Il caso: gli eredi di un medico odontoiatra, che aveva contratto il virus HCV (epatite di tipo C) presso l’azienda sanitaria pubblica dove lavorava, citavano in giudizio la datrice di lavoro per ottenere il risarcimento danni derivante da responsabilità omissiva, per non avere l’ospedale predisposto efficaci protocolli di prevenzione.
In primo grado il Tribunale accoglieva le richieste formulate, ma la sentenza era ribaltata in appello, sul presupposto che la responsabilità poteva sorgere ogni volta che il danno potesse essere prevenuto ed evitato con giudizio ex ante fondato sulla prevedibilità dello stesso, mentre doveva constatarsi che le tre infezioni da virus di tipo A, B e C costituivano tre differenti eventi lesivi, ognuno dei quali doveva essere ricondotto alla specifica e relativa causa.
Da ciò conseguiva che, poichè all’epoca dell’infezione dell’odontoiatra era noto solo l’altro agente patogeno (quello relativo all’epatite B), doveva escludersi il nesso causale tra la condotta omissiva della convenuta e l’evento lesivo.
Tale soluzione era avvalorata dal noto orientamento giurisprudenziale facente capo a Cassazione n. 11609/2005, che aveva assolto il Ministero della Salute dai danni da Hiv ed Hcv per la raccolta del sangue infetto fino alla data in cui la scienza medica aveva scoperto i due virus, in quanto per il periodo precedente mancava, appunto, il nesso causale.
La Cassazione, però, con la sentenza n. 6562/12, conferma la pronuncia di primo grado, aderendo così al più recente orientamento in materia, cristallizzato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 576/2008, secondo cui nel contagio “non sussistono, in realtà, tre eventi lesivi, come se si trattasse di serie causali autonome ed indipendenti, ma un unico evento lesivo, cioè la lesione dell’integrità fisica, per cui unico è il nesso causale: trasfusione (o contatto) con il sangue infetto”.
Da qui il principio di diritto: “L’azienda sanitaria pubblica è responsabile nei confronti del proprio medico per il danno da invalidità permanente da questi subito a seguito di infezione da virus HCV (epatite di tipo C), contratta nell’assolvimento dell’attività lavorativa, quando non siano stati adottati adeguati strumenti di prevenzione del contagio”.
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