In materia di licenziamento, la Corte di Cassazione ha chiarito che qualora l’azienda proceda con il provvedimento espulsivo nei confronti del lavoratore, lo stesso non potrà considerarsi legittimo se giustificato con la motivazione dello scarso rendimento per mancato raggiungimento dei risultati.
Il fatto. Il lavoratore P.P. veniva licenziato per insufficiente persistente rendimento nell’attività di tecnico informatico. Promosso ricorso ex art. 414 c.p.c. il Tribunale di prime cure accoglieva la domanda del lavoratore, dichiarando l’illeggitimità del licenziamento, decisione confermata poi dalla Corte di Appello di di Trento – Sez. distaccata di Bolzano.
La questione. Il rendimento lavorativo inferiore al minimo contrattuale non integra “ex se” l’inesatto adempimento che, a norma dell’art. 1218 cod. civ., si presume, fino a prova contraria, imputabile a colpa del debitore, dato che, nonostante la previsione di minimi quantitativi, il lavoratore è obbligato ad un “facere” e non ad un risultato.
Pertanto, per principio ormai consolidato, il datore di lavoro che intenda far valere lo scarso rendimento quale giustificato motivo soggettivo di licenziamento non potrà limitarsi a provare il mancato raggiungimento del risultato atteso ma sarà onerato dalla dimostrazione di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, non senza avere prima giustificato il livello minimo della prestazione esigibile, nonché dimostrato il requisito della persistenza dell’insufficiente rendimento.
A tale valutazione dovrà concorrere l’apprezzamento di aspetti concreti del fatto addebitato, tra cui il grado di diligenza richiesto dalla prestazione e quello usato dal lavoratore, nonché l’incidenza dell’organizzazione d’impresa e dei fattori socio – ambientali.
Il caso in specie. La Corte di merito ha osservato pienamente tali principi, avendo dato conto della insufficiente prova da parte del datore di lavoro sulla inadeguatezza della prestazione lavorativa in relazione ai canoni del minimo esigibile e della persistenza del comportamento inadempiente limitato ad una valutazione negativa espressa da parte del Direttore dell’Ufficio con riguardo ai sei incarichi primari assegnati al lavoratore.
Il licenziamento è, infatti, legittimo nei casi di persistente insufficiente rendimento e per un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali, ovvero per qualsiasi fatto grave che dimostri piena incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi dì servizio.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 maggio – 16 luglio 2013, n. 17371 Presidente Stile – Relatore Arienzo
Svolgimento del processo
Con sentenza del 6.11.2009, la Corte di appello di Trento – sez. distaccata di Bolzano – rigettava l’appello proposto dalla Provincia Autonoma di Bolzano avverso la pronunzia di primo grado che aveva accolto la domanda proposta da P.P. , dichiarando l’illegittimità del licenziamento intimato al predetto il 13.2.2007 per insufficiente persistente rendimento nell’attività di tecnico informatico svolta, con le conseguenze reintegrazione e risarcitorie di legge. La Corte del merito rilevava che le censure svolte dall’appellante -relative alla ritenuta dimostrazione della negligenza ed al mancato raggiungimento degli obiettivi – erano del tutto incoerenti rispetto alle ragioni valorizzate dal primo giudice, che aveva valutato l’inadeguato livello professionale nello svolgimento delle mansioni in relazione alla qualifica professionale rivestita, non essendo nella lettera di contestazione contenuti addebiti specifici in relazione ad omissioni di comportamento o di conformazione alle direttive generali o specifiche afferenti il settore di competenza. Osservava che il “notevole inadempimento” in cui doveva concretarsi la ragione legittimante il recesso dal rapporto andasse desunto dalle vantazioni contenute nel documento allegato alla lettera di contestazione denominato “valutazione incarichi primari assegnati a P.P. ” e che non potesse estendersi al periodo antecedente l’espletamento di detti incarichi primari e quindi al complessivo rendimento del lavoratore l’ambito delle valutazioni disciplinarmente rilevanti. Con riferimento alle ulteriori censure la Corte evidenziava che l’espletamento di una consulenza tecnica – per valutare la correttezza della valutazione “insufficiente”, espressa dal direttore dell’Ufficio in merito ai sei incarichi, – sollecitato dall’appellante, era del tutto irrilevante in quanto il primo giudice aveva dato esaustivamente conto del fatto che ad integrare i presupposti del licenziamento per “scarso rendimento” non era sufficiente la prova del mancato raggiungimento del risultato atteso, ma la dimostrazione del fatto stesso che tale difetto di risultato integrasse il “notevole inadempimento” anche in considerazione di altri concreti aspetti, non senza avere prima giustificato il livello minimo della prestazione esigibile, nonché dimostrato il requisito della “persistenza” dell’insufficiente rendimento. Riteneva il giudice del gravame che la sola valutazione negativa in ordine allo svolgimento dei sei incarichi, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, non potesse valere di per sé sola a giustificare il provvedimento espulsivo, adottato senza valorizzare alcun precedente significativo ai fini della recidiva. La censura dell’appellante non era incentrata sulla tematica dell’idoneità della contestazione a dare conto del “notevole inadempimento” agli obblighi contrattuali, cui doveva aggiungersi, per espressa previsione collettiva, il carattere della “persistenza”, ma esclusivamente sulla coerenza intima del giudizio negativo sulle modalità con le quali le prestazioni considerate erano state espletate. Non essendovi ragione per considerare detti incarichi esemplari dell’intero svolgimento del rapporto di lavoro, ovvero espressione compiuta ed assorbente del “persistente” atteggiamento inadempiente del P. in ordine alle obbligazioni contrattualmente dovute, l’appello doveva essere disatteso. Per la cassazione di tale decisione ricorre la Provincia Autonoma di Bolzano, affidando l’impugnazione a due motivi. Resiste il P. , con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, la Provincia ricorrente denunzia omessa e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, ex art. 360, n. 5, c.p.c., nonché violazione degli artt. 61 e 116 c.p.c., assumendo la contraddittorietà della decisione laddove per un verso afferma che il notevole inadempimento vada desunto dal documento denominato “valutazione degli incarichi primari affidati al P. ” e, dall’altro, si limita a confermare il giudizio sostanzialmente positivo espresso dal giudice di prime cure, senza dare corso alla richiesta di c.t.u. e valutando in proprio l’operato del dipendente licenziato per scarso rendimento, mentre i fatti erano da demandare al giudizio di un tecnico informatico. Riporta le deposizioni testimoniali dei testi escussi in primo grado, che convergevano sul fatto che il livello di prestazione del P. era del tutto insufficiente, sia in termini oggettivi, sia in termini soggettivi, se paragonati a quelli di dipendenti svolgenti analoghe mansioni. L’escussione dei testi era stata necessaria per stabilire quale fosse il livello minimo di prestazione esigibile e poi, esperita tale fase, sarebbe stato necessario dare ingresso ad una C.T.U. per valutare la portata della relazione relativa ai sei incarichi espletati dal P. . Con il secondo motivo, la ricorrente deduce “error in iudicando”, violazione dell’art. 58, comma 1, lettera e), del contratto collettivo intercompartimentale dell’1.8.2002, evidenziando che la norma del contratto collettivo non richiede il “notevole inadempimento” e che nel provvedimento di licenziamento sono contenute in modo esaustivo le ragioni dello scarso rendimento, manifestatosi per un periodo di più di tre mesi. Aggiunge che un rendimento non superiore al 70% deve essere considerato “scarso rendimento” e ribadisce che, in ogni caso, si sarebbe dovuto affidare incarico ad un ausiliare per la valutazione dei risultati conseguiti. I motivi di impugnazione possono trattarsi congiuntamente, avendo riguardo a questioni connesse, sia pure nella differente articolazione della deduzione di vizi di violazione di norme e di vizi motivazionali. Deve ritenersi che la sentenza impugnata, con riferimento ai punti fatti oggetto di censura nella presente sede, abbia fatto corretta applicazione dei principi richiamabili quanto alla giustificazione del licenziamento per scarso rendimento. Al riguardo è stato affermato che il rendimento lavorativo inferiore al minimo contrattuale non integra “ex se” l’inesatto adempimento che, a norma dell’art. 1218 cod. civ., si presume, fino a prova contraria, imputabile a colpa del debitore, dato che, nonostante la previsione di minimi quantitativi, il lavoratore è obbligato ad un “facere” e non ad un risultato e l’inadeguatezza della prestazione resa può essere imputabile alla stessa organizzazione dell’impresa o, comunque, a fattori non dipendenti dal lavoratore. Conseguentemente in relazione al cosiddetto scarso rendimento, il datore di lavoro che intenda farlo valere quale giustificato motivo soggettivo di licenziamento non può limitarsi – neanche nei casi in cui il risultato della prestazione non è collegato ad elementi intrinsecamente aleatori – a provare il mancato raggiungimento del risultato atteso ed eventualmente la sua oggettiva esigibilità, ma è onerato della dimostrazione di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, quale fatto complesso alla cui valutazione deve concorrere anche l’apprezzamento degli aspetti concreti del fatto addebitato, tra cui il grado di diligenza richiesto dalla prestazione e quello usato dal lavoratore, nonché l’incidenza dell’organizzazione d’impresa e dei fattori socio – ambientali (cfr., ex multis, Cass. 10.11.2000 n. 14605; Cass. 9.9.2003 n. 13194, Cass. 22.2.2006 n. 3876). Non emerge dall’impianto motivazionale, complessivamente coerente, della pronunzia gravata che il giudice del gravame si sia discostato dai principi enunciati, avendo dato conto della insufficiente prova da parte del datore di lavoro, oneratorie, della inadeguatezza della prestazione lavorativa in relazione ai canoni del minimo esigibile e della persistenza del comportamento inadempiente limitato ad una valutazione negativa espressa con riguardo ai sei incarichi primari assegnati al P. , in relazione ai quali era stata espressa una valutazione negativa da parte del Direttore dell’Ufficio. Tale valutazione non si pone con carattere di esaustività rispetto ad una grado di negligenza che deve investire il rendimento complessivo del lavoratore, posto che le norme collettive del contratto intercompartimentale non potevano essere interpretate in contrasto con i canoni valutativi indicati. Ed invero, anche ove sia richiesto un mero inadempimento e non un “notevole inadempimento” nell’ambito dei compiti assegnati nello svolgimento delle mansioni come giustificativo del recesso del datore di lavoro, prevedendo l’art. 58, lett. e) del testo contrattuale che il licenziamento senza preavviso sia irrogabile nei casi di “persistente insufficiente rendimento, ovvero per qualsiasi fatto grave che dimostri piena incapacità ad adempiere adeguatamente agli obblighi di servizio”, la istruttoria non ha dimostrato, come coerentemente osservato dalla Corte territoriale, la contestuale sussistenza anche del requisito della persistenza dell’insufficiente rendimento”. D’altronde la connotazione di insufficienza riferita al “rendimento” deve, in coerenza con la previsione della “piena incapacità” prevista immediatamente dopo in alternatività alla prima condotta, e riferita allo svolgimento delle mansioni, essere necessariamente intesa in senso accentuativo rispetto al significato espresso, per essere idonea a giustificare la sanzione espulsiva, ed in tale senso essere riferita ad un rendimento significativamente basso ed inadeguato. Tali rilievi assorbono ogni altra doglianza, quale quella del mancato affidamento di incarico ad un C.t.u. per la valutazione dei risultati conseguiti dal dipendente. In proposito è sufficiente richiamare quanto reiteratamente affermato da questa Corte, ossia che il principio secondo cui il provvedimento che dispone la consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con l’altro principio secondo cui il giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata su una questione tecnica rilevante per la definizione della causa; ne consegue che, quando il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non può essere censurato il mancato esercizio di quel potere, mentre se la soluzione scelta non risulti adeguatamente motivata, è sindacabile in sede di legittimità sotto l’anzidetto profilo (cfr., in tali termini, Cass. 3.1.2011 n. 72, conforme a Cass. 27.10.2004 n. 20814 e a Cass. 21.7.1995 n. 7964). Alla stregua delle svolte considerazioni, deve pervenirsi al rigetto del ricorso. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza della Provincia ricorrente e si liquidano come da dispositivo, in favore del P. .
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 50,00 per esborsi ed in Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Avvocato Matteo Moscioni, con studio legale in Viterbo, si occupa prevalentemente di Diritto del Lavoro, Sindacale e Relazioni Industriali.