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Non è applicabile l’art. 660 c.p. (molestie) alle ipotesi di invio ripetuto ed indesiderato di messaggi attraverso i servizi di messaggistica istantanea. Lo ha deciso la Corte di Cassazione, con la Sentenza nr. 24670 del 21 giugno 2012.

L’antefatto: un ragazzo è stato indagato e condannato per il reato di cui all'articolo 660 del codice penale (“Molestia o disturbo alle persone”) con l’accusa di aver molestato una minorenne mediante l'invio, attraverso il servizio di messaggistica istantanea MSN Messenger, di “una pluralità di messaggi e immagini a contenuto osceno”. Avverso tale provvedimento proponeva ricorso per Cassazione.

La questione: Il nodo problematico della vicenda risiede nello stabilire se la condotta tipizzata nell’art. 660 c.p., (“chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestie o disturbo”) sia o meno applicabile alle molestie perpetrate tramite internet.

La Cassazione aveva già avuto modo di pronunciarsi sulle molestie perpetrate con mezzi ulteriori rispetto alla tradizionale “chiamata telefonica”, da un lato, includendo gli SMS, in via di interpretazione estensiva, tra i mezzi di commissione della contravvenzione in parola (Cass. Pen. 28680/2004); dall’altro escludendo i messaggi di posta elettronica dall’ambito di applicabilità dell’art. 660 c.p. (Cass. Pen. 24510/2010).

La soluzione: Chiamata a risolvere la questione, la Suprema Corte, si sofferma sull’analisi delle caratteristiche tecniche dei servizi di messaggistica istantanea, sottolineandone la differenza rispetto alla comunicazione telefonica: A differenza della comunicazione fatta col mezzo del telefono, la messaggeria telematica non presenta, pertanto, il “carattere invasivo”, erroneamente supposto dalla Corte territoriale, ben potendo il destinatario di messaggi non desiderati da un determinato utente (sgradito), evitarne agevolmente la ricezione, senza compromettere, in alcun modo, la propria libertà di comunicazione, neppure in relazione all'impiego della particolare tecnologia in parola.

Ciò premesso, in applicazione dei principi di tipicità del reato e del divieto di analogia in materia penale, gli Ermellini escludono la configurabilità del reato in questione nella vicenda che qui ci occupa, attesa la riconosciuta diversità del mezzo “internet” rispetto al mezzo “telefono”: E il mezzo telefonico assume rilievo – ai fini dell'ampliamento della tutela penale altrimenti limitata alle molestie arrecate in luogo pubblico o aperto al pubblico – proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l'apparecchio telefonico, con conseguente lesione, in tale evenienza, della propria libertà di comunicazione, costituzionalmente garantita (art. 15 Cost., comma 1).

Come, quindi, accennato in precedenza, non può sostenersi – secondo i giudici di Piazza Cavour – che lo strumento telematico abbia il carattere di “invasività” tipico del mezzo telefonico, attesa la possibilità di “bloccare” gli utenti sgraditi.

Ne deriva, pertanto, l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

* * *

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIORDANO Umberto – Presidente –

Dott. VECCHIO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLO Aldo – Consigliere –

Dott. BONITO Francesco M.S. – Consigliere –

Dott. CASSANO Margherita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) C.C. N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 2495/2011 CORTE APPELLO di NAPOLI, del 03/11/2011;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/06/2012 la relazione fatta dal Consigliere Dott. MASSIMO VECCHIO;

Udito, altresì, nella pubblica udienza il Pubblico Ministero in persona del Dott. MAZZOTTA Gabriele, sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte suprema, il quale ha concluso per l'annullamento, senza rinvio, del provvedimento impugnato, perchè il fatto non sussiste

 

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. – Con sentenza, deliberata il 3 novembre 2011 e depositata il 14 dicembre 2011, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di quella stessa sede, 24 maggio 2010, di condanna alla pena dell'arresto in tre mesi (condizionalmente sospesa) a carico di C.C., imputato della contravvenzione di molestia o disturbo alle persone, ai sensidell'art. 660 c.p., commessa in danno di persona minore di sesso femminile, mediante invio “al suo indirizzo di posta elettronica” di “una pluralità di messaggi e immagini a contenuto osceno”, in (OMISSIS).

La Corte territoriale, previa accurata e pregevole illustrazione della giurisprudenza di legittimità in tema di molestie perpetrate con mezzi di comunicazione diversi dal telefono, ha disatteso la tesi difensiva circa la censurata applicazione in via analogica della norma incriminatrice, argomentando: nel caso in esame la comunicazione tra “l'account della minore e l'imputato è avvenuta attraverso MSN”; si tratta di un sistema “noto come instant messaging”, ovverosia di “messaggeria istantanea (…) che permette, cioè, l'invio di messaggi immediati tra due persone”, di un sistema di comunicazione “sostitutivo del telefono, il quale permette di conversare in modo istantaneo, usando la tastiera e, nelle più recenti versioni, anche utilizzando microfoni e web cam, per parlare e vedersi a distanza, sempre in tempo reale”; pertanto ricorre “l'elemento circostanziale della condotta” di comunicazione del soggetto attivo, “tipizzato dalla norma incriminatrice” e consistito nella “utilizzazione di un mezzo di comunicazione (…) del tutto simile al telefono come mezzo del reato (..) proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi se non disattivando la connessione con conseguente lesione, in tale evenienza, della propria libertà di comunicazione, costituzionalmente garantita”; sicchè è corretta la interpretazione in via estensiva della norma incriminatrice operata dal primo giudice.

2. – Ricorre per cassazione l'imputato, col ministero del difensore di fiducia, avvocato Riccardo Bagnulo, mediante atto del s.d., depositato il 9 marzo 2012 col quale sviluppa due motivi.

2.1 – Con il primo motivo il ricorrente dichiara promiscuamente di denunciare, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nella applicazione della legge penale, in relazione all'art. 660 c.p. nonchè vizio della motivazione, deducendo: la norma incriminatrice tutela il soggetto passivo “dall'invasione non temperabile dell'azione aggressiva dell'agente”; non è assimilabile la comunicazione telefonica a quella “telematica della posta elettronica”; la Corte territoriale non si è uniformata al principio di diritto, stabilito dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale non è consentito “inferire nell'accezione della lettera del mezzo telefonico lo strumento telematico per la trasmissione di posta elettronica”.

2.2 – Con il secondo motivo il ricorrente dichiara promiscuamente di denunciare, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) ed e), inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in relazione all'art. 125 c.p.p., nonchè manifesta illogicità della motivazione, deducendo: allo scopo di differenziare il caso in esame dalla materia della trasmissione telematica della posta elettronica i giudici di merito hanno artificiosamente operato la “creazione di una fattispecie concreta travisata rispetto alla condotta specificata tassativamente nella contestazione del capo di imputazione” e accertata “nella prima sentenza”; hanno, invero, fatto riferimento a “un sistema tecnologico differente rispetto a quello (indicato) in contestazione ed emergente dalle risultanze”; ino

ltre hanno trascurato di considerare che nella specie “ogni e qualunque trasmissione di comunicazione ha presupposto, per la conoscibilità del contenuto, il consapevole contributo operativo dell'interlocutore”.

3. – Il ricorso è, nei termini che seguono, fondato.

3.1 – Il tema oggetto del presente scrutinio di legittimità è se il modello di condotta, tipizzato nella norma incriminatrice, con riferimento al mezzo del reato, della comunicazione telefonica (recita l'art. 660 c.p.: “col mezzo del telefono”), ricomprenda, in via di interpretazione estensiva, le comunicazioni telematiche non foniche effettuate mediante elaboratore elettronico attraverso la rete internet.

3.2 – Il progresso tecnologico realizzato sia nella telefonia (inizialmente circoscritta alle comunicazioni tra postazioni fisse, ora ampiamente integrata dalla radiotelefonia tra apparecchi mobili connessi attraverso il sistema cellulare), sia nella elettronica, caratterizzato dalla miniaturizzazione degli elaboratori, e, soprattutto, la integrazione delle due tecnologie, estrinsecatasi nella produzione di apparecchi telefonici mobili, con implementazioni delle funzioni peculiari dell'elaboratore elettronico, e di elaboratori di ridottissime dimensioni, agevolmente portabili, connessi alla rete telefonica e telematica e anche idonei a comunicare, attenuano, indubbiamente, le differenze – prima nettissime – tra la comunicazione telefonica e le altre forme di comunicazione telematica.

Purtuttavia la tipizzazione del mezzo del reato, contenuta nella norma incriminatrice dell'art. 660 c.p., impone la individuazione del discrimen della comunicazione (molesta), riconducibile al mezzo del telefono, rispetto alle altre varie forme di telecomunicazione, le quali – pel divieto di applicazione analogica della norme penali ai sensi dell'art. 14 preleggi – non consentono, invece, di ritenere integrata la contravvenzione.

In proposito, la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta alla conclusione:

a) della inclusione, in via di interpretazione estensiva, tra i mezzi di commissione della contravvenzione in parola dello SMS (Short Message Service) ovvero delle comunicazioni di messaggi di testo telefonici (Sez. 3, 26 marzo 2004, n. 28680, Modena, massima n. 229464; Sez. 1, 22 febbraio 2011, n. 10983, Posti, massima n. 249879 e Sez. 1, 24 giugno 2011, n. 30294, Donato, massima n. 250912);

b) della esclusione della posta elettronica dal novero delle comunicazioni riconducibili alla previsione dell'art. 660 c.p. (Sez. 1, 17 giugno 2010, n. 24510, D'Alessandro, massima n. 247558).

Tali approdi ermeneutici sono pacifici e fatti propri sia dalla Corte territoriale e che dal ricorrente.

3.3 – I giudici di merito hanno, piuttosto, sussunto la condotta del ricorrente sotto la previsione della norma incriminatrice supponendo, in punto di fatto, che le comunicazioni moleste e oscene sarebbero state effettuate mediante il (noto) servizio di messaggeria telematica MSN e, quindi, argomentando, in punto di diritto, che i messaggi MSN sono da ricomprendersi in quelli effettuati col mezzo del telefono “per il carattere invasivo della comunicazione”.

3.4 – La supposizione fattuale (impugnata col secondo motivo di ricorso) non è, innanzi tutto, in contrasto colla contestazione.

La condotta descritta nel capo di imputazione reca la generica menzione dell'invio di “una pluralità di messaggi e immagini a contenuto osceno” all'”indirizzo di posta elettronica” della persona offesa, senza specificare se i suddetti messaggi furono immessi nella casella della posta elettronica della destinataria, ovvero inviati nel corso di una sessione di messaggeria instaurata col medesimo indirizzo.

E dalla sentenza di primo grado sembra, peraltro, evincersi che il Tribunale accertò che le foto oscene – quanto meno quelle inviate l'8 giugno 2007 (2009 nel testo della sentenza per evidente lapsus calami), stante il riferimento agli “inviti alla conversazione”, v.

p. 2 – furono inoltrate tramite MSN, cioè colla messaggistica elettronica.

L'accertamento non è, tuttavia, risolutivo.

3.5 – L'uso della messaggistica elettronica non costituisce invero comunicazione telefonica, nè è assimilabile alla stessa.

Tale sistema di comunicazione, sebbene utilizzi la rete telefonica e le bande di frequenza della rete cellulare, non costituisce, tuttavia, applicazione della telefonia che consiste, invece, nella teletrasmissione, in modalità sincrona, di voci o di suoni; e si caratterizza sul piano della interazione tra il mittente e il destinatario – in relazione al profilo saliente dell'oggetto giuridico della norma incriminatrice – per la incontrollata possibilità di intrusione, immediata e diretta, del primo nella sfera delle attività del secondo.

Significativamente la Corte territoriale ha argomentato con riferimento al “carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi”, se non a prezzo di disattivare la propria utenza (telefonica), con conseguente nocumento della libertà di comunicazione.

Ma siffatto rilievo non è pertinente al caso di specie delle comunicazioni (moleste) effettuate dal ricorrente mediante la messaggeria telematica (MSN).

Hanno, infatti, accertato i giudici di merito che l'invio dei messaggi e delle foto oscene da parte dell'imputato fu reso possibile solo grazie alla abilitazione allo scambio degli MSN, concessa dalla madre della persona offesa (sostituitasi alla figlia), in seguito alla “richiesta di contatto su MSN Messenger” inoltrata dal ricorrente (v. la sentenza di primo grado, p. 2); e che, non appena la vittima, inserì l'identificativo telematico del giudicabile “nella black list” dei mittenti indesiderati, pose immediatamente termine ad ogni contatto e invio da parte del prevenuto (v. ibidem p. 3).

A differenza della comunicazione fatta col mezzo del telefono, la messaggeria telematica non presenta, pertanto, il “carattere invasivo”, erroneamente supposto dalla Corte territoriale, ben potendo il destinatario di messaggi non desiderati da un determinato utente (sgradito), evitarne agevolmente la ricezione, senza compromettere, in alcun modo, la propria libertà di comunicazione, neppure in relazione all'impiego della particolare tecnologia in parola.

3.6 – Conclusivamente, escluso l'elemento della fattispecie penale del mezzo (tipizzato) del reato (in quanto, appunto, il messaggio telematico non è assimilabile alla comunicazione col mezzo del telefono), la contravvenzione non è configurabile.

Infatti, l'evento immateriale – o psichico – del turbamento del soggetto passivo costituisce condizione necessaria ma non sufficiente della previsione di cui all'art. 660 c.p..

Per integrare la contravvenzione prevista e punita dall'art. 660 c.p., devono, invero, concorrere (alternativamente) gli ulteriori elementi circostanziali della condotta del soggetto attivo, contemplati dalla norma incriminatrice: la pubblicità (o l'apertura al pubblico) del teatro dell'azione ovvero l'utilizzazione del telefono come mezzo del reato.

E il mezzo telefonico assume rilievo – ai fini dell'ampliamento della tutela penale altrimenti limitata alle molestie arrecate in luogo pubblico o aperto al pubblico – proprio per il carattere invasivo della comunicazione alla quale il destinatario non può sottrarsi, se non disattivando l'apparecchio telefonico, con conseguente lesione, in tale evenienza, della propria libertà di comunicazione, costituzionalmente garantita (art. 15 Cost., comma 1).

E giova, in proposito, ricordare, infine, che questa Corte, nel fissare il principio di diritto della inclusione nella previsione della norma incriminatrice dei messaggi di testo telefonici (Sez. 3, 26 giugno 2004, n. 28680, Modena, massima n. 229464: “La disposizione di cui all'art. 660 c.p. punisce la molestia commessa col mezzo del telefono, e quindi anche la molestia posta in essere attraverso l'invio di short messages System – SMS – trasmessi attraverso sistemi telefonici mobili o fissi”), ha, per l'appunto, argomentato che “il destinatario di (detti SMS) è costretto, sia de auditu che de visu, a percepirli, con corrispondente turbamento della quiete e tranquillità psichica, prima di poterne individuare il mittente, il quale in tal modo realizza l'obiettivo di recare disturbo al destinatario”.

3.7 – Consegue l'annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

P.Q.M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.

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