Ai fini del licenziamento per giusta causa, rileva soltanto la mancanza del lavoratore tanto grave da giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva.
Il Fatto. Il giorno 7 luglio 2010 venne proclamato dalla RSU dello stabilimento SATA di Melfi uno sciopero del reparto montaggio a cui aderirono 51 lavoratori su 159. Le linee di produzione furono conseguentemente bloccate dall’azienda. L’attività lavorativa venne poi riorganizzata in base agli operai non aderenti allo sciopero e le linee vennero riavviate. Tuttavia la produzione venne nuovamente bloccata dalla presenza di una cinquantina di lavoratori aderenti allo sciopero, compresi i rappresentanti di varie organizzazioni sindacali, che stazionavano sul tragitto dei carrellini utilizzati per il rifornimento della linea: alla richiesta dei vertici aziendali di spostarsi da tale collocazione, gli operai si opposero con un netto rifiuto. Ne nacque un’accesa discussione tra i superiori gerarchici e tre rappresentanti di una delle O.S. in sciopero, la FIOM. A seguito di tale episodio, l’azienda licenziò in tronco i tre operai.
La vicenda processuale. Con ricorso ex art. 28 Stat. Lav. la O.S. FIOM-CGIL chiese al Tribunale di Melfi, in funzione di Giudice del Lavoro, di accertare e dichiarare il carattere antisindacale della condotta posta in essere dalla S.A.T.A. S.p.a., consistente nel licenziamento di 3 dipendenti. Il Tribunale accolse il ricorso, disponendo la reintegra dei tre lavoratori nel posto di lavoro. La S.A.T.A. S.p.a. propose opposizione ed il Tribunale di Melfi revocò il decreto. Contro tale decisione il sindacato FIOM-CGIL propose appello. La Corte d’appello di Potenza, rigettò l’opposizione con piena conferma del decreto emesso ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori.
La questio: l’elemento soggettivo della condotta. la Suprema Corte ha ritenuto correttamente motivata la sentenza della Corte d’Appello, la quale aveva accertato che il permanere dei tre operai 5-6 minuti in più rispetto agli altri aderenti allo sciopero nella zona di passaggio dei carrelli, non solo non era premeditato, ma non era stato neanche determinato dalla volontà diretta deliberatamente a bloccare la produzione. Il tutto fu, infatti, conseguenza dalla discussione sviluppatasi tra i superiori ed i sindacalisti.
Focus on. Cardine rimane dunque il principio secondo cui ai fini del licenziamento per giusta causa, rileva soltanto la mancanza del lavoratore tanto grave da giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva, dovendosi valutare il comportamento del prestatore nel suo contenuto oggettivo ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate ma anche nella sua portata soggettiva, e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all’ intensità dell’ elemento volitivo dell’agente.
Conclusioni. Sulla base di questa ricostruzione dei fatti, la Corte d’appello non ha escluso la rilevanza disciplinare della condotta, ma ha rilevato la necessità di un ridimensionamento dell’addebito, tanto sul piano dell’elemento psicologico, che su quello della sua componente oggettiva oltre alla mancanza di specifici e significativi addebiti a carico dei tre lavoratori rispetto agli altri manifestanti.
Di qui la corretta valutazione della Corte territoriale sull’antisindacalità della condotta posta in essere dalla S.A.T.A. S.p.a. per aver applicato la massima sanzione disciplinare del licenziamento disciplinare senza preavviso solo per tre esponenti della O.S. FIOM.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 13 giugno – 31 luglio 2013, n. 18368 Presidente Miani Canevari – Relatore Curzio
Ragioni della decisione
1. Con ricorso del 21 luglio 2010 il sindacato FIOM-CGIL di Potenza chiese al giudice del lavoro del Tribunale di Melfi di accertare e dichiarare il carattere antisindacale della condotta posta in essere dalla S.A.T.A. spa, consistente nel licenziamento dei dipendenti L.A. , B.G. e P.M. e di rimuoverne gli effetti. 2. Il Tribunale accolse il ricorso e, con decreto del 9 agosto 2010, dichiarò che i tre licenziamenti costituivano condotta antisindacale ai sensi dell’art. 28 st. lav., disponendo la rimozione degli effetti e quindi la reintegrazione dei tre lavoratori nel posto di lavoro. 3. La S.A.T.A. propose opposizione. Espletata ulteriore attività istruttoria, il Tribunale, la accolse e revocò il decreto. 4. Il sindacato propose appello. 5. La Corte d’appello di Potenza, con sentenza pubblicata il 23 marzo 2012, ha accolto l’appello: in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato l’opposizione ed ha quindi confermato il contenuto del decreto emesso ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei lavoratori. 6. La S.A.T.A. spa, con atto notificato il 6 giugno 2012, ha proposto ricorso per cassazione chiedendo l’annullamento della sentenza della Corte di Potenza. 7. Il ricorso è articolato in sette motivi. 8. Il sindacato FIOM-CGIL si è difeso con controricorso. 9. Entrambe le parti hanno depositato una memoria per l’udienza. 10. In allegato alla sua memoria, la società ha depositato un documento: copia di un decreto di citazione diretta del Pm di Melfi. 11. La difesa dei controricorrenti ha eccepito l’inammissibilità della produzione. 12. L’eccezione è fondata. 13. Dinanzi alla Corte di cassazione, in base al disposto dell’art. 372 c.p.c., “non è ammesso il deposito di atti e documenti non prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne di quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso”. Il secondo comma aggiunge: “il deposito dei documenti relativi alla ammissibilità può avvenire indipendentemente da quello del ricorso e del controricorso, ma deve essere notificato, mediante elenco, alle altre parti”. 14. In questo caso il documento non può essere ammesso, tanto ai sensi del primo comma che del secondo comma della norma del codice. 15.Non può essere ammesso perché il documento in questione non riguarda né la nullità della sentenza, né l’ammissibilità del ricorso o del controricorso. In ogni caso, la società ricorrente, che ha prodotto il documento, ha omesso di provvedere alla notificazione alle altre parti del giudizio, come il codice impone, sempre a pena di inammissibilità. 16.Prima di procedere all’esame analitico dei motivi di ricorso, deve rilevarsi che i sette motivi sono stati formulati ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. (solo il terzo contiene anche la denunzia di un vizio di violazione di legge, ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c). 17. A parte questa circoscritta eccezione, la società ricorrente non denunzia violazioni o false applicazioni di norme di diritto o dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (art. 360, n. 3, c.p.c.) da parte della sentenza impugnata. 18. Il tipo di vizio denunziato in tutti e sette i motivi è quello del vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. 19. Nella struttura del codice di procedura civile questo tipo di vizio della sentenza non concerne la motivazione in diritto, che, se errata, deve essere corretta dalla Corte, senza procedere alla cassazione (art. 384, ult. comma, c.p.c). 20. Il vizio di motivazione concerne solo la motivazione in fatto, in quanto, la norma che lo regola, il punto n. 5 dell’art. 360 c.p.c., consente il ricorso per cassazione solo per “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. 21.Questa formula è stata introdotta dalla riforma del giudizio di cassazione operata con la legge n. 40 del 2009, che ha sostituito il concetto di “punto decisivo della controversia” con quello di “fatto controverso e decisivo”. 22.Delimitando in tal modo l’ammissibilità del ricorso per vizio di motivazione, il legislatore ha mirato ad evitare che il giudizio di cassazione, che è giudizio di legittimità, venga impropriamente trasformato in un terzo grado di merito. 23.Prendendo atto di tale volontà legislativa questa S.C. ha affermato, con orientamento da tempo consolidato, il seguente principio di diritto: “Il motivo di ricorso con il quale – ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c. così come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo. (In applicazione del principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso con cui ci si era limitati a denunciare la mancata motivazione da parte del giudice in ordine alle argomentazioni esposte dal ricorrente nel giudizio di appello, senza, però, individuare i fatti specifici, controversi e decisivi in relazione ai quali si assumeva fosse carente la motivazione medesima)” (ex plurimis, Cass. 29 luglio 2011, n. 16655; Cass. (ord.) 5 febbraio 2011, n. 2805). 24.1 sette motivi del ricorso per cassazione non tengono adeguatamente conto di tali prescrizioni legislative e dei relativi principi di diritto affermati da questa S.C.; sin dalla rubrica fanno riferimento a dei “punti” della controversia, mostrando di voler allargare il sindacato della Corte di cassazione al di là dei limiti fissati dalla legge, per investire le valutazioni di merito che non possono essere riformulate in sede di giudizio di legittimità. 25. Un’altra premessa necessaria, per poter comprendere e vagliare le censure proposte con il ricorso, è la schematizzazione dei fatti accertati dalla Corte di merito e posti a fondamento delle sue valutazioni giuridiche. 26. La Corte d’appello ha accertato quanto segue. 27. Il giorno 7 luglio 2010 venne proclamato dalla Rappresentanza unitaria aziendale dello stabilimento SATA di Melfi uno sciopero sulle UTE del reparto montaggio dalle 1.45 sino alle 3.00 di notte. Scioperarono in 51 lavoratori su 159 complessivamente presenti sulle linee. 28. Le linee di produzione vennero bloccate dall’azienda. Accanto alle linee transitano i carrellini AGV che servono al rifornimento della linea e si fermano automaticamente in presenza di ostacoli. 29. La produzione venne riorganizzata in base agli operai non aderenti allo sciopero e alle 2.00 le linee vennero riavviate. 30. Alle 2.05 i capi UTE F. e R. si resero conto però che i carrellini non erano in movimento. Percorsero la linea di produzione e trovarono circa 40-50 lavoratori aderenti allo sciopero, compresi i rappresentanti di varie organizzazioni sindacali, che stazionavano sul tragitto dei carrellini. Li invitarono a spostarsi da tale collocazione, ma gli operai non lo fecero; uno di essi, il L. rispose che erano in assemblea. 31. Alle 2.20 il R. , permanendo la situazione su descritta, telefonò a responsabile del settore operativo T. . Questi ricevuta la telefonata, unitamente al responsabile del personale Tr. , si recò sul posto, dove trovò i 40-50 lavoratori in sciopero, compresi i dirigenti di varie associazioni sindacali, che ancora stazionavano nella zona di transito dei carrellini. 32. Il Tr. e poi il T. si rivolsero al L. ed al B. , rappresentanti di una delle associazioni sindacali in sciopero, la FIOM, invitandoli a far spostare gli operai da quella collocazione. Ne nacque una discussione tra i quattro, in cui venne coinvolto anche il P. , avvicinatosi ai delegati della sua organizzazione. 33. La Corte ha accertato che la discussione, svoltasi nel luogo in cui gli operai si trovavano non fu pacata “da entrambe le parti” e si innalzò nei toni quando il T. minacciò di licenziamento il P. e i due sindacalisti affermarono che il T. non aveva alcuna autorità a tal fine e minacciarono l’estensione dello sciopero all’intero reparto montaggio (così la contestazione degli addebiti nei confronti del L. e del B. , non anche del P. ). 34. La discussione durò 5-6 minuti, secondo quanto accertato dalla Corte (la SATA sostiene che sia durata 7-10 minuti). 35. L’episodio si chiuse alle 2.30. 36. I tre dipendenti iscritti alla FIOM vennero licenziati senza preavviso, ai sensi della ipotesi di licenziamento più grave prevista dal ceni di categoria. Non furono applicate sanzioni disciplinari, neanche di minore entità, nei confronti di altri operai. 37. Si può ora procedere all’esame analitico delle censure mosse dalla società ricorrente per cassazione con i sette motivi di ricorso. 38. Con il primo motivo la società denunzia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.) in ordine al contenuto della contestazione disciplinare effettuata nei confronti dei lavoratori L. , B. e P. e rilevante ai fini del licenziamento” (ricorso, pag. 34). 39.Secondo la società la lettura delle tre lettere di contestazione consente di affermare che “l’operazione ermeneutica” compiuta dalla Corte di merito, consistente nella interpretazione del contenuto rilevante delle tre lettere di contestazione, è “erronea”. 40. Il motivo è inammissibile, per le ragioni di fondo già indicate in premessa ed, in particolare, perché denunzia un preteso vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, n. 5, c.p.c, ponendo in realtà un problema di erronea interpretazione di un atto giuridico, quali sono le contestazioni degli addebiti. 41. Si è fuori dall’ambito del sindacato di legittimità ex art. 360, n. 5, c.p.c.; si pone una questione di diritto che avrebbe dovuto essere proposta ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c. seguendo le regole di tale norma e cioè indicando quali, tra le diverse disposizioni in materia di interpretazione degli atti negoziali dettate dal codice civile agli artt. 1362 – 1371, sarebbero state violate, gli specifici criteri ermeneutici che sarebbero stati violati e le ragioni per le quali sarebbero stati violati. 42.Con il secondo motivo (pag. 43 ss.) la società denunzia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.) in ordine alla volontarietà del comportamento addebitato ai lavoratori licenziati” (ricorso, pag. 43). 43.La società assume che “la Corte di Potenza ha confuso la pacifica (ed accertata) esistenza e rilevanza della coscienza e volontà dell’agire dei tre lavoratori nell’attuare l’ostacolo al transito dei carrelli e nel perpetuarlo nonostante l’intervento della gerarchia aziendale, con la premeditazione dell’atto, la quale ultima pur se mancante (e nel caso di specie è stata esclusa) non esclude affatto la volontarietà e quindi il dolo costituendone soltanto un’ipotesi aggravata”. 44. Il motivo è infondato, in quanto la Corte non confonde premeditazione (esclusa da tutti, anche dagli scritti difensivi dell’azienda) con volontarietà (coscienza e volontà) del comportamento, ma segue un ragionamento diverso, avendo accertato e motivato che il permanere dei tre per 5-6 minuti in più rispetto agli altri aderenti allo sciopero nella zona di passaggio dei carrelli, oltre a non essere stato un fatto premeditato, non fu neanche determinato dalla “volontà diretta deliberatamente ad impedire l’attività produttiva” (sentenza, pag. 33) perché fu cagionato dalla discussione sviluppatasi con il T. ed il Tr. che avevano assunto i sindacalisti della FIOM come interlocutori, Mentre l’occupazione della zona era stata operata da un ben più nutrito gruppo di lavoratori, composto da decine di persone aderenti a varie organizzazioni sindacali (cfr. sentenza a pag. 53 e ss. e, in particolare, a pag. 55, dove la Corte conclude, al termine della disamina della sequenza dei fatti, che questa discussione “è stata la sola ed esclusiva ragione che, in un arco temporale come sopra delimitato, ha indotto a non allontanarsi i lavoratori poi licenziati, trattenutisi appunto sul posto per rispondere alle contestazioni che (solo) a loro venivano rivolte e che percepivano come ingiuste”). 45. Sulla base di questa ricostruzione dei fatti, congruamente motivata, la Corte d’appello non ha escluso la rilevanza disciplinare della condotta, ma ha riscontrato la necessità di “un sicuro ridimensionamento” dell’addebito, tanto sul piano dell’elemento psicologico, che su quello della sua componente oggettiva (sentenza, pag. 52-53, ma v. anche 62-65) e la mancanza di “specifici e, quanto a gravità, significativi addebiti a carico del B. , del L. e del P. rispetto agli altri manifestanti”. Di qui la valutazione di antisindacalità dell’applicazione di una sanzione disciplinare solo ai tre esponenti della FIOM, coniugata alla scelta di applicare loro la sanzione estrema del “licenziamento senza preavviso”. 46. Con il terzo motivo la società denunzia, “contraddittoria ed illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.), nonché violazione e/o falsa applicazione di legge (art. 40 Cost., limiti esterni al diritto di sciopero) (art. 360, n. 3, c.p.c.)” (ricorso, pag. 56). 47. Secondo la ricorrente questo vizio consisterebbe nella violazione da parte della Corte di Potenza delle norme di legge e dei principi affermati dalla Corte di cassazione in materia di limiti esterni del diritto di sciopero. 48. Nel ricorso per cassazione la società da atto alla Corte di Potenza di aver ricostruito compiutamente la giurisprudenza di legittimità sui limiti esterni del diritto di sciopero, ma sostiene che la Corte avrebbe poi illogicamente e contraddittoriamente escluso nel caso in esame il superamento di tali limiti, violando i principi fissati da tale giurisprudenza. I principi sono corretti, ma sarebbero stati applicati male nel caso concreto. 49. Il motivo concerne la valutazione di merito del caso concreto. La Corte di Potenza ha compiutamente ricostruito i principi di diritto a decorrere dalla fondamentale giurisprudenza delle Sezioni unite che individua i limiti esterni del diritto di sciopero, sulla base della distinzione tra (termo alla produzione e danno alla produttività (Cass., Sez. un., 30 gennaio 1980, n. 711); la Corte ha poi valutato il caso concreto alla luce di quei principi ed ha motivato in modo adeguato perché lo sciopero in esame non ha determinato un danno alla produttività, ma un eventuale danno solo alla produzione e quindi non ha travalicato i limiti del diritto dì sciopero. Non può ragionevolmente sostenersi che la motivazione sul punto sia stata omessa o sia insufficiente. 50. Ma il motivo di ricorso è infondato anche sotto un altro profilo: è distonico rispetto al tema della decisione. 51. Il tema della controversia non è la legittimità o illegittimità, per superamento dei limiti esterni, dello sciopero. L’astensione dal lavoro, indetta dalla Rappresentanza sindacale unitaria (RSU), ha comportato il blocco della produzione per un certo periodo di tempo, che si è poi prolungato perché i lavoratori in sciopero, aderenti a tutte le organizzazioni e compresi i dirigenti sindacali aziendali di altre organizzazioni, stazionavano in una zona del reparto di transito dei carrellini. Non si è posto un problema di superamento dei limiti esterni a causa di tale prolungato blocco della produzione da parte di tutti i lavoratori e tutte le sigle sindacali in sciopero. Nessuna contestazione è stata mossa, nessuna sanzione disciplinare è stata applicata. Il problema oggetto della causa è un altro: riguarda il protrarsi della situazione per 5-6 minuti a causa dell’episodio specificamente contestato ai tre lavoratori poi licenziati. La censura della decisione, sul punto relativo al superamento dei limiti esterni del diritto di sciopero, avrebbe dovuto affrontare specificamente questo profilo e spiegare perché quel prolungamento della stasi della produzione avrebbe comportato urta danno alla produttività aziendale che il precedente ben più esteso blocco della produzione non aveva comportato. 52. Con il quarto motivo la società denunzia “omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia costituito dalle risultanze istruttorie determinanti ai fini del giudizio (sul punto della consapevolezza dell’illecito stazionamento sulla banda magnetica dell’AGV) (art. 360, n. 5, c.p.c.)” (ricorso, pag, 63). 53. Secondo la società ricorrente, la Corte non avrebbe tenuto conto delle deposizioni di “numerosi altri testi che danno atto della piena consapevolezza da parte dei manifestanti dell’illegittimità del loro stazionamento in una zona interdetta ai pedoni”. 54. Sulla stessa linea si pone il quinto motivo, con il quale la società denunzia “omessa e insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, omessa e/o insufficiente motivazione delle ragioni del dissenso dal convincimento espresso dal primo giudice (art. 360, n. 5, c.p.c.) – gli strumenti di prova valorizzati dalla Corte d’appello di Potenza malgrado il giudizio di inattendibilità del giudice di primo grado: le testimonianze dei sig.ri S. , M. , Ba. e Pa. e il documento sottoscritto dalla RSU” (ricorso, pag. 67). 55. I due motivi sono inammissibili, perché, con gli stessi, ancora una volta ed in maniera ancora più evidente, si chiede un terzo giudizio di merito, consistente nella diversa valutazione delle testimonianze da parte della Corte di cassazione, senza peraltro indicare specifiche violazioni di legge ed in particolare dell’art. 116 c.p.c., ma affermando che la motivazione sul punto sarebbe stata omessa (il che con evidenza non è vero) o sarebbe insufficiente (il che parimenti non è sostenibile e comunque non può costituire tramite per una diversa valutazione del merito della causa, per le ragioni viste in premessa). 56. Il quarto motivo peraltro è ulteriormente inammissibile in base a ciò che si è detto con riferimento al secondo motivo, in quanto la Corte non afferma che lo stazionamento dei tre nella zona di passaggio dei carrelli fu inconsapevole, ma afferma che in quell’area stazionò a lungo un gruppo di alcune decine di lavoratori in sciopero e che il permanere dei tre, per alcuni minuti aggiuntivi, fu determinato dalla discussione sviluppatasi con alcuni esponenti della gerarchia aziendale (si rinvia a quanto detto, più ampiamente, ai punti 44 e 45). 57.Con il sesto motivo la società denunzia “contraddittoria ed illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.) -la collocazione temporale della vicenda” (ricorso, pag. 86). 58.11 problema posto con questo motivo è di stabilire se l’episodio è durato “cinque – sei minuti” come afferma la sentenza della Corte d’appello o “sette -dieci minuti” come sostiene la società a pag. 92 del ricorso. 59. Il motivo è infondato per due ragioni. 60. In primo luogo, perché la Corte non ha apoditticamente indicato la durata del fatto, ma ha motivato la sua conclusione sulla base di una puntuale ed argomentata ricostruzione della sequenza degli eventi alla luce dei dati documentali e delle testimonianze. Se si leggono i numerosi passaggi dedicati al tema, all’interno della analisi dei fatti svolta da pag. 33 a pag. 53 della sentenza, si deve escludere che la Corte d’appello abbia omesso di motivare o abbia motivato in modo insufficiente o contraddittorio. Quella che la società ricorrente propone non è altro che una diversa valutazione, basata sulla affermazione di qualcuno, dei ben più numerosi testimoni escussi che si sono espressi nel senso indicato dalla Corte, il quale si spinse ad affermare che la discussione durò dai 7 ai 10 minuti. 61. Ma vi è una seconda ragione di infondatezza del motivo. Anche ammesso che la discussione non sia durata 5-6′ minuti (come ritiene con ampia motivazione la sentenza), ma sia durata dai 7 ai 10 minuti (come assume la società), rimarrebbe comunque il problema di stabilire se questo diverso accertamento del fatto sia “decisivo”, come richiede il n. 5 dell’art. 360 c.p.c, che considera sussistente il vizio di motivazione della sentenza solo in caso di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”. 62. La giurisprudenza di questa S.C. sul problema della decisività del fatto, afferma che possono “considerarsi tali solo i fatti la cui (differente) considerazione avrebbe comportato con certezza una decisione diversa”. 63. Il requisito della decisività sicuramente manca nel caso in esame. Il fatto controverso è la durata della discussione e quindi dello stazionamento dei tre nella zona di passaggio dei carrelli, mentre gli altri aderenti allo sciopero si allontanavano dalla stessa. La Corte ha accertato 5-6 minuti, la società ricorrente sostiene che furono 7-10 minuti. 64. Una durata del fatto maggiorata di un tempo da un minuto a quattro minuti in più, ammesso e non concesso che vi sia stata, non è sicuramente idonea a modificare l’esito del giudizio determinando una decisione diversa. E comunque sul punto non viene formulata una argomentazione specifica a dimostrazione della decisività. 65. Con il settimo motivo la società denunzia “carente, contraddittoria e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.) – la asserita sostanziale equivalenza dei comportamenti di tutti gli scioperanti compresi i tre lavoratori licenziati” (ricorso, pag. 94). 66.La società censura un passaggio specifico della sentenza, in cui la Corte di merito valuta che i fatti accertati non evidenziano specifici e, quanto a gravità, significativi addebiti a carico del B. , del L. e del P. , rispetto agli altri manifestanti”, il quali, contrariamente ai tre, non solo non sono stati licenziati per giusta causa, ma non sono stati sottoposti neanche a sanzioni disciplinari più lievi. 67. Secondo la società ricorrente tale affermazione sarebbe “la più stravagante, illogica, incongrua e incomprensibile dell’intero iter decisionale della sentenza” (così testualmente pag. 94 del ricorso) e ciò perché “tutti gli atti di causa depongono per la differenziazione radicale dei comportamenti tra il gruppo degli scioperanti e i tre licenziati e ciò quanto meno, a seguito dell’intervento del T. , allorquando tutti gli astanti hanno sgomberato l’area di transito dei carrellini AGV ad eccezione dei tre licenziati” (così il ricorso per cassazione a pag. 95). 68. La censura è infondata per le ragioni generali già più volte indicate e cioè perché si denunzia un preteso vizio di motivazione non con riferimento alla motivazione circa l’accertamento dei fatti, ma con riferimento alla valutazione degli stessi, che attiene al merito della causa e non può essere riformulata in sede di legittimità. 69. In ogni caso, la motivazione della Corte certo non può dirsi insufficiente, illogica o contraddittoria, perché anche la società riconosce (come del resto è stato acclarato dall’istruttoria), che tutti gli scioperanti (alcune decine di persone) durante l’astensione avevano stazionato a lungo nell’area di transito dei carrellini AGV e che i tre erano rimasti in quella zona solo 5-6 minuti in più, per una ragione specifica, esaminata e ritenuta idonea dalla Corte (v. supra, in particolare sub motivo n. 2 e n. 4) a spiegare quel comportamento e comunque inidonea a giustificare il loro licenziamento in tronco. 70. Se questo è il quadro comparativo, le considerazioni della Corte sulla differenza di trattamento dei tre licenziati rispetto a tutti gli altri lavoratori, che avevano scioperato stazionando in quella medesima zona e non sono stati destinatari di una sia pur lieve sanzione disciplinare, non possono essere ritenute illogiche ed immotivate, e quindi tali da giustificare l’accoglimento del motivo di ricorso. 71. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. 72. Le spese del giudizio di legittimità devono essere poste a carico della parte soccombente e vengono liquidate secondo i parametri previsti dal D.M. Giustizia, 20 luglio 2012, n. 140 (cfr. Cass., Sez. un., nn. 17405 e 17406 del 2012).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in 6.000,00 (seimila) Euro per compensi professionali, 50,00 Euro per esborsi, oltre accessori, con distrazione in favore dei procuratori dell’associazione contro-ricorrente, dichiaratisi anticipatari, avv.ti Bruno Cossu, Piergiovanni Alleva, Franco Focareta e Alberto Piccinini.
Avvocato Matteo Moscioni, con studio legale in Viterbo, si occupa prevalentemente di Diritto del Lavoro, Sindacale e Relazioni Industriali.