Il caso di cui si è occupata la Suprema Corte ha ad oggetto un lavoratore assunto formalmente dalla società controllata del gruppo, ma le cui prestazioni erano di fatto erogate secondo le direttive della società controllante (si trattava di una nota casa automobilistica).
Al termine della fase istruttoria il giudice aveva dedotto che, durante il periodo in questione, la controllante, pur non risultando formalmente come datore di lavoro, aveva di fatto usufruito delle prestazioni del lavoratore, determinando, sia sotto l’aspetto organizzativo sia sotto l’aspetto economico, l’attività dello stesso.
Da ciò consegue che chi utilizza in concreto tali prestazioni deve poi adempiere tutte le obbligazioni a qualsiasi titolo derivanti dal rapporto di lavoro medesimo.
Appare inoltre opportuno ribadire che recentemente la giurisprudenza di legittimità ha già ribadito come costituisca regola generale dell’ordinamento lavoristico il principio secondo cui il vero datore di lavoro è quello che effettivamente utilizza le prestazioni lavorative, anche se i lavoratori sono stati formalmente assunti da un altro (datore apparente) e prescindendosi da ogni indagine sull’esistenza di accordi fraudolenti (fra interponente ed interposto) (cfr. Cass. S.U. n. 22910/2006 e Cass. n. 19931/2010).
In conclusione, il principio enucleato dalla Suprema Corte appare condivisibile, in quanto è corretto ritenere che il datore di lavoro sia quello “effettivo”, cioè quello che determini, ad es., la retribuzione, la previsione degli obiettivi e la valutazione dei risultati della prestazione, la sopportazione dei costi relativi alla posizione previdenziale e non chi si limiti ad assumere il lavoratore solo da un punto di vista formale.