Caso
L’Agenzia delle Entrate invia un avviso di accertamento ad una S.r.l. contestando a quest’ultima una illegittima deduzione di costi aziendali relativi ai compensi degli amministratori della società.
L’ente di riscossione sosteneva che l’impresa avesse dedotto costi per i compensi degli amministratori superiori rispetto a quelli indicati nella delibera di nomina degli stessi.
Investita della questione, la Commissione Tributaria Provinciale rigetta il ricorso presentato dalla S.r.l., la quale decide di impugnare il provvedimento dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale (“CTR”).
Quest’ultima accoglie l’appello dell’impresa’ sulla base delle seguenti motivazioni:
- la società era composta da una ristretta base sociale, anche familiare, per cui i soci avevano la consapevolezza della misura dei compensi corrisposti agli amministratori;
- l’ammontare dei compensi dedotti emergeva dal bilancio di esercizio, dalla nota integrativa ed era stato, altresì, confermato da una delibera assembleare successiva a quella di approvazione del bilancio;
- l’operazione era avvenuta in buona fede;
- sostenendo la tesi dell’ente di riscossione si avrebbe un’ipotesi di doppia tassazione.
Sentenza
Avverso la sentenza della CTR l’ente di riscossione decide di proporre ricorso per Cassazione e i Giudici di Piazza Cavour accolgono la tesi dell’Agenzia delle Entrate, modificando la decisione presa nel secondo grado di giudizio (sentenza n. 5763/2021).
I Giudici di legittimità, infatti, richiamando la pronuncia delle Sezioni Unite n. 21933/2008, hanno ribadito come non sia deducibile la spesa sostenuta da una società per il pagamento dei compensi degli amministratori qualora venga approvata in maniera implicita in sede di approvazione del bilancio, difettando “i requisiti di certezza e obiettiva determinabilità dell’ammontare del costo di cui all’art. 109” TUIR (Testo Unici Imposte sui Redditi).
Ai fini della deducibilità dei suddetti costi è quindi necessario che gli emolumenti siano stati determinati in via preventiva nello statuto o nella delibera di nomina dell’amministratore (vedi art. 2364 c.c.).
Tornando al caso di specie se ne deduce che la ratifica successiva all’approvazione del bilancio non è sufficiente, considerato che la “delibera assembleare costituisce modo formale ed inderogabile di espressione della volontà della società di cui non sono ammessi equipollenti”.
E’ vero, infatti, che l’art. 95, comma 5, TUIR prevede che “i compensi spettanti agli amministratori… [OMISSIS] … sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti”, ma l’applicazione di tale norma non fa venir meno i principi codicistici sopra evidenziati, vale a dire che il compenso pagato senza una delibera preventiva che ne abbia approvato l’ammontare non può ricondursi alla volontà assembleare.
Da ultimo, per quanto concerne i profili evidenziati dalla CTR, la Cassazione rileva che:
- ai fini della deducibilità dei costi in oggetto è irrilevante lo stato soggettivo di buona fede dei soci;
- non vi è alcun rischio di doppia imposizione, in quanto “la circostanza che la società, in mancanza di specifica delibera assembleare, non possa dedurre integralmente la spesa, non significa che lo stesso fatto è tassato due volte ma solamente che nella determinazione del reddito della società non possono essere dedotti costi che non sono certi e determinati”.