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Mediazione immobiliare e diritto di recesso: è legittima una clausola che attribuisca al mediatore il diritto a percepire un corrispettivo in caso di recesso del cliente?

Mediazione immobiliare e diritto di recesso: la prassi

Nella prassi, quando un soggetto interessato ad acquistare o a vendere un immobile di proprietà conferisce un incarico ad un’agenzia immobiliare si configura un contratto di mediazione. Più precisamente, parleremo di mediazione unilaterale atipica.

Va, infatti, precisato che, nel sistema delineato dal codice civile, il contratto di mediazione costituisce un contratto tipico in cui un soggetto (mediatore), senza esservi obbligato, mette in relazione due o più parti per la conclusione di uno specifico affare.

La prassi contrattuale, tuttavia, come noto, ha visto sempre di più la diffusione di uno schema, parzialmente diverso da quello codicistico, in cui una delle parti (chi acquista o chi vende) affida uno specifico incarico all’agenzia immobiliare. L’incarico, per l’appunto, di individuare un venditore/compratore.

Si parla, quindi, di mediazione unilaterale (perché l’incarico proviene da una parte soltanto).

Mediazione immobiliare e diritto di recesso: il contratto

Nella stragrande maggioranza dei casi, quando vi recherete presso un’agenzia immobiliare per affidare il suddetto incarico, vi verrà richiesto di sottoscrivere un contratto. Generalmente, si tratterà di un modello predisposto dall’agenzia e, a seconda dei casi, potrà essere emendabile o meno.

Il problema, specialmente nei casi in cui il margine di trattativa sia inferiore, consiste nel fatto che potreste essere chiamati ad accettare anche alcune clausole a voi particolarmente sfavorevoli.

Nel post di oggi, prendiamo in considerazione una clausola del seguente tenore:

il Committente (ossia chi conferisce l’incarico) avrà la facoltà di recedere dall’incarico di mediazione, dandone comunicazione a mezzo lettera raccomandata A/R con preavviso di 10 giorni, alle seguenti condizioni: “a) qualora il recesso avvenga entro il 30 giorno dalla sottoscrizione, sarà dovuto dal Committente un corrispettivo pari all’80%, oltre iva, della provvigione di cui all’art. 6) calcolato sul prezzo di cui all’art. 2.a); b) qualora il recesso avvenga successivamente al 30 giorno dalla sottoscrizione, sarà dovuto un corrispettivo pari al 90%, oltre iva, della provvigione di cui all’art. 6) calcolato sui prezzo di cui all’art. 2)

Sinteticamente cosa accade?

  • Se chi conferisce l’incarico intende recedere entro il trentesimo giorno dalla sottoscrizione, dovrà corrispondere un importo pari all’80% della provvigione prevista;
  • Se chi conferisce l’incarico, invece, intende recedere, successivamente a tale data, dovrà corrispondere un importo pari al 90% della provvigione prevista.

Si tratta, all’evidenza, di una clausola fortemente sfavorevole per chi conferisce l’incarico di mediazione immobiliare.

Laddove il contratto fosse concluso tra l’agenzia immobiliare e un soggetto qualificabile come imprenditore o professionista (che agiscano nell’esercizio della propria attività), la suddetta clausola sarà perfettamente valida, purché debitamente richiamata e specificamente approvata per iscritto, ai sensi dell’art. 1341, II° comma, c.c.

Mediazione immobiliare e diritto di recesso: e i consumatori?

Cosa accade, invece, se a conferire l’incarico sia un consumatore?

Troverà applicazione il codice del consumo (artt. 33., ss. Del D.lgs 206/2005) e la clausola suddetta potrebbe essere ritenuta nulla, qualora ricorrano i seguenti presupposti:

  • sia accertata la vessatorietà della clausola (sono vessatorie le clausole che comportano un significativo squilibrio di diritti e di obblighi a carico della parte debole);
  • sia accertato che la medesima clausola non ha formato oggetto di trattativa individuale (ossia una clausola che il consumatore si è limitato ad accettare senza previa negoziazione)

Di recente, il Tribunale di Roma si è trovato ad esaminare un caso identico a quello qui presentato (Sent. X Sez., 19 maggio 2016).

Il Giudice Romano ha premesso che le parti – nell’ambito dei poteri di autonomia riconosciuti dalla legge – possono dare al rapporto di mediazione una regolamentazione differente da quella prevista dal codice civile e, pertanto, possono anche prevedere che il mediatore sia pagato per l’attività svolta, in caso di recesso del committente.

Ciò detto, tuttavia, si evidenzia che la previsione di un compenso sostanzialmente identico (80 o 90%) a quello previsto in caso di positiva conclusione dell’affare nel caso in cui il committente eserciti la facoltà di recesso costituisce un tipico esempio di clausola vessatoria. Per utilizzare le parole del Tribunale di Roma “solo con la conclusione dell’affare il preponente realizza il suo interesse e poiché il rifiuto da parte sua di concluderlo non integra comunque un inadempimento”.

Di conseguenza la clausola in questione, non essendo stato oggetto di trattativa individuale, è stata dichiarata nulla, ai sensi dell’art. 33 del Codice del Consumo.

Il fatto che il Codice del Consumo (art. 34 comma 3) escluda dall’ambito del giudizio di vessatorietà l’adeguatezza del corrispettivo non è di ostacolo alla dichiarazione di nullità della clausola in esame. Infatti, il Codice esige che l’oggetto ed il corrispettivo siano “individuati in modo chiaro e comprensibile”. Di conseguenza, il Tribunale ha ritenuto (a mio avviso, correttamente) che, in caso di esercizio del diritto di recesso, l’ammontare del corrispettivo dovuto dal recedente avrebbe dovuto essere commisurato in relazione all’attività effettivamente prestata sino al momento del recesso. Ed infatti è stato affermato che: “ lo squilibrio delle prestazioni è collegato al fatto che il diritto al compenso per il caso di recesso anticipato sia fissato in misura indipendente dal tempo per il quale l’attività del mediatore s’è protratta prima del rifiuto del preponente”.

L’immagine del post è realizzata da Ashley Basil.

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