Con la sentenza n. 14359/2012 la Corte di Cassazione ha precisato ulteriormente alcuni profili riguardanti il reato di falso ideologico e della responsabilità amministrativa degli enti ai sensi del D. Lgs 231/2001.
La sentenza in esame si occupa del caso di un socio accomandatario nonché rappresentante legale di una società, condannato sia in primo che secondo grado ai sensi degli artt. 483 e 56 e 640 c.p., per aver attestato falsamente, in una dichiarazione sostitutiva di atto notorio presentata all’Inail, necessaria per partecipare ad una gara di appalto, di essere in regola con gli obblighi riguardanti le dichiarazioni ed i versamenti in materia di contributi sociali ed obblighi fiscali. La condotta criminosa tenuta dal reo si sostanziava, dunque, nell’aver indotto in errore, attraverso atti idonei diretti in modo non equivoco, i funzionari Inail preposti alla gara di appalto, ottenendo così l’aggiudicazione dell’appalto.
Il difensore dell’imputato deduceva tra i vari motivi posti a fondamento del ricorso, l’erronea applicazione dell’art. 483 c.p. in quanto, secondo la propria impostazione, affinché possa configurarsi il reato di falso ideologico, il falso deve riguardare un atto pubblico e non una dichiarazione sostitutiva del privato che per sua natura non può equipararsi all’atto pubblico in quanto non è da considerarsi atto destinato a provare la verità di quanto in esso contenuto.
Il Supremo Collegio, nel rigettare tale motivo del ricorso, faceva propria una recente interpretazione delle SS. UU. che, pronunciatesi su un caso analogo, ritenevano che “la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà è destinata, per espressa disposizione di legge, a provare la veridicità delle asseverazioni in essa contenute e considerato che essa deve essere poi trasfusa in un atto pubblico consistente nel caso di specie, nell’atto di aggiudicazione dell’appalto, il falso ideologico del privato si configura dal momento che esso può investire le attestazioni, anche implicite, contenute nell’atto pubblico conclusivo della procedura e i presupposti di fatto giuridicamente rilevanti ai fini della parte dispositiva dell’atto medesimo”.
La società veniva poi ritenuta responsabile ai sensi dell’art. 26 del D.Lgs. 231/2001 in quanto il reo, in qualità di amministratore delegato della società, aveva posto in essere la condotta criminosa con il solo scopo di far ottenere un vantaggio alla società, attraverso l’aggiudicazione di un appalto.
La falsificazione della dichiarazione sostitutiva ha infatti consentito alla società di aggiudicarsi l’appalto, appalto che in mancanza della prescritta documentazione non sarebbe mai stato ottenuto dall’ente.