In questo post, vi parliamo del procacciatore di affari e, soprattutto, della nota questione in merito al pagamento della sua attività: ha diritto al compenso anche se non è iscritto negli appositi registri?
Il contratto di procacciamento d’affari
Chi è il procacciatore d’affari? Si tratta di una persona fisica incaricata da un preponente di promuovere la conclusione di uno o più determinati contratti tra quest’ultimo e altri soggetti potenzialmente interessati. Viene solitamente remunerato con una provvigione ad affare concluso.
Quale disciplina si applica? La figura del procacciatore non è disciplinata né dalla legge, né da accordi collettivi. Si tratta di una figura di creazione esclusivamente giurisprudenziale, in risposta ad una prassi commerciale molto diffusa.
Con riferimento all’agenzia, si è ritenuto che, mentre l’agente è colui che assume stabilmente l’incarico di promuovere per conto dell’altra (preponente o mandante) la conclusione di contratti in una zona determinata, il procacciatore di affari è colui che raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’impresa da cui ha ricevuto l’incarico di procacciare tali commissioni, senza vincolo di stabilità (a differenza dell’agente) e in via del tutto occasionale (Cass. 9 dicembre 2003, n. 18376)
Con riferimento alla mediazione, si è ritenuto che Il mediatore ed il procacciatore d’affari individuano due distinte figure negoziali – la prima tipica e la seconda atipica – che si differenziano per la posizione di imparzialità del mediatore rispetto al procacciatore, il quale, invece, agisce su incarico di una delle parti interessate, dalla quale soltanto può pretendere la provvigione (Cass. 16 dicembre 2005, n. 27729).
Da quanto sopra, si evince che i tratti distintivi della prestazione del procacciatore d’affari sono individuati nella occasionalità, nell’autonomia e nell’assenza di imparzialità.
Il diritto a compenso: il contrasto giurisprudenziale
Veniamo ora al tema centrale della nostra analisi: il procacciatore d’affari ha diritto al compenso? A quali condizioni?
La questione si presenta particolarmente complessa. Dobbiamo, infatti, ricordare che la figura del procacciatore è nata proprio in risposta alla rigorosa disciplina prevista dalla L. 39/1989 – e, più di recente, dal D.lgs n. 59/2010 – in riferimento all’attività dei mediatori. La suddetta disciplina, sostanzialmente, subordinava (e ancora oggi subordina) il riconoscimento del diritto del mediatore al compenso solo in presenza di taluni requisiti (in passato, l’iscrizione all’albo, oggi, invece, l’iscrizione in appositi repertori tenuti presso le camere di commercio).
Inizialmente, infatti, la giurisprudenza ha riconosciuto il diritto a provvigione a quei soggetti che agivano in presenza di un incarico ricevuto dal preponente, anche in assenza di un’iscrizione all’albo dei mediatori (Cass. 19066/2006 e 7322/2009, ove è stato individuato il tratto distintivo tra le due figure proprio nella assenza di imparzialità del procacciatore). Il fine ultimo era chiaramente quello di remunerare un soggetto per un’attività comunque espletata.
Successivamente, invece, si è registrato un orientamento più restrittivo, volto ad attrarre anche il procacciamento d’affari nell’ambito applicativo della disciplina sulla mediazione, perché “sarebbe pur sempre un nucleo comune alle due figure, rappresentato dalla interposizione tra più soggetti al fine di metterli in contatto per la conclusione di un affare (Cass. 4422/2009; Cass. 16147/2010 – citata dalla sentenza di secondo grado -; Cass. 15473/2011; Cass. 762/2014), tale dunque da spiegare la applicabilità della sanzione della perdita al diritto alla provvigione”.
Perché questo cambio di rotta?
Come ha chiarito la stessa Cassazione (sent. 13184/2007) si è voluto cercare di combattere la piaga dell’abusivismo, soprattutto nei confronti di attività di “mediazione” svolte da persone moralmente e professionalmente inidonee.
E ora?
Alla luce del quadro delineato, si comprende bene come sia difficile per chi debba ricevere un incarico di “procacciamento d’affari” essere rassicurato sul fatto che, in caso di buon esito dell’attività, sarà comunque pagato.
Il contrasto giurisprudenziale non lascia adito a dubbi: come spesso accade, la valutazione finale spetterà al giudice, alla luce delle circostanze del caso concreto.
Ad ogni modo, si segnala che con ordinanza della Cass. Sez. II., 4 novembre 2015, n. 22528, la questione inerente il diritto del procacciatore al compenso è stata rimessa alle sezioni unite. Ciò significa che, presumibilmente nei prossimi mesi, verrà fatta chiarezza definitiva sulla materia, in un senso o nell’altro.
Come sempre, vi terremo aggiornati sull’argomento!
L’immagine del post è realizzata da Gunnar Wrobel