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Cessione d’azienda: chi risponde per il TFR

Una delle domande che ci sentiamo ripetere più spesso, nell’ambito di un’operazione di cessione d’azienda è la seguente: “Chi deve versare il T.F.R. al lavoratore? Chi cede o chi acquista?”.

Vediamo di ricostruire la vicenda alla luce delle disposizioni del codice civile.

La disciplina del trasferimento d’azienda, con riferimento ai crediti dei lavoratori, è contenuta nell’art. 2112 c.c.

Sostanzialmente, l’art. 2112 c.c., indica alcuni principi fondamentali:

  • In caso di cessione d’azienda, il rapporto di lavoro non si interrompe, bensì, al contrario, prosegue con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i relativi diritti;
  • Chi cede e chi acquista (più precisamente il “cedente” e il “cessionario”) sono obbligati in solido per tutti i crediti che il lavoratore aveva al momento del trasferimento. Vale a dire, il lavoratore potrà, ad esempio, richiedere il pagamento delle retribuzioni non corrisposte (alla data del trasferimento) sia al cedente sia al cessionario.

Qui si pone un problema di non poco conto: quale disciplina si applica al TFR?

Ma, prima di tutto, che cos’è il TFR?

Il Trattamento di Fine Rapporto (anche detto TFR o più comunemente “liquidazione”) è un emolumento che viene corrisposto al lavoratore alla cessazione del rapporto di lavoro (per pensionamento ovvero licenziamento ecc.). Come noto, salve regole speciali, si calcola sommando per ciascun anno di servizio una quota pari (e comunque non superiore) all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso, divisa 13,5.

Quando sorge il diritto a percepire il TFR?

In base al codice civile, salve le ipotesi legali di anticipazione del TFR, la liquidazione deve essere corrisposta al lavoratore in ogni ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro (i.e. dimissioni, pensionamento, licenziamento ecc.).

Al riguardo, alla luce della giurisprudenza dominante, si afferma che “il TFR costituisce un istituto di retribuzione differita che matura anno per anno attraverso il meccanismo dell’accantonamento e della rivalutazione” (Cass. Civ. 16549/2005). Si afferma anche che “Il diritto al trattamento di fine rapporto sorge, quindi, alla cessazione del rapporto di lavoro e solo da questa data decorre il termine di prescrizione” (Cass. Civ. 11470/1997) e che “non essendo il diritto ancora maturato, l’eventuale rinuncia al TFR effettuata dal lavoratore prima dell’estinzione del rapporto è nulla per mancanza dell’oggetto, ai sensi dell’art. 1418, 2° co., e dell’art. 1325” (Cass. Civ. 23087/2015).

Quali sono le ripercussioni di quanto affermato in caso di cessione d’azienda?

Alla luce di quanto abbiamo detto, il TFR è una retribuzione differita (nel senso procrastinata nel tempo), il diritto matura anno per anno (e non a caso nella busta paga solitamente troverete l’importo attuale della liquidazione maturata), ma diviene, concretamente, esigibile solo alla cessazione del rapporto.

Poniamo un caso pratico:

Tizio cede la propria azienda a Caio. Sempronio, lavoratore dipendente ha maturato € 30.000,00 di TFR quando era dipendente di Tizio. Chi risponde per la quota già maturata? Chi per la quota futura?

1) sulla quota futura: è certo che Caio sarà l’unico responsabile per la quota di TFR accantonata a partire dalla cessione d’azienda;

2) sulla quota già maturata: è, altrettanto, certo che sia il cedente, sia il cessionario (nella specie, Tizio e Caio) saranno responsabili, in virtù del regime di solidarietà previsto dall’art. 2112 c.c.

Ulteriore domanda pratica:

Sempronio potrebbe presentare istanza di fallimento nei confronti di Tizio (sussistendone i presupposti) o dovrebbe comunque attendere la cessazione definitiva del rapporto di lavoro?

Il caso è stato affrontato dalla recentissima sentenza Ord. n. 164/2016 dell’8 gennaio 2016 della Corte di Cassazione che, al riguardo, ha infatti affermato che: “in caso di cessione d’azienda assoggettata al regime di cui all’art. 2112 cod. civ., posto il carattere retributivo e sinallagmatico del trattamento di fine rapporto che costituisce istituto di retribuzione differita, il datore di lavoro cessionario è obbligato nei confronti del lavoratore, il cui rapporto sia con lui proseguito quanto alla quota maturata nel periodo anteriore alla cessione in ragione del vincolo di solidarietà e resta l’unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione, mentre il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale.

Ne consegue che il lavoratore è legittimato a proporre istanza di fallimento del datore di lavoro che abbia ceduto l’azienda, essendo creditore del medesimo (cfr. Cass. 11479/2013)

Per cui possiamo concludere che:

In caso di cessione d’azienda, del TFR maturato risponde sia il cedente, sia il cessionario. Tuttavia, il lavoratore può proporre istanza di fallimento del cedente, ricorrendone i presupposti, in quanto creditore del medesimo.

L’immagine del post è realizzata da Pashminu, rilasciata con licenza CC.

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