarebbe possibile solo in mancanza di una legge che disponga diversamente.
Un’ipotesi in tal senso è costituita dall’art. 51 comma 3 del decreto legge 25 giugno 2008 n. 112 (convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni) il quale prevede che, qualora l’avvocato non abbia attivato o comunicato il proprio indirizzo elettronico (leggasi PEC) le notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento sono fatte presso la cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario.
Tale disciplina si dovrebbe applicare, in virtù del rinvio operato dall’art. 16 comma 4 all’art. 51 comma 3 D.L. 112/2008 anche nell’ipotesi di emissione di un avviso di mancata consegna, secondo quanto indirettamente affermato nel nuovo Portale dei servizi telematici all’indirizzo http://tinyurl.com/73x5ka9.
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CORTE DI CASSAZIONE CIVILE,
Sez.2^, 30 aprile 2012 Sentenza n. 6635
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato il 22/2/1990 L.C. conveniva dinanzi al Tribunale di Prato G.F., assumendo di aver promesso in vendita al convenuto, con contratto preliminare del 15/11/1988, un locale ad uso artigianale sito in (Omissis) , per il prezzo di lire 55.000.000, con contratto definitivo da stipularsi, a cura del notaio Nardone di Prato, entro il 28/2/1989.
L’attrice deduceva che il G. , benché diffidato a presentarsi dinanzi al predetto notaio alle ore 15,00 del 12/12/1989 per la stipula del definitivo, non si era presentato. Essa, pertanto, chiedeva che venisse accertato il suo diritto a incamerare la caparra e ad ottenere il rimborso delle spese sostenute.
Il G., costituitosi tardivamente in giudizio, contestava la fondatezza della domanda, facendo presente che il preliminare aveva ad oggetto due stanzoni e non uno solo, come affermato dall’attrice, e rilevando che la diffida inviatagli da quest’ultima era priva di valore, sia perché da lui mai ricevuta, in quanto inviata ad un indirizzo dal quale egli si era trasferito, sia perché era la venditrice ad essere inadempiente, non avendo trasmesso i documenti di vendita al notaio Turchini, come da lui richiesto.
Sulla base di tali premesse, il convenuto chiedeva in via riconvenzionale che venisse emessa sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., facendo presente di aver già pagato 45 dei 55 milioni di lire previsti come prezzo della vendita.
Con sentenza n. 1213/2004 il Tribunale accoglieva la domanda riconvenzionale, condannando il convenuto a pagare il residuo prezzo di vendita; rigettava, invece, la domanda attrice.
Avverso la predetta decisione proponeva appello la L.C..
Con ordinanza del 23/10/2007 la Corte di Appello di Firenze sollecitava l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado ed invitava le parti a depositare le copie degli atti processuali eventualmente in loro possesso, nonché l’originale del contratto preliminare in contestazione.
A tale ordinanza dava riscontro solo l’appellante, mentre l’appellato rimaneva assente nelle udienze successive.
Con sentenza depositata il 22/7/2008 la Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava risolto per intervenuto recesso della promittente venditrice il contratto preliminare stipulato dalle parti, autorizzando, di conseguenza, la L.C. ad incamerare la caparra ricevuta. In particolare, nella parte espositiva delle vicende del processo, la Corte territoriale dava atto della regolare comunicazione al difensore dell’appellato, per posta elettronica, dell’ordinanza collegiale del 23/10/2007.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il G., sulla base di quattro motivi.
La L.C. resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza e del procedimento e la conseguente violazione del principio del contraddittorio, per la mancata comunicazione dell’ordinanza del 23/10/2007. Sostiene che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che la predetta ordinanza collegiale fosse stata regolarmente comunicata, per posta elettronica, al difensore dell’appellato, sia perché l’avv. Rossi non aveva mai autorizzato tale forma di comunicazione, sia perché detta comunicazione è stata effettuata ad un indirizzo di posta elettronica diverso da quello effettivo, sia perché alla Cancelleria non è pervenuta alcuna risposta per ricevuta.
A conclusione del motivo, il ricorrente formula il seguente quesito di diritto: “Posto che l’art. 136 c.p.c. consente, per te comunicazioni di cancelleria, l’adozione, in sostituzione di quella cartacea, della procedura telematica, ove essa sia adottata, per le caratteristiche ed i rischi connessi alla medesima, occorre comunque, per la sua validità, che il giudice accerti che il difensore abbia dato espressamente atto dell’avvenuta ricezione?”.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1453 e 1454 c.c., per avere la Corte di Appello ritenuto l’inadempimento del convenuto per la mancata adesione del medesimo all’invito a comparire dinanzi al notaio Nardone di Prato, sull’erroneo presupposto che l’indicazione di tale notaio, contenuta nel preliminare di vendita e reiterata nella diffida rivolta dalla controparte, avesse carattere vincolante.
Con il terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per avere la Corte di Appello ritenuto la legittimità del recesso dell’attrice ex art. 1385 c.c., pur avendo quest’ultima chiesto la risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c..
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 1385, 1453 e 1454 c.c., stante la incompatibilità tra la richiesta di incameramento della caparra e la domanda di risoluzione del contratto e di risarcimento danni, formulata anche in appello dalla L.C. .
2) Il primo motivo è fondato.
Dall’esame diretto degli atti del giudizio di appello, consentito per la natura del vizio denunciato, si evince che l’ordinanza pronunciata fuori udienza dalla Corte di Appello di Firenze in data 23/10/2007 è stata comunicata in pari data dalla Cancelleria al difensore del G., avv. Leonardo Rossi, all’indirizzo di posta elettronica (Omissis) . Nella relativa attestazione resa dal Cancelliere, peraltro, non vi è alcun riferimento al riscontro dell’avvenuta ricezione di tale comunicazione da parte del destinatario.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la comunicazione di Cancelleria effettuata per e-mail all’indirizzo elettronico indicato dal difensore deve ritenersi valida, allorché ad essa il destinatario abbia dato risposta per ricevuta non in automatico, documentata dalla relativa stampa cartacea (Cass. 19/2/2008 n. 4061).
Non vi è ragione per discostarsi da tale principio, che risponde all’esigenza di assicurare la certezza dell’avvenuta ricezione dell’atto da parte del destinatario, in considerazione del carattere sostitutivo della procedura telematica (prevista, per le comunicazioni delle ordinanze emesse fuori dell’udienza, dal comma 3 dell’art. 134 c.p.c. e dall’ultima parte del comma 2 dell’art. 176 c.p.c., aggiunti dall’art. 2, comma 3, lett. b) e c) del d.l. 14/3/2005 n. 35, convertito con modificazioni nella l. 14/5/2005 n. 80) rispetto a quella cartacea prevista in via generale dagli artt. 136 c.p.c. e 145 disp. att. c.p.c. per la comunicazione degli atti processuali, e della possibilità, sia pur remota, di eventuali difetti di funzionamento del sistema di trasmissione.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, la comunicazione, a cura del cancelliere, dell’ordinanza pronunciata fuori udienza, è diretta a rendere edotte le parti del contenuto del provvedimento del giudice e della data della nuova udienza fissata, e costituisce un requisito formale indispensabile perché il provvedimento stesso raggiunga il suo scopo. La mancata comunicazione al procuratore costituito di una delle parti, pertanto, determina la nullità ex art. 156 c.p.c. dell’ordinanza e la conseguente nullità, ex art. 159 dello stesso codice, degli atti successivi dei processo e della sentenza impugnata – rispetto ai quali il provvedimento e la sua comunicazione costituiscono antecedenti indispensabili -, per violazione del principio del contraddittorio (v. Cass. 2/4/2009 n. 8002; Cass. 29/1/2003 n. 1283; Cass. 27/11/1984 n. 6162; Cass. 15/3/1982 n. 1690).
Orbene, poiché nella specie, contrariamente a quanto ritenuto a pag. 7 della decisione impugnata, l’ordinanza pronunciata fuori udienza dalla Corte di Appello non risulta comunicata alla parte appellata costituita e questa non ha partecipato alle udienze successive, gli atti processuali successivi a tale provvedimento e la sentenza gravata devono considerarsi nulli per violazione del principio del contraddittorio.
Il motivo in esame, pertanto, deve essere accolto, e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze, la quale provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
Gli altri motivi restano assorbiti.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra Sezione della Corte di Appello di Firenze