L’assoluzione nel giudizio penale non esclude di per sé il diritto del danneggiato ad ottenere il ristoro dei danni subiti. Lo ha ricordato la Cassazione Civile, con la sentenza n. 25538 del 13 novembre.
La vicenda de qua traeva origine da una richiesta di risarcimento danni proposta da alcuni soggetti danneggiati in occasione di un sinistro stradale. Il danneggiante aveva eccepito l’assoluzione, intervenuta per i medesimi fatti in sede penale, con la formula “il fatto non costituisce reato”, chiedendo, quindi, il rigetto delle avverse pretese risarcitorie.
Di diverso avviso la Suprema Corte che, con la sentenza qui commentata, ha confermato il noto principio secondo cui il giudicato penale di assoluzione ha effetto preclusivo nel giudizio civile di danni solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato, e non anche quando l’assoluzione sia determinata dal diverso accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2 (Cass. n.
20325/2006; Cass. 17401/2004).
Secondo gli Ermellini, infatti, in tali ipotesi, compete al giudice civile, nel procedimento in cui viene richiesto il risarcimento dei danni, con piena facoltà di giungere a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del processo penale (Sul punto, V. Cass. n. 22883/2007, in motivazione; n. 3193/2006; n. 20751/2004).
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –
Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –
Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 23555/2012 proposto da:
V.G.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato PETRACCA NICOLA DOMENICO, che lo rappresenta e difende, giusta procura ad litem (per sostituzione di difensore), per atto notaio Andrea Fedele di Roma, in data 29.10.2013, n. rep. 45.539, che viene allegata in atti;
– ricorrente –
contro
G.G.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PONTEFICI 3, presso lo studio dell’avvocato GIULIANI MARCO, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
contro
VA.SI., A.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 49, presso lo studio dell’avvocato CICALA CARLO, che li rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrenti –
contro
INA ASSITALIA SPA quale impresa designata per la gestione del Fondo di Garanzia per le vittime della strada nella regione Lazio, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 87, presso lo studio dell’avvocato SEMINAROTI ALDO, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3520/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA del 14.6.2011, depositata il 05/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/11/2013 dal Consigliere Relatore Dott. GIOVANNI GIACALONE;
udito per il ricorrente l’Avvocato Fabrizio Pollari Maglietta (per delega avv. Nicola Petracca) che si riporta al ricorso;
udito per il controricorrente ( G.G.C.) l’Avvocato Giuliani Marco che si riporta agli scritti;
udito per la controricorrente (Ina Assitalia SpA) l’Avvocato Seminaroti Aldo che si riporta agli scritti;
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. AURELIO GOLIA che si riporta alla relazione scritta.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Nella causa indicata in premessa, è stata depositata la seguente relazione:
“1. – La sentenza impugnata (Corte d’Appello Roma, 05/09/2011) ha, per quanto qui rileva, rigettato l’appello proposto da V. G.V. avverso la sentenza del Tribunale di Roma, che lo aveva condannato, insieme alla Assitalia Spa, quale impresa designata per il Fondo Garanzia Vittime della Strada, al risarcimento del danno in favore di Va.Si., G.G.C. e A.L., rispettivamente conducente, trasportato e proprietaria del ciclomotore coinvolto nel sinistro stradale, causato dallo scontro con l’autovettura di proprietà del V. e dallo stesso condotta. La Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza di primo grado, rigettando la doglianza del V. relativa all’eccezione di prescrizione, applicando l’art. 2947 c.c., comma 3, aderendo all’orientamento giurisprudenziale secondo cui, in tema di prescrizione del risarcimento del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, l’applicazione della seconda parte dell’art. 2947 c.c., comma 3, esige che debba trattarsi non di qualsivoglia sentenza penale ma solo di sentenze che non dichiarano l’estinzione del reato per prescrizione e, cioè, di sentenze di condanna o di assoluzione per motivi diversi dalla predetta estinzione; riteneva che le testimonianze rese da Ac.Ga. e P.S. fossero coincidenti e circostanziate; affermava che l’esito del procedimento penale non dovesse avere incidenza nel giudizio civile, stante la loro reciproca autonomia; riteneva totalmente ininfluente, nella causazione del sinistro, l’illegittimo trasporto, a bordo del ciclomotore, del G..
2. – Ricorre per Cassazione il V. sulla base di con quattro motivi; resistono, con rispettivi controricorsi, il Va., il G. e l’Ina Assitalia Spa. Le censure dedotte dal ricorrente sono:
2.1 – Violazione o falsa applicazione dell’art. 2947 c.c. (eccezione di estinzione del diritto per intervenuta prescrizione) – omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto la Corte d’Appello si sarebbe limitata ad affermare l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione formulata dall’odierno ricorrente;
sostiene che non possa trovare applicazione l’art. 2947 c.c., comma 3, in quanto, a seguito dell’assoluzione in sede penale del V. perchè “il fatto non costituisce reato”, sarebbe venuto meno il presupposto applicativo di una prescrizione più lunga ai sensi della norma richiamata. In ogni caso, il diritto al risarcimento del danno sarebbe ugualmente prescritto, in quanto il reato di lesioni colpose (contestato in sede penale) si prescrive in 5 anni e tale termine, nel caso di specie, sarebbe scaduto il 14 febbraio 1999;
2.2 – Violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., (valutazione delle prove) – Contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (ricostruzione dei fatti), per avere i giudici di secondo grado definito le deposizioni delle due testi, Ac. G. e P.S., concordanti, precise ed attendibili, omettendo, tuttavia, di valutare una serie di elementi determinanti a screditare la versione offerta da tali testimoni, ma anche quella fornita dal Va. e dal G.;
2.3 – Violazione o falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., (assenza di colpa del V.) – Omessa e/o insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (rapporto tra giudicato penale e giudizio civile), per essersi limitata la sentenza impugnata ad affermare che, alla luce dell’autonomia del procedimento civile rispetto a quelli penali instaurati a seguito dell’incidente, l’esito di questi ultimi non aveva alcuna incidenza, così incorrendo in un vizio di carenza della motivazione oltre che di contraddittorietà, in quanto, da un lato, afferma che le prove assunte nel giudizio penale possono essere utilizzate nel procedimento civile, costituendo prova atipica, dall’altro solo alcune di esse hanno determinato la decisione e non anche altre, che avrebbe generato un diverso convincimento; così la Corte Territoriale avrebbe ignorato le risultanze del procedimento penale, nonostante l’accertamento, con sentenza passata in giudicato, della totale assenza di colpa del medesimo;
2.4 – Violazione o falsa applicazione dell’art. 170 del Codice della Strada in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, (responsabilità del conducente del ciclomotore per aver trasportato dei passeggeri), per non aver preso in esame la possibile incidenza sul sinistro dell’illegittimo trasporto del G., in quanto la presenza di due persone sul ciclomotore avrebbe influito sulla dinamica del sinistro, perchè il peso ed i movimenti del passeggero non avrebbero consentito al sistema frenante del ciclomotore di reagire in fretta ed evitare l’urto con l’autovettura.
3. – Il ricorso è manifestamente privo di pregio.
3.1 – Quanto al primo motivo di ricorso, secondo cui le uniche sentenze irrevocabili rilevanti ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3, sarebbero quelle di condanna, ciò contrasta con la lettera della legge, che si riferisce genericamente a tutte le sentenze penali irrevocabili (con esclusione di quelle che dichiarano non doversi procedere per estinzione del reato per prescrizione – art. 529 c.p.p.), facendo decorrere il termine della prescrizione dalla data in cui la sentenza è divenuta irrevocabile.
A norma dell’art. 648 c.p.p., comma 1, sono irrevocabili le sentenze pronunziate in giudizio, contro le quali non è ammessa impugnazione diversa dalla revisione. Conseguentemente l’irrevocabilità di una sentenza penale non dipende dal contenuto, ma discende solo dal fatto che essa sia stata pronunziata in giudizio e non sia impugnabile, per cui la qualità dell’irrevocabilità delle sentenze penali investe sia quelle di condanna che di proscioglimento (art. 529 c.p.p., sentenze di proscioglimento e art. 530 c.p.p., sentenze di assoluzione) (Cass. n. 22883/2007, in motivazione).
3.2 – Il secondo e quarto motivo di ricorso, suscettibili di essere trattati congiuntamente data l’intima connessione, implicano accertamenti di fatto e valutazioni di merito. Ripropongono, in particolare, un’inammissibile “diversa lettura” delle risultanze probatorie, senza tenere conto del consolidato orientamento di questa S.C. secondo cui, quanto alla valutazione delle prove adottata dai giudici di merito, il sindacato di legittimità non può investire il risultato ricostruttivo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, (Cass. n. 12690/10, in motivazione; n. 5797/05; 15693/04). Del resto, i vizi motivazionali denunciabili in Cassazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (Cass. n. 6064/08; nonchè Cass. n. 26886/08 e 21062/09, in motivazione). L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. n. 5328/07, in motivazione; 12362/06). Inoltre, in tema di incidenti stradali la ricostruzione della loro dinamica, come pure l’accertamento delle condotte dei veicoli coinvolti e della sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e la loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento della esistenza o esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, integrano altrettanti giudizi di merito, come tali sottratti al sindacato di legittimità, qualora il procedimento posto a base delle conclusioni sia caratterizzato da completezza, correttezza e coerenza dal punto di vista logico – giuridico, e ciò anche per quanto concerne il punto specifico se il conducente di uno dei veicoli abbia fornito la prova liberatoria di cui all’art. 2054 c.c. (tra le tantissime, Cass. 5 giugno 2007 n. 15434; 10 agosto 2004 n. 15434; Cass. 14 luglio 2003, n. 11007; Cass. 10 luglio 2003, n. 10880; Cass. 5 aprile 2003, n. 5375; Cass. 11 novembre 2002, n. 15809).
La sentenza impugnata ha fatto piena e puntuale applicazione dei principi di diritto affermati da questa S.C., affermando che le due ragazze sentite come testimoni erano state concordi nell’affermare che il semaforo era rosso per i veicoli provenienti da (OMISSIS), come l’auto del V.; che dette testimonianze erano state confrontate in sede penale con quelle rese dal R. e tenendo conto delle risultanze di una consulenza sull’impianto semaforico si era pervenuti ad un giudizio di compatibilità tra la stessa e le prime due. Ha, infine, concluso affermando che non erano emersi elementi per ritenere una corresponsabilità del conducente e del trasportato del ciclomotore, nulla provando il fatto che i due fossero sbalzati a qualche metro di distanza, tenuto conto, da un lato, del fatto che il ciclomotore si arrestò davanti all’auto anzichè proseguire la sua marcia e, dall’altro, che detto balzo in avanti costituisce notoriamente la conseguenza tipica dell’urto.
3.3 – Per quanto riguarda il terzo motivo di ricorso, occorre precisare che l’efficacia della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile di danno è regolata dall’art. 652 c.p.p.; in virtù degli artt. 652 e 654 c.p.p. il giudicato penale di assoluzione (rispettivamente nell’ambito del giudizio civile di danni – nel caso dell’art. 652 c.p.p. – e nell’ambito degli altri giudizi civili nell’ipotesi di cui all’art. 654 c.p.p.) ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza o del fatto o della partecipazione dell’imputato, e non anche quando l’assoluzione sia determinata dal diverso accertamento dell’insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l’attribuibilità di esso all’imputato e cioè quando l’assoluzione sia stata pronunziata a norma dell’art. 530 c.p.p., comma 2 (Cass. n. 20325/2006; Cass. 17401/2004).
3.3.1. – Inoltre l’accertamento contenuto in una sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata perchè il fatto non costituisce reato non ha efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 652 c.p.p., nel giudizio civile di danno, nel quale, in tal caso, compete al giudice il potere di accertare autonomamente, con pienezza di cognizione, i fatti dedotti in giudizio, e di pervenire a soluzioni e qualificazioni non vincolate all’esito del processo penale. (Cass. n. 22883/2007, in motivazione; n. 3193/2006; n. 20751/2004). Del resto, come esposto al punto 3.2, i vizi motivazionali denunciabili in Cassazione non possono consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento.
4. – Il relatore propone la trattazione del ricorso in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375, 376, 380 bis c.p.c., ed il rigetto dello stesso”.
La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti costituite.
La parte ricorrente ha presentato memoria, riproponendo argomentazioni già illustrate nel ricorso. Secondo il Collegio, le osservazioni di cui alla memoria non inficiano i motivi in fatto e in diritto posti a base della relazione, aggiungendo che il principio espresso al punto 3.1 della relazione ha trovato autorevole conferma nella sentenza delle Sezioni Unite di questa S.C. n. 8348 del 5 aprile 2013, così come quello espresso al punto 3.3 è stato ribadito da Cass. 11 febbraio 2011 n. 3376, oltre che dalla giurisprudenza richiamata al precedente punto 3.3.1.
Ritenuto che:
a seguito della discussione sul ricorso in camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione; che il ricorso deve perciò essere rigettato essendo manifestamente infondato;
le spese seguono la soccombenza nel rapporto con le parti costituite;
visti gli artt. 380 bis e 385 c.p.c..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio a favore del Gi., del G. e di Ina Assitalia, che liquida in favore di ciascuno di essi, in Euro 3.800,00, di cui Euro 3600,00 per compensi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2013
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