La vicenda sottoposta all’attenzione dei Giudici di Piazza Cavour presenta senza dubbio alcuni singolari risvolti fattuali, più consoni ad una trama di un film che a quella di una vicenda realmente accaduta.
Sottoposto agli arresti domiciliari, un uomo decideva di abbandonare il proprio tetto coniugale, non sopportando più la convivenza con la propria moglie, e per tale motivo si recava dalle forze dell’ordine chiedendo loro di poter tornare in carcere.
Il difensore dell’imputato sosteneva la non configurabilità del delitto di evasione, in quanto il dolo richiesto dall’art. 385 c.p. richiederebbe la consapevolezza della violazione del divieto.
L’uomo, invece, non si era affatto sottratto al controllo degli organi di polizia, anzi si era recato spontaneamente presso le forze dell’ordine al fine di ripristinare la custodia in carcere.
La Suprema Corte, tuttavia, con la pronuncia n. 17910/13, ha ritenuto di condividere le argomentazioni dei Giudici dei gradi di merito, confermando la condanna per evasione.
Difatti, si è ritenuto che l’intollerabilità della convivenza non possa costituire causa di giustificazione dello stato di necessità, tale da escludere il delitto di evasione dagli arresti domiciliari.
In linea generale, lo stato di necessità è richiamabile qualora la situazione rappresentata sia tale da non lasciare altra alternativa se non quella di violare la legge.
Tornando al caso di specie, i Giudici di legittimità hanno ribadito che “La giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che il reato di evasione non può escludersi, in caso di allontanamento dall’abitazione in cui il soggetto è in stato di restrizione domiciliare, invocando la causa di giustificazione dello stato di necessità per asserito deterioramento dei rapporti con i congiunti conviventi, dal momento che in detta situazione non è apprezzabile il pericolo di un danno alla persona (Sez. VI, 13 marzo 2008, dep. 16 luglio 2008, n. 29679; id. 9 giugno 2006 dep. 23 giugno 2009, n. 26163)”.
Ad ogni modo, il giudice di primo grado ha applicato a XXX l’attenuante prevista dal quarto comma dell’art. 385 c.p., tenendo conto della sua condotta, la quale, anche se integrante il delitto di evasione, non avrebbe potuto che concretizzare la volontaria elisione delle conseguenze negative del reato, dato che l’uomo si è recato spontaneamente dagli organi di polizia.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 21 gennaio – 18 aprile 2013, n. 17910
(Presidente Cortese – Relatore Carcano)
Ritenuto in fatto
1. Il ricorrente impugna la sentenza in epigrafe indicata con la quale è stata confermata la decisione di primo grado, resa all’esito dei giudizio abbreviato, che lo condannò per il delitto di evasione per essersi allontanato dalla propria abitazione ove era agli arresti domiciliari.
Ad avviso della Corte di merito, il complessivo quadro probatorio, smentisce l’assunto difensivo. Gli atti d’indagine, posti a fondamento della decisione di primo grado, danno la prova della condotta di evasione.
A fronte delle diversa prospettazione della difesa, secondo cui L.N. si allontanò dalla propria abitazione per raggiungere la locale stazione dei Carabinieri, ritenendo che fosse possibile farlo, la Corte d’appello ritiene del tutto irrilevanti le ragioni per le quali N. violò l’obbligo di non allontanarsi dall’abitazione, ove avrebbe dovuto rimanere sino a una diversa decisione del giudice competente.
Ad avviso della Corte d’appello, vi sono ragioni per applicare a N. le attenuanti generiche, per i suoi precedenti e il fatto di essere sottoposta alla misura di sorvegliato speciale.
2. La difesa del ricorrente deduce:
– violazione di legge e difetto di motivazione, vizio di motivazione.
La Corte d’appello, ad avviso della difesa, si è limitata a riprodurre acriticamente la motivazione del giudice di primo grado, senza esaminare le questioni poste con l’impugnazione.
La regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio, non avrebbe consentito di adeguarsi alla soluzione del primo giudice, dovendo la Corte di merito verificare se la situazione prospettata dalla difesa fosse tale da escludere la sussistenza di una convergenza probatoria a carico.
La conferma della responsabilità di N., senza considerare la situazione rappresentata, ad avviso della difesa, rileva la sua astrattezza, poiché si fonda su argomenti assertivi. Il dolo richiesto per la configurazione del delitto di evasione richiede la consapevolezza della violazione del divieto. N., in realtà, non si è sottratto al controllo degli organi di polizia, bensì ha voluto creare una situazione affinché fosse ripristinata la custodia in carcere, essendo divenuta insostenibile la coabitazione con la propria convivente.
Sotto il profilo oggettivo, non si è realizzato il delitto di evasione.
-vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche e al ridimensionamento della pena.
Inadeguata la motivazione sui precedenti, poiché all’epoca dei fatti N. era incensurato e la sorveglianza speciale gli era stata applicata per i fatti oggetto del procedimento per il quale N. era agli arresti domiciliari.
Ad avviso del ricorrente, il giudice ha il dovere di motivare là dove si discosti dal minimo edittale.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
Si è già detto in narrativa che la Corte di merito, mediante un proprio ragionamento probatorio coerente e adeguato, ha descritto gli elementi di prova considerati e ha argomentato, pur in estrema sintesi, le ragioni per le quali le censure dedotte alla ragione della decisione di primo grado non avevano fondamento in base alle risultanze degli atti processuali.
La Corte d’appello ha condiviso la ricostruzione operata dal primo giudice e ha posto, come già detto in narrativa, in rilievo l’allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari integra il delitto di evasione e le giustificazioni di N., delle quali vi è stata una specifica descrizione nella sentenza di primo grado, non sono tali da configurare uno stato di necessità, unica situazione che può legittimare la violazione del dovere di non allontanarsi dal luogo di esecuzione della misura degli arresti domiciliari.
Questa Corte si è più volte espressa nel senso che lo stato di necessità non sussiste là dove la situazione rappresentata non sia tale da non lasciare altra alternativa se non quella di violare la legge.
In particolare, si è affermato che il reato di evasione non può escludersi, in caso di allontanamento dall’abitazione in cui il soggetto è in stato di restrizione domiciliare, invocando la causa di giustificazione dello stato di necessità per asserito deterioramento dei rapporti con i congiunti conviventi, dal momento che in detta situazione non è apprezzabile il pericolo di un danno alla persona (Sez. VI, 13 marzo 2008, dep. 16 luglio 2008, n. 29679; id. 9 giugno 2006 dep. 23 giugno 2009, n. 26163). Peraltro, il giudice di primo grado ha applicato a N. l’attenuante prevista dal quarto comma dell’art. 385 c.p., tenendo conto della sua condotta, la quale, pur se tale da integrare il delitto di evasione anche sotto il profilo soggettivo, non avrebbe potuto che concretizzare la volontaria elisione delle conseguenze negative del reato, recandosi spontaneamente dagli organi di polizia.
L’adeguatezza della pena, giustificata dal giudice di primo grado anche in considerazione della recidiva, è stata ulteriormente precisata dalla Corte d’appello per la sottoposizione di N. alla misura della sorveglianza speciale.
2. In conclusione, il ricorso è infondato e, a norma dell’art. 616 c.p.p., il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.